Sebbene siano passati solo trent’anni dagli anni ’90, i cambiamenti sociali e morali sembrano mostrare differenze molto più sostanziali. Una di queste ha certo a che fare con il concetto di mascolinità e il modo in cui ci si riconosce nel proprio ruolo.
È da questo presupposto che inizia Boots, la nuova serie Netflix tratta dal romanzo autobiografico di Greg Cope White The Pink Marine (che dà anche il titolo all’episodio pilota); l’autore è anche parte del team autoriale della serie, infondendo ancora di più un senso di personale partecipazione. In preparazione da anni, poiché sospesa per Covid e scioperi degli autori, la serie è stata creata da Andy Parker e prodotta dall’ormai defunto Norman Lear. Boots racconta la storia di Cameron Cope (Miles Heizer, 13 Reasons Why), un ragazzo gay alla scoperta di sé stesso nel 1990, che decide di seguire il suo migliore amico e confidente Ray. I due si arruolano nei Marines, solo in parte consapevoli della difficoltà (stereotipica) di far parte di un corpo militare così fortemente incentrato sulla virilità e sull’esaltazione della violenza come fattore identitario. Cameron deve affrontare i propri demoni e lo fa mettendosi alla prova nell’ultimo luogo in cui ci si aspetterebbe di trovarlo.
L’episodio pilota inizia proprio da qui, ovvero dal presentarci un Cameron in grande difficoltà non solo perché vittima di bullismo e ignorato dalla sua famiglia (in particolare da una carismatica Vera Farmiga nei panni di sua madre), ma soprattutto perché incerto su che cosa fare di sé e della propria vita. Colpisce in positivo, poi, che non si tratti di una storia di scoperta della propria sessualità: Cameron ne è già ben consapevole. Si tratta piuttosto di rimettere in discussione il proprio modo di sentirsi parte di questo mondo, qui dove la mascolinità è portata all’estremo e l’omosessualità più di un tabù. Come vedremo, però, il campo d’addestramento sembra un luogo in cui molti cercano una seconda opportunità per capire qualcosa in più di loro stessi.
Se la prima parte del pilota ci mostra l’esercito in forma un po’ stereotipata, è nella seconda metà che la scrittura si fa più interessante, spostando l’attenzione dal modello Full Metal Jacket a uno più intimo concentrato sui personaggi. Quello che colpisce è la capacità autoriale di tratteggiare rapidamente vari personaggi all’interno del plotone, descrivendocene con poche ma ottime scene gli aspetti da sviluppare, eppure già capaci di creare empatia tra lo spettatore e le loro vite. Si tratta di una difficoltà non da poco per un episodio pilota; Boots invece ci riesce in fretta e delle storie degli altri cadetti ci sembra subito di volerne sapere di più. C’è un’idea di solidarietà maschile alla base di questo racconto che potrebbe prestarsi a un’esposizione più interessante sulla mascolinità e sul senso di identità, soprattutto in un periodo storico come il nostro in cui si è portati a credere a un ritorno di quelle forme di machismo che parevano abbandonate. Dopotutto, la serie è ambientata ancor prima del “Don’t Ask, Don’t Tell,” quando insomma l’omosessualità era fattore incriminante e rischioso, tanto più in un contesto come quello militare. Ma oltre all’omofobia ovviamente protagonista, vi sono anche casi di razzismo e violenza contro i corpi non conformi. Nonostante tali aspetti negativi, tuttavia, si percepisce a tratti un tono conciliante nei confronti dell’esercito da parte della scrittura degli autori, quasi a dimostrare che in fondo un percorso militare possa portar fuori il meglio di una persona e creare legami personali a lungo termine. Bisognerà vedere se la serie saprà reggere un’ipotesi così complessa e controversa al netto di come essa sia un’esperienza totalizzante nella vita di chi la inizia. Ci sono poche donne in questo show, ma oltre a Barbara (la madre di Cooper) c’è da vedere se maggior spazio verrà dato all’unica militare che si intravede nel pilot di Boots; per ora, in generale, ai membri ufficiali dell’esercito viene dato poco spazio oltre alla prevedibile sequenza di grida, sveglie a orari improbabili, ed esaltazione della forza e della violenza. Qualche scorcio di umanità che si intravede però qua e là può far ben sperare.
C’è poi anche della commedia all’interno della serie, per ora affidata alle peculiari caratteristiche materne di Barbara, o a qualche battuta qua e là che alleggerisce un percorso altrimenti troppo pesante da reggersi a lungo. E c’è spazio sin da subito per la costruzione del dramma nelle difficoltà non solo del protagonista ma anche dei vari cadetti, ciascuno di loro con un pesante bagaglio da superare e conquistare. Questo, associato poi a un uso intelligente di flashback (brevi) e della musica d’epoca, fan sì che questo pilot scorra via abbastanza tranquillamente.
Il primo episodio di Boots si dimostra più interessante ed efficace di quanto si potesse pensare dalle prime scene diffuse. La serie è il racconto di maschi alle prese con la scoperta e la comprensione del proprio intimo in un luogo, il campo d’addestramento per Marines, tutt’altro che ospitale. È proprio questo contrasto, alternato a buone performance attoriali e una scrittura rapida e densa, che permette a “The Pink Marine” di apparecchiare una buona tavola, nella speranza che i sette episodi successivi possano andare ancor più in profondità.
Voto: 7