True Detective – 3×03 The Big Never 1


True Detective - 3x03 The Big NeverÈ alla terza puntata che questa stagione di True Detective inizia a rivelare le sue carte. Se i primi due episodi infatti avevano giocato consapevolmente con meccanismi dejà vu, offrendo alle aspettative del pubblico un incipit legato ad atmosfere narrative simili a quelle della prima stagione, questo terzo si propone come la spinta in affondo per una storia nuova e indipendente.

“The Big Never” è un capitolo più che valido, dedicato soprattutto allo sviluppo della narrazione, convenzionale da un punto di vista formale ma capace di trascinare in avanti l’asse tematico grazie a un’impostazione dotata di sensibilità, di tempismo, di organizzazione delle proporzioni nel quadro a lungo termine. Non c’è nulla fuori posto o di troppo nella costruzione di questo episodio apparentemente riempitivo e attendista, c’è invece il calcolo delle dinamiche interne – tra personaggi e personaggi, tra eventi ed eventi –, l’armonia tra parti dialogate, tempi differenti e monologhi esplicativi, e la perfetta dose di rivelazioni che spinge a proseguire la visione anche senza l’esistenza di un cliffhanger o di un colpo di scena particolarmente audace. Iniziano infatti a emergere le direzioni della trama di questa stagione, il tema principale – che riunisce i personaggi, gli ambienti e la narrazione – e quella sensazione quasi impalpabile che si trasforma in irresistibile brivido lungo la schiena: l’investimento emotivo.

Si tratta di un nuovo, rigenerato e folgorante sentimento per un personaggio principale molto lontano dal machismo esistenzialista di personaggi come Rust Cohle, affascinante invece nella sua malcelata debolezza, nella sua rassegnazione triste e rancorosa, nella consapevolezza mite del fallimento e della paura e del tempo. Il personaggio interpretato da Mahershala Ali aggancia l’empatia del pubblico non a causa di uno stato di emarginazione legato all’intelligenza o alla sofferenza superiore, verso cui lo spettatore si sente attratto e spaventato a un tempo, bensì per una condizione esistenziale soffocata nella quotidianità che colpisce alla pancia.

True Detective - 3x03 The Big NeverWayne è un sopravvissuto che ha trovato ragione di vita e senso della realtà nell’istituzionalizzazione del suo ruolo e nell’applicazione di capacità militari particolari – il fiuto per le perlustrazioni, l’abilità nella caccia  – altrimenti potenzialmente pericolose nel mondo del lavoro civile; tuttavia il carattere del poliziotto è il risultato di un dolore acuto e invalicabile, la scultura intagliata dalla sofferenza di un quotidiano che noi visualizziamo in tre momenti temporali differenti e di cui noi non comprendiamo i non detti. La sofferenza del personaggio muove per ora da cause ignote, di cui noi non conosciamo le forme ma solo gli effetti, messi in risalto dal tempo.

Il tempo, innominabile forza che plasma l’individuo e lo scolpisce, è il centro tematico dell’episodio e della stagione. Se nella prima annata era un elemento laterale rispetto allo svolgimento principale e nella seconda non era un contenuto particolarmente considerato, questa terza stagione riflette sul suo ruolo concreto nella vita degli uomini, mettendolo a tema e visualizzandone la forma, l’azione e gli effetti attraverso tre soluzioni espressive: quelli che possiamo chiamare trucchi narrativi, il montaggio e il corpo attoriale del protagonista. Nel primo caso i trucchi narrativi sono funzionali alla rappresentazione dello straniamento provato da Wayne. La serie comunica il disorientamento – provocato da una malattia della memoria – che assoggetta il poliziotto in età senile con alcune soluzioni formali inusuali, come lo sguardo in camera, nei primi due episodi, e le allucinazioni nel terzo: in entrambi i casi la scrittura sovrappone, ora con la voce che entra ed esce dal campo, ora con la sovraesposizione di immagini, stati temporali differenti per allineare lo spettatore alla sensazione del personaggio e alla sua mancanza di controllo sugli eventi.

True Detective - 3x03 The Big NeverNel secondo caso è il montaggio a permettere di percepire l’influsso del tempo sui personaggi e sul protagonista: è attraverso il taglio cinematografico che la scrittura e la regia – controllando con intelligenza questa tecnica – avvicinano momenti molto lontani, formano relazioni tra eventi apparentemente irrelati tra loro e disegnano una rete di accadimenti altrimenti separati, mettendo di fronte all’attenzione degli spettatori l’organicità del racconto, l’interdipendenza dei fatti e le conseguenze future di piccole azioni compiute nel passato. È il montaggio a definire il tempo dell’immagine e tra le immagini, mentre è il corpo dell’attore a materializzare i segni del cambiamento e a contestualizzare le differenti linee temporali, mostrando come il fisico sia plasmato dal passare degli anni.

