A Series of Unfortunate Events – Stagione 3


A Series of Unfortunate Events - Stagione 3Recensione è una parola che si usa quando è desiderio, proprio o altrui, stilare un esame critico, in forma di articolo, su una certa opera di recente pubblicazione. Alle volte è un compito gioioso e allegro, altre è un compito infausto e tremendo, perché si è destinati a recensire una tragedia o una serie di sfortunati eventi. Il mio nome non è Lemony Snickets (Patrick Warburton, Seinfeld), perciò mi limiterò al gramo compito di recensire A series of Unfortunate Events, serie originale Netflix, iniziata nel 2016 e giunta alla sua ultima, mesta stagione.
Se siete giunti a questa recensione, significa che avete assistito fino alla fine ad ogni sfortunato evento dei poveri orfani Klaus, Sunny e Violet Baudelaire (Louis Hynes, Malina Weissman, Presley Smith), nella loro fuga dalle grinfie del nefando Conte Olaf (Neil Patrick Harris, How I met your mother).
Dal primo dell’anno lo show tratto dai romanzi di Daniel Handler si conclude con l’annata più breve del trittico che compone la serie e, al contempo, la più densa di eventi e situazioni affrontate dagli orfani protagonisti.
La sfida, nel trasporre una serie di romanzi così particolari, risiede nell’intrattenere raccontando una storia tramite mezzi diversi, disponendo della trama con un tocco personale, senza stravolgere il cuore dell’opera che si va ad adattare. Il sodalizio di produttiva fedeltà tra i due medium è ciò che premia le sventure dei Baudelaire e del carosello di personaggi che, tragicamente, li seguono. La durata ridotta della nuova annata si rivela il modo migliore per approcciarsi e apprezzare queste stravaganti narrazioni, determinando il successo della commistione tra materiale d’origine e traduzione su schermo.
Poche sono le libertà che lo showrunner Mark Hudis si prende nei confronti del suddetto materiale di origine, ma nel complesso si rivelano scelte ben ponderate; una di queste sarà l’ampliare il finale, affidandosi all’epistolario fittizio The Beatrice Letters. Il nuovo epilogo dona al pubblico una nota positiva alla serie: non svela troppo riguardo il destino dei suoi protagonisti, ma riesce a ribadire un’inossidabile fedeltà verso la filosofia della serie letteraria, a cui il prodotto Netflix dà nuova vita.

A Series of Unfortunate Events - Stagione 3Se siete stati così impudenti da non guardare altrove, come più volte caldamente consigliato dal buon Lemony, avrete notato che la serie ha giocato molto sulle sue esagerazioni. Nella seconda stagione erano risultate un po’ ridondanti fino ad apparire forzate, ma nella terza assumono tutt’altra dimensione: ogni invenzione di Violet, indovinello e gioco di parole risolti da Klaus, si sposa in modo soddisfacente con la crescita dei personaggi e con la storia che viaggia spedita verso la sua conclusione. L’anno precedente, lo show rischiava di scadere in una commedia gotica degli errori fine a se stessa, ma la terza stagione si è realizzata come un avvincente racconto di formazione per gli orfani, colmo di riferimenti ad altre opere di narrativa e poesia, e migliorato anche nel comparto estetico, arrivando ad aggiungere un graditissimo tocco steampunk in episodi come “The Grim Grotto: pt.1 & pt.2”.

