A ormai pochissimi passi dal finale, Twin Peaks dedica un’intera puntata al concetto di soglia e di passaggio tra mondi opposti, portando avanti non solo il racconto di questa stagione, ma anche la poetica stessa di Lynch, relativamente alla serie e alla sua intera cinematografia. Non è un mistero infatti che i luoghi di confine siano sempre stati presenti nell’opera lynchiana, e sono ovviamente alla base di Twin Peaks fin dai suoi albori. Possiamo dire, quindi, che Frost e Lynch abbiano con questo episodio reso un tributo, in più di un modo, alla loro stessa opera, salutando il passato e aprendo all’ignoto che ancora ci resta da scoprire.
Are you gonna put your coat on or talk me to death right here, on the threshold?
I personaggi, seppur in modi diversi, arrivano con questo episodio sulla soglia del cambiamento o al massimo poco oltre: è quindi importante capire non tanto perché alcuni attraversino questo limite e altri no, ma soprattutto come siano finiti in quel punto di passaggio; cosa si trova in quella soglia; come, infine, sia impossibile considerare i due luoghi – quello di partenza e quello di arrivo – come due posti ben distinti, ma siano invece una sorta di unicum, generato l’uno dall’altro.
Per fare questo, e prima di parlare di uno dei luoghi liminari per eccellenza in questa stagione – il Convenience Store –, bisogna fare un passo indietro e cercare di rispondere ad una domanda un po’ più ampia e che si ricollega all’episodio precedente: che cos’è il sogno per Lynch?
In tutta la sua cinematografia, e anche nello stesso Twin Peaks, il sogno non è mai qualcosa di puramente freudiano, ossia una mera rielaborazione dei desideri, delle paure e del vissuto umano; al contrario, il sogno diventa l’unico modo per comunicare con un mondo che è “altro” da noi e a cui non abbiamo libero accesso. La dimensione onirica diventa quindi una terra di confine, in cui si incontrano i due mondi (per citare The Man from Another Place nel Missing Piece sul Convenience Store) e che permette a colui che sogna (“the dreamer” della scorsa puntata) di accedere ad un luogo altrimenti irraggiungibile – o al massimo raggiungibile attraverso dei portali: il vortice, i boschi di Twin Peaks.
So, you are Cooper?
Certo, ormai sappiamo che alcune entità, e dunque alcuni luoghi come il Convenience Store o la Black Lodge, sono stati creati dall’uomo stesso e dalla sua malvagità, con un processo simile a quello del tulpa, citato da Tammy nell’episodio precedente; ma questo non fa alcuna differenza rispetto al risultato finale: pur nascendo da noi, sono luoghi ormai “altri”, che vivono di vita propria e che non garantiscono un libero accesso a chi non vi appartiene.
E del resto la conferma ce la diede molto tempo fa lo stesso Phillip Jeffries, che, in Fire Walk With Me, arrivò a Philadelphia dopo due anni di assenza dichiarando di essere stato nel Convenience Store e aggiungendo “It was a dream. We live inside a dream”, con parole molto simili a quelle di Monica Bellucci nel sogno di Gordon Cole. Anche Laura aveva avuto accesso a quel luogo – che riconosciamo dalla carta da parati – proprio grazie ad un sogno, mentre Mr. C ci entra a suo piacimento perché appartiene a quello stesso mondo. Rimane solo una cosa da chiarire, dunque: come ha fatto Jeffries a finire in qualche modo incastrato al suo interno, chiuso in una stanza di un motel raggiungibile solo dal Convenience Store? Cosa sia successo dopo Buenos Aires, luogo in cui aveva fatto ritorno dopo Philadelphia – come ci raccontano i Missing Pieces –, non ci è dato di sapere; quello che possiamo dedurre è che Jeffries sia una forza positiva che per qualche ragione è stata imprigionata lì: ha infatti la stessa forma della campana che abbiamo visto nella White Lodge in “Part 3” e in “Part 8” ed emette fumo, proprio come l’oggetto che nella scorsa puntata ha permesso ad Andy di avere informazioni dal Fireman.