Ali interpreta tre differenti Wayne, tre versioni di un dolore che evolve, si modifica e assume i connotati della situazione sociopolitica: se negli anni ’80 l’orgoglio afroamericano è soffocato da una volontà di tranquillità che è sopravvissuta alla furia insensata del Vietnam, negli anni ’90 l’identità del poliziotto è squadrata da dei non detti opprimenti e regolatori – non detti che nel 2015 si sovrappongono allo sbiadire delle proprie consapevolezze e dei propri ricordi. La recitazione di Ali è fuori dal comune perché imposta tre differenti quotidianità fatte di posture, tono e linguaggio del corpo, pur rimanendo coerente e riconoscibile e raggiungendo un livello di verosimiglianza che sorprende e appassiona.

True Detective - 3x03 The Big NeverIl personaggio è quindi prova della forza modificatrice del tempo, oltre che veicolo principale attraverso cui si muove la narrazione e l’indagine sul caso Purcell. Nella linea temporale degli anni ‘80 in questo episodio seguiamo la sua figura nell’esame di nuovi indizi e nuove scoperte relative alla scomparsa dei due bambini, intorno alla rete di amicizie legate alla loro realtà scolastica e alla misteriosa atmosfera del bosco della regione dei laghi Ozark. L’intelligenza professionale di Wayne riconosce nei comportamenti contraddittori dei bambini una possibile traccia, ed è un catalogo di disegni, assieme ad alcuni biglietti, dei giochi e dei dadi a piegare l’indagine su un territorio decisamente più ambiguo e controverso rispetto alle apparenze.

Anche le linee narrative delle altre fasi temporali vengono sviluppate dalla puntata. Negli anni ‘90 la riapertura del caso e le nuove prove emerse avvicinano, dopo una separazione ancora misteriosa, i due partner protagonisti, ma soprattutto determinano una nuova fase per il rapporto di Wayne e Amelia: l’episodio illustra non solo il peso ingombrante dell’indagine nella vita famigliare dei due, ma fotografa anche l’inadeguatezza comportamentale dell’uomo dovuta a una mancanza di controllo sugli eventi, che si traduce in violenza comunicativa nei confronti della moglie e dei figli. In questa linea temporale il caso è una funzionale lente attraverso cui è possibile ragionare sulle dinamiche di coppia e sulle dinamiche genitoriali. Nella linea del 2015 il racconto, pur essendo interessato soprattutto allo stato emotivo del protagonista e alla descrizione della sua malattia, analizza più approfonditamente il rapporto del protagonista con il figlio, che è viziato dalla stessa forma di malessere interiore presente nel rapporto con la moglie.

True Detective - 3x03 The Big NeverIn tutti i tre momenti temporali la narrazione è trainata in avanti ed è sublimata dall’investimento emotivo dello spettatore che, affascinato  dalla disamina sul discorso universale riguardante il tempo e avvolto nella precisione dell’affresco psicologico, si lega alla vicenda sofferente del protagonista e si esalta grazie alle suggestioni proprie della metafora che maggiormente esemplifica il percorso del personaggio: la ricerca difficoltosa di un esperto ricognitore sull’ultima traccia della vita, lungo il percorso dispiegato a ritroso della memoria e del tempo, in virtù di una risposta sulla propria identità.  Anche se questo è solo il terzo tassello di una stagione di otto episodi, è facile riscontrare la qualità con cui la narrazione tematizza e sviluppa i contenuti attraverso la trama e la gestione dell’arco drammatico dei suoi personaggi.

L’ottimo episodio conferma infatti che è facile appassionarsi a un tale livello di maestria nel racconto e perdersi nei fili narrativi di un progetto che dimostra una grande solidità narrativa e una altrettanto grande coscienza della propria direzione tematica. Partecipare attivamente al percorso narrativo di questa stagione, prestando attenzione agli indizi e riflettendo sulle fascinazioni filosofiche, se da una parte richiede un livello di interesse non indifferente, è dall’altra facilitato dalla qualità che “The Big Never” dimostra in apparente scioltezza e tranquillità. Sperando che le prossime puntate siano su questi livelli o a un livello qualitativo ancora maggiore, finora non potevamo augurarci di meglio.

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Informazioni su Leonardo Strano

Convinto che credere che le serie tv siano i nuovi romanzi feuilleton sia una scusa abbastanza valida per guardarne a destra e a manca, pochi momenti fa della sua vita ha deciso di provare a scriverci sopra. Nelle pause legge, guarda film; poi forse, a volte, se ha voglia, studia anche.


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