Vi è sempre stato qualcosa di affascinante riguardo le storie sul ritorno del figliol prodigo, soprattutto se tali vicende dipanano gli intrecci di un mistero, in un ambiente diverso dalle memorie di colui o colei che ritorna dopo anni di assenza. Questo rende più facile l’immedesimazione per chi legge un romanzo o guarda un episodio dei cosiddetti murder mysteries, perché scopre un mondo familiare e al contempo estraneo, con gli occhi dell’io narrante. Nel vasto ginepraio della serialità, sin dai tempi in cui le serie erano TV di nome e di fatto, l’offerta è sempre stata satura di simili titoli e, oggi, trovare la propria identità in questa pletora è quantomeno difficile. Non tanto per conquistare il piccolo schermo, ma soprattutto per non esser presto dimenticati troppo presto.
Perciò, bisogna riconoscere una certa dose di coraggio allo show USA Network, Briarpatch, andato in onda il 6 febbraio sull’emittente americana e già ampiamente annunciato dai suoi produttori, come adattamento dell’omonimo romanzo di Ross Thomas.
Allegra Dill ritorna dopo anni nella sua città natale di Saint Bonifacio in Texas, a causa di un evento infausto in cui è coinvolta la sua famiglia. Immediatamente con le mani in pasta nel caso, la Dill si ritroverà a fare i conti con intrecci sempre più fitti, misteri da svelare e una minaccia a pendere costantemente sul suo capo quando si sarà resa conto di aver scavato troppo a fondo, in un luogo che non riconosce più, né la riconosce più. Questo è quanto Briarpatch presenta e, ad un primo sguardo, appare abbastanza privo di una personalità definita. Eppure, non sarebbe la prima storia dalle premesse già sentite, ma in grado di emergere.
Sarà questo il caso?
L’ambientazione proposta è una classica cittadina del Texas dove le culture americana e messicana si incontrano e scontrano in egual misura. I personaggi sono altrettanto classici, ben posizionati nel loro ruolo in questo tipo di storie: dalla svampita ragazza grunge della porta accanto, ai due poliziotti dall’atteggiamento ambiguo verso il caso che domina le scene, passando per il vecchio amico di infanzia, volenteroso nell’aiutare la protagonista, o i loschi figuri in cerca di un tornaconto dalla ricerca della rediviva Allegra.
Tutto al suo posto per raccontare una storia che fa del thriller e del mistero le sue basi, ma nulla più.
Encomiabile il tentativo di usare gli animali scappati da uno zoo per descrivere un simbolismo a più ampio respiro, così come le scene che cercano di far provare un piacere estetico proprio dei thriller di autore. Questi momenti appaiono ben fatti, ma non ben riusciti; Briarpatch strizza l’occhio allo spettatore un po’ troppo platealmente, specie nel mostrare le sopracitate fiere in momenti precisi della vicenda, con una puntualità involontariamente tragicomica. Le scene più visivamente elaborate, invece, sebbene rischino di stonare con il tenore generale della trama, possono promettere sviluppi interessanti, se aderiranno ad essa e non saranno atolli che emergono nel flusso della storia.
Rosario Dawson è senza dubbio la punta di diamante dello show; la fu Claire Temple dell’MCU (Daredevil, Luke Cage) consegna un’interpretazione che conquista la scena anche nei momenti di silenzio. I panni di Allegra Dill sono ardui da vestire; il personaggio non è nulla di nuovo, né si trova in situazioni assolutamente inedite, eppure la Dawson è in grado di coinvolgerci nella storia di una donna forte e risoluta, in grado di rialzarsi dopo le difficoltà. Dove non può la sceneggiatura, ha potuto l’attrice. Le altre interpretazioni sono abbastanza adombrate dalla sua performance (su cui lo show punta gran parte del suo possibile successo e non lo nasconde), ma si innestano bene nella storia e nei vari giochi delle parti. Fra i volti noti: Edi Mūe Gathegi (Into the Badlands) interpreta la suddetta vecchia conoscenza e un potenziale alleato e Brian Geraghty (Boardwalk Empire) nei panni di un poliziotto profondamente coinvolto nel mistero che attanaglia Saint Bonifacio. Dalle featurettes e dai teaser si possono notare altri personaggi destinati a comparire sulle scene e, si auspica, ad ampliare gli intrecci dello show.
Briarpatch si presenta come un thriller con tutti i crismi e le situazioni riconoscibili da un certo pubblico con un determinato interesse e questo può essere un pregio come un difetto; fa sentire a casa lo spettatore e presenta bene la serie, ma quanto potrebbe durare la qualità dello show nel procedere su binari comprovati, che alla lunga potrebbero non essere sorretti solo della bravura attoriale della Dawson? Briarpatch sembra far fatica nel trovare un’identità, indugiando troppo in stilemi sicuri. Certo, è ancora presto per esserne certi, e solo un pilot non dovrebbe essere veicolo di giudizio per un’intera serie, specie se di natura antologica, ma il pericolo di adagiarsi sul proprio genere è dietro l’angolo. Se il primo episodio ha momenti particolarmente riusciti, anche grazie ad Ana Lily Amirpour dietro la macchina, è altrettanto chiaro il difetto sopracitato: non può affidarsi interamente all’interpretazione della protagonista e a certe scene che fanno il verso a più blasonate pellicole, se vuole trovare la propria voce e non esser dimenticato.
Briarpatch non si presenta male, sebbene alle volte un po’ insipido, ma è indubbio che le sue atmosfere non bastino a corroborare una trama che perde terreno in favore di elementi che dovrebbero essere di contorno, ma rischiano di prenderne il posto come nucleo della serie.
Voto: 6 ½