Ma sono due le notizie importanti che Mr. C e noi riceviamo da Jeffries in questa puntata: le coordinate di Twin Peaks (sono infatti le medesime che erano scritte sul braccio di Ruth) come indicazioni del luogo in cui si trova Judy, e l’informazione che Cooper ha già visto la donna. Negli anni sono state molte le teorie sull’identità di Judy, e più di una persona (uno dei co-produttori di Twin Peaks e sceneggiatore di Fire Walk With Me Robert Engels, la stessa attrice che interpretava Josie, Joan Chen) ha nel tempo dichiarato che sarebbe stata la sorella di Josie Packard; ma è solo grazie a questi ultimi episodi che ci è possibile dare una risposta più completa anche ad un altro mistero, risalente a Fire Walk With Me, ossia la scimmia che nel finale del film chiamava proprio il nome di Judy. Impossibile, giunti a questo punto, non fare il collegamento con i versi, proprio da scimmia, emessi da Naido in prigione, su cui Lynch ha posto molta attenzione nelle ultime due puntate. Naido sarebbe dunque Judy, vecchia conoscenza di Jeffries, che il Gigante/Fireman ha ordinato di proteggere in quanto in pericolo di vita.
Ci sono infine ancora un paio di osservazioni da fare sulla scena ambientata al Convenience Store: la ripresa del Jumping Man, figura già nota a partire dal film, si sovrappone in modo inquietante al volto di Sarah Palmer, aprendo così uno squarcio sulla sua identità attuale, che già avevamo avuto modo di mettere in dubbio con l’episodio precedente. Più che un accesso tramite il sogno, possiamo con buona certezza supporre che la madre di Laura sia ormai parte di quel mondo, forse proprio a causa del male che l’ha circondata per tutta la sua vita. Abbiamo inoltre la conferma (come se ce ne fosse ancora bisogno) che ciò che vediamo non è in ordine cronologico – il messaggio “Las Vegas?” diretto a Diane parte solo ora – e finalmente viene detto ad alta voce da Richard il nome di sua madre. Non è ancora confermata l’identità paterna, ma per ora è importante che ci sia qualcuno ad aver collegato Mr. C a Cooper – qualcuno oltre ai Fusco, ovviamente.
Alla loro partenza il Convenience Store sparisce, come la Black Lodge: i luoghi di confine in Lynch sono sempre dei non-luoghi, caratterizzati generalmente da una difficile collocazione spaziale (si pensi alle labirintiche stanze di casa Madison in Lost Highway) o geografica (sempre nello stesso film, la baracca del Mystery Man); in Twin Peaks è invece lo spazio-tempo a piegarsi a favore di posti liminari, le cui soglie vanno sempre oltrepassate con consapevolezza, pena la perdita di se stessi – come accadde, appunto, a Dale Cooper.
“It’s like all our dreams are coming true”
“True.”
Se Mr. C è dunque ormai senza dubbio sulla soglia del ritorno a Twin Peaks, il vero Cooper è ancora bloccato nei panni di Dougie e con la sua famiglia, che a quanto pare ha un elevatissimo numero di omonimi, come la breve e esilarante scena all’FBI ci suggerisce. Ma sappiamo che qualcuno sta guidando le mosse di Dale/Dougie, anche le più fortuite: ed è così che accende casualmente la tv e sente pronunciare il nome di Gordon Cole. La scena, oltre all’aspetto meta dovuto al fatto che Lynch ha preso il nome del suo personaggio proprio da quello di Sunset Boulevard, rappresenta un momento di risveglio per Dale, sufficiente almeno a capire che è verso la presa elettrica che deve andare; il movimento a carponi per terra – che richiama per lentezza la celebre scena di BOB e del divano, ma anche quella finale con la povera Ruby al Bang Bang Bar – lo conduce verso il luogo da cui è arrivato in questo mondo, e soprattutto verso quell’elettricità che sappiamo avere un ruolo fondamentale nella mitologia di Twin Peaks (e nella poetica di Lynch).
