Bonding – Stagione 1


Bonding - Stagione 1Solo su Netflix, e solamente dall’inizio del 2019, sono stati già trasmessi circa un centinaio di originals, cioè tutti quei prodotti in cui la società ha investito e con quali spera, almeno in parte, di rientrare. E, se da un lato ha trovato una stabilità qualitativa di altissimo quanto vario livello (da Stranger Things a BoJack Horseman, passando per Our Planet e l’estatico The OA), dall’altra ha cominciato a diversificare moltissimo la sua offerta, lanciandosi in alcune azzardate (e come vedremo forse non riuscitissime) avventure seriali.

All clothes are costumes.

Tiffany May (Zoe Levin, famosa per la versione americana della teen series Braccialetti Rossi) è una dominatrice, che ha trovato in questo lavoro la possibilità di guadagnare non solo discrete somme di denaro, ma anche fiducia in se stessa e coraggio nell’affrontare le sue paure. Studentessa di psichiatria di giorno e oggetto dei desideri più perversi di notte, Tiff cerca di dividersi tra due mondi completamente opposti. E quando il lavoro comincia ad aumentare, decide di chiamare il suo vecchio amico, amante e confidente Pete (Brendan Scannel), dopo anni di distanza in cui lei è diventata “Mistress May” e lui ha abbracciato e dichiarato la sua omosessualità. Un coppia potenzialmente esplosiva che però, alla fine della serie, fa giusto un poco di rumore e non lascia grandi segni.

Perché a Netlifx l’azzardo di Bonding riesce purtroppo solo in parte.
Bonding - Stagione 1Di positivo ci sono indubbiamente la novità della tematica, la durata molto breve delle puntate (che ha però anche dei contro, come vedremo più avanti) e la comunque ottima sintonia tra i due protagonisti. Lo squarcio che la serie offre sul mondo delle dominatrici (e dei dominati) è subito molto interessante, anche se trattato in modo apparentemente troppo leggero: il via vai di impiegati con la passione per la golden shower, o di buffi personaggi con la perversione per i pinguini, mostra un mondo se non edulcorato, di certo alleggerito e privato della condizione psicologica non solo di chi si sottomette, ma anche di chi domina. Perché la vita di Tiff è quella di una normale studentessa che si barcamena tra presentazioni in classe e lo stendere teli di plastica sotto i suoi clienti per evitare di sporcare il suo studio, e l’unica difficoltà che ha riguardo il suo lavoro è portarlo allo scoperto.
La breve durata di ogni episodio costringe gli autori a una scrittura serrata che affrontano comunque molto bene: il lato comedy è ben scritto e si passa in modo naturale dai buffi episodi con i clienti più disparati (e disperati), ai sempre meno timidi contatti tra Tiff e il simpaticissimo Doug (il bravo Micah Stock), probabilmente il miglior personaggio della serie insieme. La naturale timidezza con la quale si pone nei confronti di Tiff è quasi spiazzante, confuso e forse un po’ spaventato dalla forza della protagonista.

Once the sexual patriarchy dies, then all genders will be equal.

Una delle note più divertenti è sicuramente la meravigliosa D’Arcy Carden, la Janet di The Good Place e una delle migliori attrici comiche in circolazione. Nella serie interpreta Daphne, una timidissima e morigerata moglie che chiede a Mistress May di letteralmente solleticare le perversioni del marito per portare un pizzico di pepe nella coppia. Una Carden che, per abbigliamento e affetto di chi la ama nel ruolo della migliore enciclopedia vivente dell’universo, sembra proprio interpretare una Janet umana: riservata, ingenua, cauta nell’affrontare un discorso che le sembra difficilissimo anche solo immaginare, oltre che sconosciuto come quello dei rapporti tra persone.

