La prima stagione di Barry è stata un piccolo gioiello autoconclusivo: a partire da premesse interessanti su tutti i fronti, dalla storia alla composizione del team creativo, la HBO ha trovato un campione indiscusso per quanto riguarda la black comedy e la commistione tra generi. La stagione si concludeva in maniera perfetta, chiudendo il racconto nel modo più coerente possibile e lasciando un piccolo spiraglio in caso di sviluppi futuri. Chi avrebbe mai avuto il coraggio di rilanciare – neanche replicare – con una seconda annata?
Chi ci ha provato risponde al nome di Bill Hader e Alec Berg, le due menti dietro allo sviluppo dello show e alle svolte del tutto folli a cui abbiamo assistito in questi otto episodi. Come si diceva, gran parte dell’interesse creato da Barry stava fin da subito nel suo team creativo, con un veterano come Berg (Seinfeld, Curb Your Enthusiasm, Silicon Valley) ad affiancare il primo lavoro originale di Bill Hader, che era famoso soprattutto per le sue impressions e gli sketch al Saturday Night Live, oltre a qualche ruolo comico in televisione; se poi si pensa che alla regia ha lavorato anche Hiro Murai (Atlanta), uno dei migliori registi televisivi in circolazione, la qualità della prima stagione non sembra aver bisogno di ulteriori spiegazioni.
Questo secondo ciclo di episodi, però, partiva da una posizione più difficile. In primis, la scrittura doveva riaprire la storia lavorando sul materiale potenzialmente autoconclusivo della scorsa, trovando da un lato delle linee narrative da arricchire senza buttare all’aria il lavoro fatto prima, dall’altro la qualità altissima della prima stagione con cui confrontarsi. In più, si sapeva che la regia di Murai avrebbe solo aperto la stagione in continuità con quella precedente, mentre alcuni degli episodi più critici sono stati affidati a Bill Hader, dopo l’ottimo lavoro svolto coi primi tre episodi l’anno scorso. È stata, quindi, la stagione che ha emesso il verdetto definitivo sulla qualità della serie, che avrebbe potuto inciampare nelle sfide sopracitate o avrebbe potuto superarle, guadagnandosi un posto indiscusso nell’eccellenza televisiva contemporanea. Se la stagione l’avete vista, saprete già che ci troviamo di fronte alla seconda alternativa.
And I pray that human beings can change their nature. Because if we can’t, you and I are in big trouble.
In “The Show Must Go On, Probably”, la premiere, Barry fa la sua prima apparizione uscendo dall’ombra del backstage, cercando di rilanciare lo spettacolo teatrale e di mettere da parte l’omicidio del detective Moss e l’effetto che ha avuto su Gene. Una volta fuori dai giochi, il protagonista ha il tempo di prendere un respiro di sollievo e lanciare l’interrogativo chiave della stagione: “Am I a bad person?” si chiede Barry a diversi stadi del suo percorso, mentre una sequela di eventi scatenati nella scorsa annata lo insegue e i suoi tentativi di allontanarsene diventano sempre più inutili. A pensarci bene, la condanna è chiara fin dagli inizi: l’unico espediente che sembra riavvicinare Cousineau al teatro è l’introspezione e la manifestazione di vulnerabilità dei suoi alunni, Barry (e Sally) prima di tutti. Ed ecco che il personaggio di Bill Hader è costretto a guardarsi dentro, a raccontare l’orrore della guerra e degli atti mostruosi, non necessari di cui si è macchiato nella sua rabbia contro una famiglia innocente: la prima parte di stagione lavora su questo livello, ragionando sulla natura del protagonista e mettendolo alla prova col ritorno dell’ex-marito violento di Sally, con cui Barry riesce a fermarsi all’ultimo secondo (con un po’ di aiuto dal caso). Il dialogo con Gene corona questo pezzo di evoluzione in maniera perfetta, unendo i due personaggi e i loro errori e fornendo uno spiraglio di speranza per entrambi: forse, con la spinta giusta, Barry ne sarebbe potuto uscire.