A tal proposito, nelle scene viste da Andy nella scorsa puntata abbiamo avuto sia i fili elettrici che hanno anticipato la scena di Mr. C verso il Convenience Store, sia il famoso palo col numero 6, un oggetto ricorrente e che abbiamo visto più volte – alla morte del bambino in, guarda caso, “Part 6”, nei Missing Pieces, e soprattutto in Fire Walk With Me al Fat Trout Trailer Park: dove viveva Teresa Banks, dove è scomparso Chester Desmond e dove ora vive Steven, come sottolinea un Mark Frost di nuovo nei panni di Cyril Pons. La presenza di questo palo (e della corrente) non sembra insomma portare a nulla di buono per chi gli sta attorno e la conferma arriva proprio dalla scena di Steven e Gersten, la sorella di Donna: non è chiaro cosa Steven abbia commesso, ma di certo quello a cui assistiamo non è un semplice delirio indotto da sostanze stupefacenti e il suo bisogno di uccidersi sembra più una via per liberarsi da qualcosa, o da qualcuno. Lo sguardo finale di Gersten al bosco di Twin Peaks, con tutto quello che rappresenta, sembra confermare questa ipotesi.
There’s some fear, some fear in letting go.
Non sappiamo se il colpo di Steven l’abbia davvero ucciso, e se quindi abbia passato la sua personale soglia; di sicuro lo ha fatto un personaggio storico della serie, a cui Frost e Lynch dedicano uno degli addii più sentiti di sempre. Catherine Coulson era già molto malata durante le riprese di “The Return” ed è mancata nel settembre del 2015; è quindi doppiamente straziante ascoltare Margaret Lanterman, la nostra Lady Log, pronunciare parole così difficili sulla morte, sulla paura che soggiace all’idea di lasciare andare tutto, di passare quel limite, e tuttavia di non sparire davvero, ma semplicemente di cambiare. L’addio del passato di cui si parlava all’inizio passa soprattutto attraverso di lei: non solo la donna reale, a cui è stata dedicata la premiere insieme a Frank Silva, ma anche il personaggio Margaret Lanterman, cui è dedicato questo episodio, come a sottolineare che i due mondi, quello reale e quello finzionale, necessitano entrambi di un riconoscimento, che avviene in modo rispettoso ma necessario in ben tre momenti – la telefonata struggente ad Hawk, l’annuncio al dipartimento, le luci della sua casa che si spengono.
C’è un’altra morte di cui è giusto parlare, anche se non è questo l’episodio a lui dedicato. Le continue citazioni del personaggio di Phillip Jeffries avevano infatti acceso nel pubblico la speranza di poter rivedere David Bowie, che, mancato 4 mesi dopo Catherine Coulson, avrebbe in teoria potuto girare qualche scena. Questa puntata sembra ormai cancellare ufficialmente qualunque possibilità, non solo per la rappresentazione fisica di Jeffries, ma anche perché la voce gli è stata prestata da Nathan Frizzell. Se per la Coulson e il suo personaggio il passaggio dalla vita alla morte diventa quindi qualcosa di protratto, di fluido, come se i due mondi fossero appunto un continuum che prevede solo un cambiamento di stato, e non già un’assenza, Lynch trova il modo – sottile, elegante, criptico quanto basta – per farlo valere anche per David Bowie. Non si può considerare altrimenti la scena tra Chantal e Hutch dopo l’uccisione di Duncan Todd e Roger, in cui, a seguito di una riflessione sul concetto (anche qui, molto fluido) dell’assassinio in America, Chantal osserva dal nulla il cielo e pronuncia una sola parola: “Mars”, il luogo in cui per il nostro Duca Bianco, forse, c’è ancora vita.
