Una serie tv live action appartenente al franchise di Alien era in progetto da diversi anni ma solo adesso lo show ha visto la luce grazie a FX e Disney+: Alien: Earth è un prequel che si svolge due anni prima del film originale del 1979 diretto da Ridley Scott, è ambientato sulla Terra e vede come showrunner e ideatore Noah Hawley, autore di grande fama grazie ai suoi apprezzati lavori televisivi Legion e, soprattutto, Fargo, l’adattamento seriale dell’omonimo film dei fratelli Coen.
I nomi coinvolti hanno fatto ben sperare i fan del franchise, anche perché lo stesso Hawley aveva dichiarato di voler creare un prodotto che fosse più simile nelle atmosfere e nello stile ai film originali della saga piuttosto che a quelle degli ultimi prequel usciti – Prometheus e Alien: Covenant. Nei fatti, in effetti, i richiami al film cult di Scott sono numerosi e, almeno per buona parte degli episodi di questa prima stagione dello show, anche le atmosfere e le situazioni citano apertamente a quel tipo di storie e generi, sebbene la narrazione di Alien: Earth scelga di aggiungere al genere monster horror anche elementi più spiccatamente fantascientifici e, in particolare, tutta una riflessione sul futuro dell’umanità.
Questa tematica è ovviamente incarnata dagli esperimenti sugli esseri umani portati avanti dalla Prodigy di Boy Kavalier, il geniale quanto folle ragazzo a capo della compagnia. Nel trasferimento di coscienza dei bambini in corpi sintetici – gli hybrid – e nel modo in cui questi personaggi – i Lost Children – si muovono e crescono sull’isola in cui è ambientato lo show, infatti, vi è già una parte significativa del modo in cui è affrontato questo tema da Hawley. L’autore sembra chiedersi se gli esseri umani siano formati solo e unicamente dai propri ricordi e se, dunque, basta scaricarli in un corpo diverso dal proprio e questo non cambierebbe nulla della propria persona. Inoltre cosa accadrebbe alla propria umanità se questo nuovo corpo non fosse propriamente umano ma addirittura, come nel caso dei bambini della serie, ti permettesse di essere superiore in tutto ad una persona normale?
Questi interrogativi sono portati chiaramente avanti dalla protagonista Marcy/Wendy e dal suo arco narrativo: la bambina si ritrova catapultata in un corpo adulto che non riconosce ma che impara ben presto a sfruttare con tutte le sue nuove abilità, al punto da portarla ad interrogarsi sulla propria natura di essere umano e sul proprio futuro. Il distacco di Wendy dal genere umano è accentuato dalla sua relazione con gli esseri alieni, in particolare con lo xenomorph che è tenuto sotto osservazione nel laboratorio della Prodigy: la ragazza riesce a comunicare e ad empatizzare con il “mostro”, ribaltando completamente il concept alla base del franchise. I veri mostri – come evidenziato in modo forse fin troppo didascalico dal titolo dell’ultimo episodio “The Real Monsters” – si rivelano infatti essere gli esseri umani che fanno i loro esperimenti sia sui propri simili che sulle creature aliene arrivate con la nave Weyland-Yutani; gli alieni e gli hybrid condividono il ruolo di vittime dei capricci e della morbosa curiosità di Boy Kavalier, qui rappresentante della volontà tipicamente umana di prevaricare e soggiogare gli altri esseri viventi al fine di affermare la propria superiorità.