L’evoluzione dei personaggi, che aveva latitato nei dieci episodi della precedente stagione, è un’altra gradevole spinta alla narrazione; in questa annata, si esplorano territori nuovi e si stravolgono le dinamiche che legano i protagonisti dello show.
I primi da ricordare sono gli scagnozzi di Olaf, che lo abbandonano, riflettendo la caduta in disgrazia del villain stesso, sebbene la troupe di Olaf, così come i freaks della precedente stagione, avrebbero meritato più spazio. Tra gli henchmen e henchwomen va una menzione particolare a Carmelita Spats ed Esmé Squallor, la cui fine nell’hotel in fiamme non è svelata, ma che sono state in grado di magnetizzare l’attenzione, quando in scena, e strappare più di una risata, grazie anche alle performances di Kitana Turnbull e Lucy Punch, che si calano nei ruoli a loro assegnati alla perfezione. In particolare la Punch, che interpreta l’odiosa Esmé, con un fascino e una verve comica mai scontati.
Un discorso a sé per Fernald o Hooky, la cui storia, solo accennata nella seconda stagione, si sviluppa con un arco narrativo breve, inatteso, ma sapientemente costruito tramite l’inedita amicizia con Sunny Baudelaire dello scagnozzo interpretato da  Usman Ally (Agents of S.H.I.E.L.D.); è questo a mettere in moto la progressiva sfiducia nei metodi violenti del Conte, che culmina nella riunione con la sorella: Fiona, un personaggio appena approfondito, ma sufficientemente inserito nella trama da permettere alla serie di andare avanti senza intoppi.

A Series of Unfortunate Events - Stagione 3Dall’altro lato, gli alleati dei Baudelaire sono gli Snickets e i Volontari del V.F.D. che continuano a proteggere fino alla morte gli orfani e sono vittime dell’usuale serie di sfortunati eventi. I loro tragici destini sono un’eredità dei libri da cui è impossibile staccarsi, ma le loro morti in difesa dei protagonisti, per quanto alle volte colpevolmente anti-climatiche, sono da rivalutare in seno all’ottima costruzione dei misteri attorno alla società segreta e per ciò che ogni morte, ogni frase a mezza bocca degli agenti dei Vigilanti significa – e soprattutto non significa – per i Baudelaire.
In questo ginepraio di misteri si inserisce il Conte Olaf, interpretato dal mattatore Neil Patrick Harris, che è sempre meno nei panni del cattivo della vicenda. L’attore veterano della serialità è oramai in perfetta sintonia con il personaggio; anche nei momenti critici e malinconici, finalmente emersi nelle ultime puntate, Harris è in grado di rendere memorabile un personaggio sopra le righe, ma profondamente umano nel suo desiderio di vendetta, oltre ogni stravaganza e nefandezza. Grazie ai flashback si rivela la sua storia, che non è nulla di speciale, né deve esserlo, perché non è la sua storia il punto focale dello show.
Dalle rivelazioni riguardo il suo passato e la cura nella sua rappresentazione si potrebbe pensare al Conte Olaf come il cuore pulsante di questa opera: istrionico, tragico antieroe. Tuttavia, la centralità della vicenda è un podio che i Baudelaire non hanno mai abbandonato e che mai come ora rivendicano.
Sebbene sia sbocciata in ritardo, l’evoluzione dei fratelli Baudelaire raggiunge il suo culmine durante il processo ad Olaf nell’episodio “The Penultimate Peril pt.2”, con uno struggente monologo dove, non più alla sbarra ma come su un palco, gli orfani denunciano nel modo migliore la peggior colpa di ogni adulto che, in quel momento, li guarda: il non ascoltare.
Il “non ascoltare” degli adulti è il fil rouge che unisce le più disparate vicende del giovane trio ed è una tematica che ha scavato profondamente nelle dinamiche tra i personaggi nella prima stagione e rivitalizzato la storia nella terza. Innumerevoli volte lo spettatore si ritrova ad assistere al successo dei travestimenti del conte, che inganna ogni altro adulto, perché:

“Everywhere we went, we tried to tell people who he was and what he was capable of!”
“But they wouldn’t listen!”
“Nobody would listen!”

Questa è la vera tragedia dei Baudelaire, questa la causa di ogni sfortunato evento: nessuno ha mai davvero ascoltato questi orfani. Klaus, Sunny e Violet sono visti come dei ragazzini che non possono sapere cosa sia meglio per loro, dalle prime puntate in cui Olaf storpiava le correzioni di Klaus ai suoi discorsi, passando per tutti gli adulti ingannati dai ridicoli travestimenti del persecutore dei protagonisti. Soprattutto i loro tutori si sono illusi nel fare il loro bene senza ascoltare il loro giudizio, tra cui la giudice Strauss stessa, interpretata da Joan Cusack (Shameless), che solo nel finale giunge a questa tragica, colpevole agnizione, al contrario di altri personaggi, uno fra tutti il garante della loro eredità, il sempre emblematico Mr. Poe (K.Todd Freeman, The O.A.).

