Avete presente quando ci si diceva spesso in modo informale: “Questo 2020 sembra la sceneggiatura di una serie TV”? Ecco, la premiere della quinta stagione di The Good Fight prende il tempo che intercorre dall’inizio della pandemia ad oggi e lo trasporta nel mondo dei suoi personaggi, facendo loro vivere tutte le fasi di quell’anno, quelle belle ma soprattutto quelle brutte – che poi sono la maggior parte.
Andiamo con ordine però: la quarta stagione dell’acclamata serie dei coniugi King andata in onda nel bel mezzo del primo lockdown del 2020 ha avuto uno sviluppo travagliato, tanto che si è dovuta fermare al settimo episodio a causa dell’impossibilità di terminare le riprese e la post-produzione. Il troncamento improvviso di quell’annata ha fatto sì che quasi tutte le storyline aperte e gli archi narrativi dei personaggi fossero bruscamente interrotti proprio sul più bello; a complicare ulteriormente la situazione, gli autori avrebbero voluto avere il tempo per preparare al meglio la già annunciata uscita dal cast della serie di due dei protagonisti più amati: Delroy Lindo alias Adrian Boseman e Cush Jumbo alias Lucca Quinn. Non la situazione più agevole per Robert e Michelle King, che però, ancora una volta, dimostrano la loro grandissima esperienza ed abilità firmando un episodio decisamente atipico, che sembra quasi fare il paio con quella che è stata la favolosa premiere della quarta stagione lo scorso anno, in cui Diane si ritrovava in una realtà alternativa.
“Previously On…” è un grande episodio di raccordo che muove velocissimamente i personaggi lungo tutti gli eventi più significativi del 2020 – e dell’inizio del 2021 – e fa loro percorrere quello che, a grandi linee, sarebbe dovuto essere il loro cammino prima della quinta stagione. Non è un caso, infatti, che la sigla dello show non appaia all’inizio, bensì solo alla fine dei 50 minuti che compongono l’episodio, ma su questo ci torniamo più avanti. L’inversione della struttura dell’episodio fa pensare la puntata come un lungo prologo, un antefatto a quello che ci aspetta d’ora in avanti: da questo punto di vista è stato prezioso che Adrian e Lucca abbiano avuto una degna conclusione del ciclo dei loro personaggi nella serie, un vuoto che sarà colmato nelle prossime settimane dall’introduzione delle già annunciate new entry tra le quali spicca il nome di Mandy Patinkin (Saul Berenson in Homeland tra le altre cose). Sebbene possa sembrare che le scene di questa premiere siano state tutte “riciclate” da quello che era già stato girato per la quarta stagione, in realtà i King hanno dichiarato che hanno utilizzato pochissimo di quel materiale, optando per una via alternativa rispetto al piano originale.
Il risultato è ottimo ed è molto interessante, soprattutto la scelta di raccontare la pandemia da COVID-19 senza davvero voler parlare a tutti i costi della pandemia. L’impressione è che i King abbiano evitato di approfondire l’argomento per concentrarsi sulle vicende personali e professionali dei personaggi, che vengono sì toccate dalle restrizioni e dalla necessità di contenere il contagio ma che non hanno in questo tema il punto centrale della loro narrazione. L’unico ad essere contagiato e a stare molto male a causa del virus è Jay, ma anche nel suo caso la malattia è praticamente solo un pretesto per poter portare a galla discorsi ben diversi. Uno di questi è legato alle discriminazioni nei confronti degli afroamericani negli Stati Uniti, una questione già infuocata che esplode a partire dall’omicidio di George Floyd del 25 Maggio 2020; gli autori giocano sulle allucinazioni del detective causate dal virus per immaginarsi un divertente quanto improbabile dibattito su questo tema con alcune figure storiche tra cui Frederick Douglass, Karl Marx, Gesù e Malcolm X, che dimostra ancora una volta – come se ce ne fosse bisogno – la straordinaria abilità dei King nella scrittura dei dialoghi.