La parte più interessante riguardo ai Lost Children è proprio il fatto che nonostante i loro corpi siano apparentemente adulti, in realtà sono dei ragazzini e, in quanto tali, si comportano in modo impulsivo e – spesso – sconsiderato. Questo tende a giustificare in parte alcuni passaggi di trama che li vede comportarsi in modo poco intuitivo, anche se la scrittura da questo punto di vista non è stata particolarmente attenta. Soprattutto nella seconda metà di stagione, infatti, non sono rare le forzature della sceneggiatura che giustificano alcuni snodi narrativi in modo un po’ fantasioso: per esempio sembra abbastanza assurdo che la sicurezza dell’isola della Prodigy – considerate le enormi risorse economiche della compagnia e il valore inestimabile degli esperimenti – sia così blanda e permetta ad Arush/Slightly di raggiungere così facilmente il laboratorio per rubare dei campioni per conto di Morrow, oppure ad Isaac/Tootles di rimanere chiuso all’interno di una delle celle contenenti le specie aliene. Per non parlare del fatto che questi ibridi possiedono tutti un localizzatore che permette alla compagnia di sapere sempre dove sono ma nessuno ha pensato di dotarli di un sistema di sicurezza per evitare che possano fare del male a coloro che li hanno creati, cosa che poi avviene puntualmente nel finale. Insomma, se la costruzione narrativa sul tema era stata buona e interessante nei primi episodi, il tutto si perde nella parte finale della stagione che risulta superficiale e poco ispirata, così come il cliffhanger la chiude: la ribellione degli hybrid nei confronti dei loro creatori e il sodalizio creato con la creatura aliena sono sì una chiusura interessante del cerchio e di quanto seminato nel corso della stagione ma il modo raffazzonato con cui ci si arriva sgonfia di pathos la scena e lascia quantomeno qualche dubbio sulla direzione che prenderanno gli autori.
Per fortuna, però, se mettiamo su una bilancia gli aspetti positivi e negativi di Alien: Earth il peso pende dal lato dei primi. Una parte sostanziosa di ciò è da attribuire al quinto episodio della stagione intitolato “In Space No One…”, un chiaro riferimento al celebre slogan promozionale del film originale del 1979; la puntata segue le vicende dell’equipaggio dell’astronave Maginot dal risveglio – mostrato brevemente anche nel pilot – alla sua fine per mano dello xenomorfo e il suo schianto sul suolo terrestre. Si tratta del segmento narrativo più riuscito tra tutti gli episodi per vari motivi: in primis è quello che cita più apertamente Alien e con esso lo stile sci-fi/horror su cui si basa tutta la saga – un luogo chiuso in mezzo allo spazio, il mostro che uccide tutti i personaggi uno dopo l’altro –, in secondo luogo si può guardare come un episodio autoconclusivo che non aggiunge quasi nulla alla trama – dei personaggi nell’episodio ne sopravvive solo uno; certo, si scopre un dettaglio sulle responsabilità di Boy Kavalier nell’incidente ma non è uno snodo narrativo fondamentale e, soprattutto non ha alcun seguito negli episodi successivi – ma che funziona perfettamente proprio perché sappiamo benissimo cosa aspettarci, oltre che ad essere ben scritto e diretto dallo stesso Hawley.
In definitiva l’autore newyorchese rivela in questo progetto tutti gli elementi per cui si è fatto apprezzare nel recente passato ma compie anche diversi passi falsi: Alien: Earth è un buon prodotto che ha la capacità di attingere alla mitologia di una delle saghe più amate della storia del cinema ed espanderne in modo intelligente le tematiche trattate al fine di renderle più profonde e soprattutto adatte ad un media molto diverso come quello televisivo; d’altro canto se la prima parte di stagione è ben sviluppata e costruisce bene i rapporti tra i personaggi, i loro obiettivi, il worldbuilding e riesce a bilanciare il tutto con le scene d’azione tipiche del franchise, la seconda lascia un po’ a desiderare in quanto a scrittura e snodi di trama, facendo pensare che gli autori volessero arrivare il più in fretta possibile al finale soprassedendo sulla credibilità di ciò che scrivevano. Il risultato finale, tuttavia, è perlopiù positivo e, anche grazie a un ottimo quinto episodio, fornisce una sana dose di intrattenimento sci-fi che farà felici i fan ma anche chi non ha mai visto un film della saga di Alien.
Voto: 7
Alien è uno dei capolavori SF del secolo scorso, a mio giudizio una spanna sopra anche l’osannato (giustamente) Blade Runner, sempre di Ridley Scott ed è anche, purtroppo, il più “saccheggiato” e quel che fa più male, proprio dallo stesso Scott. Purtroppo questa serie non è da meno, aggiungendo e mescolando temi già visti e rivisti nei sequel, prequel e crossover della saga, ma anche in altri film. Dopo il quinto episodio, un gioiello di minifilm nella serie, tutto crolla evocando gli spettri di Westworld dove tutto finì in vacca. E vedere lo Xenomorfo ridotto a cagnolino addomesticato fa tanto, tanto male.