A Series of Unfortunate Events - Stagione 3L’incompetenza degli adulti è stata una costante in A Series of Unfortunate Events, ma mai, prima d’ora, è stata denunciata in maniera così aperta dai Baudelaire, davanti ad una platea di quegli adulti che li hanno delusi e che pensavano di ricevere un ringraziamento, non un’accusa.
Questa inadeguatezza dell’adulto in quanto guida si rispecchia efficacemente anche nell’incapacità di molti dei passati guardiani nel riconoscere i Baudelaire travestiti da fattorini dell’Hotel Denoument, allo stesso modo in cui erano stati ingannati dalle trovate di Olaf.
Nella stagione finale di A Series of Unfortunate Events Klaus, Sunny e Violet finalmente prendono in mano il loro destino e decidono di scappare proprio con il loro persecutore, il Conte Olaf, sorprendendo lo spettatore. In particolare per Lemony Snickets, questa fuga è un momento triste, non perché conosce gli avvenimenti sull’isola in “The End”, ma per la sua apprensione verso i Baudelaire, credendoli ancora povere vittime degli eventi. Dall’incompetenza dei loro guardiani gli orfani hanno appreso come bastarsi, forgiando la loro storia quando nessuno era in grado di proteggerli.
I Baudelaire, finalmente, scelgono: scelgono di non seguire Lemony Snickets, scelgono di denunciare quegli adulti incompetenti, scelgono di fuggire con Olaf e, soprattutto, scelgono più volte di non uccidere il loro acerrimo nemico, rivendicando la loro identità e le loro scelte nonostante siano ancora poco più che bambini.
Venire a patti con il mondo degli adulti è anche foriero di una verità, che potrebbe piacere o non piacere nell’economia del racconto, ma si rivela fondamentale per comprenderne la filosofia: nessuna risposta è soddisfacente, da ciò che contiene la zuccheriera sino al passato di Olaf, la cui presenza però permane come monito di come – sotto l’ala di una guida deviata – i Baudelaire sarebbero potuti diventare.
Da un lato, questa scelta potrebbe esser vista come una pretenziosità voluta per raggiungere risultati facili narrativamente, ma a ben vedere è più complicato di così. Daniel Handler stesso scrisse A Series of Unfortunate Events non non come un tipico racconto per ragazzi, dove ogni nodo viene al pettine e ogni dilemma ha una risoluzione chiara ed efficace, perché l’attenzione è sul percorso dei Baudelaire. Questa è una linea che, nel bene o nel male, lo show segue fedelmente: dalla capacità di Klaus di svelare i misteri dell’organizzazione V.F.D., con le risorse da inventrice di Violet e sul maturare di Sunny, che nella terza stagione comincia ad articolare parole e a camminare; la crescita degli orfani non volge a uno sbrogliare una matassa più grande di loro, ma servirà nelle nuove vite che hanno conquistato. Il rinsaldarsi di questo particolare aspetto dell’opera dona nuova linfa a questi personaggi e al loro epilogo, sacrificando una possibile trama più grande e ad ampio respiro.

A Series of Unfortunate Events - Stagione 3Al suo termine, A series of Unfortunate Events ha una difficile collocazione nel grande panorama seriale: è un drama? Una comedy? Una dramedy?
Arduo da dire, perché, pur con alti e bassi, A Series of Unfortunate Events ha sempre mantenuto una identità a sé stante, che non la rende assimilabile davvero a nessun genere. La certezza è che questa particolare commedia degli errori gotica, quest’avventura tra il serio e il faceto, è stata in grado di regalare in egual misura divertimento e riflessione, per chi ha avuto la pazienza di ascoltare e superare i momenti di stallo di uno show giunto al suo termine e che, contrariamente a quanto finora auspicato, non ci ha regalato un tragico finale… ma neanche un lieto fine.

Voto stagione: 7½
Voto serie: 7

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