Anche Adrian subisce il contraccolpo, prima di tutto emotivo, delle immagini crude trasmesse in TV della morte dell’uomo: il personaggio di Delroy Lindo che già sapevamo, dalla scorsa stagione, avesse scelto di approfittare di un’opportunità offertagli dal partito Democratico di candidarsi alle presidenziali, non è più disposto ad accettare compromessi sulla questione razziale e questo lo porta a scontrarsi con le posizioni più moderate di Ruth, interpretata da Margo Martindale. È un po’ un peccato non vedere come questa storyline si sarebbe sviluppata se la quarta stagione avesse avuto uno sviluppo regolare, anche considerato tutto il percorso che ha avuto Adrian nei quattro anni in cui abbiamo imparato a conoscerlo. Perlomeno la decisione di anteporre la sua etica e ciò che ritiene giusto a quello che prova per Charlotte gli dona un’uscita di scena decisamente onorevole, in linea con i valori che il personaggio ha sempre voluto rappresentare ma che a volte ha tradito nei fatti.
La pandemia e l’omicidio di George Floyd sono solo alcuni degli eventi cruciali che hanno caratterizzato la società americana – e mondiale – del 2020 che incontriamo nella puntata: come non aspettarsi le fiamme dalle elezioni presidenziali di Novembre, soprattutto dal punto di vista degli spettatori che già ne conoscevano l’esito. Inutile ricordare che The Good Fight è una serie che ha costruito tantissimo sul racconto degli Stati Uniti sotto il governo di Donald Trump, evidenziandone tutte le criticità e mostrandone i suoi effetti devastanti su tutti i temi legati alla professione legale; non per niente il primissimo episodio di questo spin-off si apriva proprio con una Diane incredula di fronte alla TV durante il discorso di insediamento del 45° presidente della storia americana. L’elezione di Joe Biden non può che richiamare quel momento, con Diane – che ricordiamolo, aveva preso l’elezione di Trump come un affronto personale e ne soffriva tantissimo, come se fosse la personificazione della parte di America liberal in crisi – che, in un momento molto tenero e divertente, per scaramanzia esilia suo marito – repubblicano – in un’altra stanza. In questi momenti The Good Fight abbraccia la sua natura multiforme di dramma, satira e commedia, spaziando su registri molto diversi ma senza perdere il suo senso di insieme.
Il secondo addio molto sentito alla serie è quello di Lucca, che sceglie una strada di crescita professionale non solo lontano dalla Reddick Boseman & Lockhart, ma anche lontano dagli Stati Uniti, seguendo l’amica e ora anche datrice di lavoro Bianca in Inghilterra. Nonostante il suo addio fosse ben noto ai King da tempo, la pandemia non ha permesso di sviluppare la sua uscita di scena come previsto ma, con questo stratagemma, sono riusciti comunque ad arrangiarsi – l’attrice si trova in Inghilterra perché ha ottenuto un ruolo da protagonista nell’Hamlet allo Young Vic Theatre di Londra –, costruendo un saluto molto commovente sebbene “a distanza”.
Non sappiamo bene cosa aspettarci da questa stagione di The Good Fight ma possiamo essere certi che gli autori proseguiranno con la loro abilità di dialogare in modo brillante con il presente del loro paese. La sigla alla fine di questo primo episodio è esemplare in tal senso: dopo i quattro anni di presidenza Trump, una pandemia globale e tutte le catastrofi politiche e sociali degli ultimi tempi, forse ci meritiamo un opening che sostituisce agli oggetti che esplodono una marea di cuccioli.
“Previously On” è un episodio che riavvolge il nastro e porta la serie dove sarebbe stata a questo punto se la quarta stagione non fosse stata, per forza di cose, così breve. Non aver avuto il tempo di sviluppare alcune storie dei personaggi come si sarebbe voluto è un elemento che si sente durante la visione, ma la scrittura dell’episodio compensa bene questo handicap narrativo, traghettando gli spettatori lungo le gioie e le disgrazie degli ultimi due anni. In questo percorso di discesa agli inferi e risalita della durata di una puntata, The Good Fight ne esce rafforzata; lo show continua ad essere una delle eccellenze della TV di questi anni.
Voto: 8½