Ma ecco che, pochi minuti dopo, Barry corre a salvare Fuches e l’umorismo nero unito al pessimismo a tinte nichilista della serie si fanno sentire: il confronto col detective Loach taglia il respiro di chi sta guardando e mette d’improvviso la serie in un angolo, liberandola un attimo dopo con uno dei momenti più esilaranti di queste due stagioni. Nell’attimo in cui scopre che il vero motivo per cui Loach lo cercava era per commissionargli l’ennesimo omicidio, Barry si ritrova al punto di partenza, e Barry – la serie – esplode. Gli archi dei personaggi cominciano a scurirsi, con i flashback onirici dell’Afghanistan a ricordare al protagonista come il patto col diavolo stretto con Fuches lo perseguiti ancora, mentre Gene viene costretto a riaffrontare la morte di Moss e Sally rinuncia all’onestà del suo racconto fortissimo in favore di una forma più appetibile al grande pubblico. In parallelo con questa svolta scurissima, Barry si sforza di restare pulito fino in fondo, senza uccidere (direttamente) nessuno fino agli ultimi momenti del season finale: a quel punto, però, il climax ha raggiunto l’apice, e il tempio pieno di gangster di tutte le fazioni viene completamente massacrato. L’ultima volta che lo vediamo, Barry sta rientrando nell’ombra.
Possiamo quindi catalogare questa stagione come un enorme successo dal punto di vista narrativo, capace di gestire l’evoluzione di ogni personaggio in maniera stratificata e soprattutto coerente. E si parla non solo del percorso del protagonista, ma anche dell’arco di Sally, costantemente in conflitto sul come raccontare l’abuso del marito a un pubblico che non può capire, o quello più marginale di NoHo Hank, l’elemento comico più riuscito della stagione, mai snaturato e spesso determinante nello sviluppo dell’intreccio principale.
Ma non è alla storia che si ferma questa stagione di Barry. Oltre al grande successo in termini di costruzione dei personaggi e di sviluppo di temi complessi e sfaccettati, Hader e Berg hanno firmato un capolavoro stilistico. Il quinto episodio, “ronny/lily”, è quanto di più assurdo e fuori dagli schemi la serie abbia mai lontanamente fatto, col suo mix di violenza, citazionismo e black humor, il tutto merito di un fenomenale Bill Hader dietro la macchina da presa. Ribaltando le aspettative fin dalla prima sequenza e trasformando un omicidio su commissione in una folle avventura, Barry si trasforma ed entra in un mondo con regole del tutto diverse da quelle a cui siamo abituati, in cui convivono momenti surreali e altri crudissimi e spietati. E così una storia su carta tragica viene riletta come se fosse una comedy pura, una sorta di buddy movie in chiave pulp la cui parte drammatica consiste nel conflitto tra i due protagonisti, Barry e Fuches. È un momento di televisione altissimo, in cui la serie si allontana da qualunque compromesso e scopre il suo umorismo più nero; un livello che viene spesso sfiorato in altre sequenze nel corso della stagione (sempre grazie alla regia di Berg, Hader e Murai) e a cui si ritorna nell’ultima lunga sequenza della stagione, quella carneficina nel monastero capace di chiudere una manciata di archi narrativi (la morte di Esther col proiettile segnato, l’arrivo del rimpiazzo di NoHo Hank) tra un colpo di pistola e l’altro. Ed è proprio sul finale della sparatoria che arriva una (brevissima) sequenza che racchiude l’essenza della serie: l’allievo di Barry che lo vede entrare, lo riconosce e abbassa il fucile, per poi essere abbattuto dal maestro una frazione di secondo dopo.
La seconda stagione di Barry è un successo sotto tantissimi punti di vista, un saggio di regia, lavoro sui personaggi, coerenza tematica e mix tra generi – raramente la comedy e il drama si sono alternati e sovrapposti con questa fluidità. Alla fine della prima annata, qualche dubbio rimaneva sulla capacità degli autori di proseguire una storia già completa e interessante; non si può più dire lo stesso per la prossima, già confermata da HBO e per cui possiamo solo aspettarci grandissime cose.
Voto: 9
Stagione stupenda, recensione all’altezza.
Grazie mille! 🙂
Bellissima recensione. Questa stagione mi ha tenuto incollato allo schermo
Desiderata, agognata e vista solo adesso a causa di un inspiegabile ritardo della messa in onda! Capolavoro assoluto che, come la citata Atlanta e il suo episodio cult Teddy Parkinson, ha un episodio centrale che fa urlare dal piacere. Ecco un’altra serie da rivedere in un loop infinito.
Capolavorone…:)…e recensione stupenda…