“I’ve been loving you too long to stop now” – Otis Redding
Dire addio al passato per arrivare ad un nuovo modo di vivere, ad un nuovo mondo, comporta sempre un alto livello di nostalgia e commozione, ma non è obbligatoriamente qualcosa di negativo. Lynch e Frost lo sanno bene e decidono di regalare finalmente a Big Ed e a Norma l’amore che abbiamo desiderato per loro per quasi tre decadi. Solo la follia di Nadine poteva tenere Ed incollato al suo posto, e solo un altrettanto folle gesto come quello legato alla pala di Jacoby/Amp poteva liberarlo. Il modo in cui Ed entra al RR e la musica si accende e si spegne a seconda che lui sia inquadrato o meno, unito all’attesa ad occhi chiusi al bancone del diner, contribuiscono a creare una situazione in cui la forza dell’amore è qualcosa di fisicamente presente, e quella mano che spunta dal nulla alle sue spalle restituisce l’immagine di un amore evocato, desiderato talmente tanto e con una forza tale da – finalmente – venire alla luce, come un tulpa positivo che si contrappone a quello finora raccontato.
Chi invece non riesce a uscire dalla sua situazione ed è letteralmente bloccata sulla soglia da tre puntate è Audrey, della cui condizione non abbiamo alcuna certezza. Ciò che sembra ormai sempre più chiaro è che quello non sia un mondo reale, o che comunque lei sia incastrata in una realtà tutta sua – sia essa causata da uno stato di follia, o da un sogno, o dal coma – da cui desidera uscire ma a cui è destinata a tornare costantemente, come anche questa puntata ci mostra. Il profluvio di nomi che aveva pronunciato nella sua prima apparizione sembra tuttavia trovare un riscontro nella realtà, visto che in prigione è presente un uomo che dalle descrizioni sembra essere Billy e al Bang Bang Bar troviamo Chuck, marito di Renee. È davvero difficile tenere traccia di tutto ciò che accade in queste serate, ed è chiaramente nelle intenzioni di Lynch creare questa confusione e alimentarla; ciò che di certo è interessante è che, a causa della lite con James e dell’intervento del guanto verde di Freddie, i due si trovino in prigione dove c’è anche Naido, in pericolo di vita e ricercata da Mr C, il quale è ormai ben noto per la sua forza. Toccherà a Freddie proteggere Naido-Judy, portando così a termine il compito affidatogli dal Fireman? Sembra sempre più probabile che sarà così.
A tre episodi (ma a due settimane) dalla fine, Frost e Lynch ci regalano un’ora solo all’apparenza frammentata, ma che invece rappresenta con diverse sfumature tutti i livelli della storia di Twin Peaks: l’amore, l’odio, la vita, la morte, il sogno, i non luoghi. Nel frattempo non rinunciano a condurre finalmente ogni tassello nel posto giusto e a creare le condizioni per un finale che non può che avere luogo lì dove tutto è cominciato, e dove forse Cooper potrà finalmente incontrare se stesso. Ciò che stupisce, ancora una volta, è la capacità di mettere in comunicazione non solo i mondi della serie, ma anche quello dello show e il nostro, avvalendosi di una componente meta-narrativa sempre presente e utilizzandola, con rispettosa riverenza, per ringraziare coloro che a questo mondo hanno dato vita.
Voto: 9
Recensione ricchissima di chiavi di lettura tramite le quali ci si può certamente districare meglio nel magma di TP3 e che non mancherò di rileggere, proprio per la sua utilità. Commosso da morte e commiato in scena, come definirli altrimenti, di un personaggio storico e amatissimo come Lady Log. Mi chiedo, con l’oramai prossimo ritorno di Good Coop, che ne sarà di Mrs Dougie Jones alias Naomi Watts, sarebbe un peccato se sparisse.
Ciao Genio, grazie! Sì, devo dire che è stato un bell’impegno questa recensione, ma è la dimostrazione di come le cose in TP stiano davvero convergendo verso una fine risolutiva, poi magari non di tutto (non sarebbe Lynch se così fosse, ecco), però non si può certo dire che siano tutte cose scollegate tra loro. Chiaro che l’impegno richiesto allo spettatore sia maggiore rispetto alle serie cui siamo abituati.. ma di nuovo, stiamo parlando di Lynch 😀
Io non credo che Janey-E sparirà, anzi. La questione della parentela con Diane (vera o presunta) è comunque ancora nell’aria, qualcosa si dovrà dire a riguardo!
Davvero complimenti, e grazie per avermi fatto notare come mi fosse sfuggita una miriade di aspetti di questo episodio…
Grazie Stefano! 🙂