Bonding - Stagione 1E anche qui c’è però un po’ troppa superficialità nel provare a rappresentare quella che dovrebbe essere la routine amorosa di una persona inserita in una società che tutti vorrebbero essere normale, una routine che vuole essere spezzata con un qualcosa di perverso, lontano dagli occhi di tutti, qualcosa di sporco. Anche se alla fine si tratta solo di solletico, Daphne sembra non reggere la pressione, la vergogna, e anche lei alla fine trova la sua valvola di sfogo, la sua “perversione” inizialmente ai danni di “Master Pete”, e poi del povero marito. Tutto molto divertente, ma anche qui la questione psicologica è vagamente accennata, mostrando in questo caso tutti i difetti di episodi troppo brevi. Deve succedere qualcosa e deve succedere in fretta: e in questo Bonding pecca nel concentrarsi troppo su aspetti che conosciamo in una serie del genere, proponendoci storie già viste e a volte dimenticandosi di vestire il tema principale, quello del bondage, che diventa spesso solo una scusa per intrecciare i destini dei personaggi.

Il rapporto più definito e approfondito è ovviamente quello tra Tiff e Pete, ma qui addirittura il bondage non ha ruolo se non quello di averli fatti rincontrare anni dopo il periodo del liceo, quando Pete non aveva affrontato ancora la sua omosessualità e Tiff vedeva in lui l’unica persona veramente buona della sua vita. Un flashback tenero che fa in pochi minuti quello che la serie non fa nel suo complesso, e cioè dare una vera profondità ai personaggi rappresentati, un qualche appiglio cui aggrapparsi per capire meglio il perché di alcune scelte. Le liberazioni personali a cui arrivano (dai clienti di Mistress May a Pete che trova l’alias perfetto per salire sul palco, arrivando a Tiff che allo stesso modo sale in cattedra per scoprire di non essere sola, né isolata) arrivano dopo averci solamente mostrato per poco come sono arrivati a quel punto. Vediamo il quando, sappiamo il perché, ma il come sono arrivati a quel momento di totale libertà è tutto concentrato in nemmeno due ore di episodi.

Bonding - Stagione 1L’arco narrativo è classico e molto semplice (segreto -> segreto rivelato a un compagno di sventure -> segreto rivelato con tutti che lo accettano), e l’interesse al tema del bondage e della dominazione è però per nulla sviscerato e rappresentato con il solo scopo di intrattenere. Emblematico il finale di stagione, il più dark di tutta la serie, che scimmiotta (citandolo) American Psycho, con una chiosa finale che rende meno sicuro e divertente un mondo sconosciuto alla maggior parte degli spettatori. Il problema vero di Bonding sta tutto lì: un’intera serie votata alla risata un po’ scomoda che chiude con una sorta di sommaria lezione sui pericoli di questo mestiere. E per quanto forte ed efficace sia la reazione di Tiff per sfuggire a una situazione di pericolo, l’episodio non fa scattare nessun ragionamento serio e attento, ma rimette semplicemente chi guarda (e i protagonisti) con i piedi per terra. Niente di più.
La sensazione che rimane è quella di aver visto una serie che dovrebbe sconfessare i cliché e invece ne è piena: la donna forte ma che da sola non può farcela, l’aiutante maldestro ma che si riscatta, persino il vero e proprio schiavo che si ribella alla sua condizione per dichiarare il suo amore a Mistress May. In un contesto nuovo, tutto sembra però un po’ già visto.

I’m gonna keep my shirt on so it’s not full-blown gay.

Una menzione speciale va al coinquilino di Pete, Frank, interpretato dal semi sconosciuto Alex Hurt e che è, paradossalmente, il personaggio allo stesso tempo più comico e meglio rappresentato psicologicamente della serie. Le sue apparizioni sono esplosioni di risate grazie alla sua genuinità e schiettezza, ma a una seconda visione si capisce anche che rappresentano la naturalezza con la quale un uomo dovrebbe affrontare le sue curiosità, i suoi desideri, che ai più risultano essere se non una vergogna quantomeno un tabù ma che, come vediamo alla fine, danno una sicurezza e un’accettazione di sé molto forte.

Bonding è sicuramente divertente, un ottimo prodotto di intrattenimento con un tema tanto originale quanto però non approfondito. Tutto del mondo bondage sembra troppo spensierato e facile, e senza un minimo di introspezione dei personaggi, un’analisi minima che ormai viene chiesta anche alle comedy: la serie rimane una ghiottissima occasione sprecata.

Voto: 6

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