
“New Year, New U” apre con un flashback del 1967: vediamo la morte del dottor Thomas Godolkin, co-fondatore dell’università insieme a Frederick Vought, alle prese con il misterioso progetto Odessa nel suo laboratorio. Un’introduzione che ha avuto solo qualche sviluppo nei primi tre episodi e che lascia presumere che nel corso della stagione avremo modo di approfondire passaggi cruciali del passato, funzionali alla comprensione della situazione attuale e relativi alla genesi dei supereroi.
Subito dopo il flashback la puntata si sposta nella cornice della Godolkin University, che nella prima stagione era stata presentata come un’accademia per giovani supereroi e che ora è diventata un epicentro instabile e un campo di battaglia fisico e ideologico. Il tono della narrazione – lo si intuisce sin da subito – è più cupo e maturo rispetto alla prima annata di Gen V, e le dinamiche tra i personaggi si fanno più complesse, attraversate da tensioni e ferite aperte.
Avevamo lasciato i protagonisti nel caos, tra la scoperta del Super Virus e una forte divisione ideologica che li aveva schierati su fronti opposti. Già nell’arco del primo episodio si rimettono insieme i pezzi e si riparte dal finale della prima stagione: in “New Year, New U” tuttavia l’approccio è un po’ sbrigativo con Emma e Jordan che vengono rilasciati e portati alla God U, Marie che è in fuga ma viene presto rintracciata e Cate e Sam che sono ancora dove si trovavano al termine della prima annata.

Come nella prima stagione, in università c’è una sensazione di marcio nascosto dietro a una facciata retta dal ricatto, e anche in questo caso i protagonisti non vogliono stare ad un gioco che non condividono. L’accordo per poter rientrare al campus viene accettato – con riluttanza – ma presto prevalgono quegli ideali di cui già si sono fatti portatori in precedenza. Così assistiamo a una riproposizione di una generazione di Super migliore, che vorrebbe sanare le dinamiche di potere corrotte e distanziarsi da una società guidata da personaggi come Homelander. A sostegno di questo vengono portati alla luce temi come la reputazione digitale e il mondo LGBTQI+, strumentalizzati a beneficio della visibilità dei Super.
Tuttavia Gen V riesce, per il momento, a non affondare nella prevedibilità: la tensione in alcuni passaggi è palpabile e non mancano colpi di scena ben assestati, anche se non tutti sono rivoluzionari o imprevedibili. Il ritmo è invece ben calibrato, alternando momenti di introspezione a sequenze più adrenaliniche. La violenza, il sarcasmo e la schiettezza che caratterizzano l’universo di The Boys sono presenti, ma con una sfumatura più emotiva. L’elemento più riuscito è comunque nella scrittura dei personaggi.
Marie, interpretata con intensità da Jaz Sinclair, è il cuore pulsante della narrazione. Se nella prima stagione era una giovane in cerca di riscatto, segnata dai traumi del passato, ora cerca di mantenere una propria bussola morale. Si divide tra il desiderio di giustizia e la paura di diventare come quelli che combatte, è più consapevole e si aggrappa alla verità. La sua evoluzione è credibile e potente, e la sua presenza scenica tiene in piedi le sequenze più intense.
Accanto a lei troviamo Cate (Maddie Phillips), una figura ambigua e complessa che diventa una vera e propria antagonista. Sopravvissuta a ferite fisiche e psicologiche, torna al campus faticando a capire da che parte vuole stare davvero. Anche il suo sviluppo è tra i punti più riusciti di queste puntate: è combattuta, stratificata e capace di destabilizzare le certezze del pubblico.

Non mancano momenti cruciali anche per Emma e Jordan, che in questa stagione acquisiscono più spazio e carattere, lottando dalla parte di chi vuole scardinare il sistema corrotto e ingiusto. I due si fanno portatori della dimensione di “persone” e non solo di “eroi” di tutti i giovani protagonisti. La loro maggiore rilevanza è probabilmente dovuta anche alla mancanza di Andre. La morte di Chance Perdomo – l’attore che lo interpretava – ha creato la necessità di rivedere la scrittura di questo secondo capitolo, in cui il personaggio con ogni probabilità avrebbe continuato a ricoprire un ruolo centrale.
La tragica scomparsa di Perdomo in un incidente motociclistico ha segnato profondamente la produzione di Gen V. Gli autori hanno scelto di non procedere con un re-casting e hanno invece reso l’assenza centrale e funzionale allo sviluppo di nuove tematiche. Il dolore provato dagli amici e gli interrogativi sulla sua morte, ma soprattutto lo struggimento del padre, Polarity. In particolare quest’ultimo, malato e consumato dal senso di colpa, incarna il lutto in modo autentico, con scene intense che offrono momenti di introspezione emotiva, in un universo dominato da cinismo e violenza. La perdita del figlio spezza l’eroe e lo allontana dalla figura carismatica e superba rappresentata in precedenza.
Il lutto diventa così parte integrante del percorso dei protagonisti, che devono elaborarlo, fare i conti con le loro scelte sbagliate e le relative conseguenze. Ma è anche il motore per cercare la verità e lottare dalla parte giusta, incarnando ideali profondi in un mondo dominato dal potere. Gli autori hanno fatto un buon lavoro di riscrittura, trasformando la mancanza di un personaggio principale in un’occasione per dare più spessore agli altri protagonisti e fortificare le loro storyline.

Anche il Super Virus introdotto nella stagione precedente non ha ancora avuto un seguito di spessore, benché questo elemento rappresenti un collegamento diretto con la serie madre. Sappiamo infatti che non si tratta solo di un’arma biologica, ma un simbolo di controllo e di ridefinizione degli equilibri di potere. La sua esistenza mette in discussione l’intero sistema dei Super, infatti il virus è letale per loro, che sono per la prima volta davvero vulnerabili. Si aprono così scenari che rendono questo spin-off una vera estensione dell’universo principale. Questa connessione risulta ben gestita perché non ci sono forzature, ma anzi la serie si intreccia sempre più con The Boys, che tornerà con il quinto capitolo nel 2026.
La seconda parte di Gen V sembra quindi più matura, schietta, drammatica e ambiziosa. La morte di Perdomo è stata ben gestita dagli autori e l’evoluzione dei personaggi è solida. Il rettore Cipher (Hamish Linklater) aggiunge una dimensione maligna e inquietante, preannunciando un nuovo forte antagonista e una fase più cupa per lo show. Si rileva un buon mix di temi affrontati, con un grado di profondità che allontana la serie dalla mera dimensione teen drama.
Le prime puntate della stagione confermano la solidità del progetto, che magari non porterà una rivoluzione nell’universo di Kripke, ma che ha presentato tre episodi con una trama godibile e promette di fornire spiegazioni e rivelazioni connesse alla serie madre. Si rafforza quindi la convinzione che Gen V non sia solo uno spin-off, ma un prodotto pensato, coerente e capace di aggiungere valore all’universo narrativo di The Boys .
Voto 2×01: 6 ½
Voto 2×02: 7
Voto 2×03: 7 ½
