For All Mankind – Stagione 3 2


For All Mankind - Stagione 3Si dovrebbe scrivere un articolo a parte sul motivo per cui ogni serie di Ronald D. Moore sia destinata a finire inesorabilmente nella categoria, pregevole seppur un tantino frustrante, di “The best show you’re not watching”. È accaduto in passato con Battlestar Galactica, è accaduto di recente con Outlander, e di nuovo ci troviamo ad utilizzare la stessa espressione per For All Mankind, giunto alla terza stagione e a tutti gli effetti uno degli show migliori prodotti finora da Apple Tv+.

Sarà per il genere (la fantascienza soffre ancora di qualche pregiudizio), sarà per la premessa dall’appeal non esaltante (una storia sulla Nasa che immagina un universo ucronico in cui i russi sono arrivati sulla Luna per primi e il programma spaziale non è mai stato chiuso), ma la serie non ha mai raccolto quanto meriterebbe e lo conferma una terza annata solida che porta la fantasia degli autori ad un nuovo livello, seppur mantenendo le basi scientifiche (e realistiche) su cui lo show vuole basarsi.

Il finale della scorsa stagione (ad oggi, il miglior episodio dell’intera serie) aveva portato lo sguardo verso l’alto ben oltre la Luna, lasciandoci con l’immagine di un uomo che posava il piede per la prima volta su  Marte. E da qui ripartiamo: ambientato negli anni Novanta, questo terzo capitolo della storia ci racconta il tentativo di conquistare il pianeta rosso con una corsa a tre tra Nasa, Unione Sovietica e un terzo componente a sorpresa, la società privata Helios e il suo capo multi miliardario Dev Ayesa (una sorta di mix tra Jeff Bezos o Elon Musk).

Se la seconda stagione si era concentrata sulla ridefinizione degli spazi sulla Luna e sul conflitto tra Stati Uniti e URSS, questa nuova annata riprende il gusto dell’esplorazione delle origini (e tutte i mille rischi che ne derivano), regalandoci probabilmente una stagione maggiormente improntata sull’azione. La tragedia del Polaris nel primo episodio (una puntata dal grande impatto adrenalinico) ci introduce infatti ad una stagione in cui ci si spinge di nuovo verso l’ignoto, senza però rinunciare a far vedere come il programma spaziale continui a rimodellare la società, i confini mondiali, l’economia e la politica.

For All Mankind - Stagione 3La scoperta di una nuova fonte energetica sulla Luna (l’Helium-3) consente di utilizzare una fonte pulita di energia nucleare che, se da una parte sembra rallentare il riscaldamento globale (un problema di cui questo mondo sembra già molto più consapevole), dall’altra manda in crisi tutti i settori industriali del carburante, causando la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Su un altro versante, il cospirazionismo dilaga, complice anche la maggior divisione sociale provocata dagli investimenti eccessivi nella corsa allo spazio che animano il populismo dilagante, ed è gia chiaro fin dall’inizio che questa parte di storia non potrà che portare a qualche tragica conseguenza.

Sul fronte sociale, Ellen diventa il primo presidente donna degli Stati Uniti, ma se la questione “femminile” sembra aver fatto passi da gigante rispetto alla realtà, c’è ancora tantissima strada da fare sul fronte dell’identità sessuale, con lo scandalo del primo astronauta (e rappresentante dell’esercito) che si dichiara gay in mondovisione una volta atterrato su Marte. La grande qualità della scrittura sta qui nel bilanciare le sue vette immaginifiche con la realtà più terrena della vita dei personaggi (qualcosa che Moore faceva anche in Battlestar Galactica), mantenendo una credibilità difficilissima e inserendo il tutto, seppur con un paio di forzature di troppo, in una macchina narrativa ad orologeria che gioca tantissimo con i meccanismi della tensione (e si vede che lo show è affidato a chi già faceva televisione quando ancora si dava il giusto valore alla singola unità episodica).

For All Mankind - Stagione 3La serie, che in precedenza era caduta in qualche problema nel seguire i salti temporali di una storia che ogni stagione vuole raccontare un intero decennio, ha ormai imparato a gestire perfettamente lo scorrere del tempo, riuscendo a dare continuità alle storyline di tutti i personaggi. Certo, nelle decisioni narrative che portano al climax finale, si vede tutta l’esigenza di trovare un compromesso con l’invecchiamento dei personaggi (sono passati 25 anni dagli eventi del pilot), e per questo molti personaggi storici, come Molly e Karen, finiscono per trovare l’inevitabile conclusione del loro arco narrativo in maniera un po’ forzata. Dall’altra parte, però, questa stagione riesce a far emergere personaggi secondari che lentamente prendono la ribalta, presentandosi probabilmente come i protagonisti delle future stagioni, come Aleida, Kelly, Dev, Corey, Will e gli altri cosmonauti dell’impresa su Marte.

Una menzione a parte la meritano Jimmy e Danny Stevens, i due figli di Gordo e Tracy. Sembrerebbe che i due abbiano ancora un ruolo centrale nella storia, ma è difficile immaginare come possano “ereditare” l’attenzione dello spettatore dopo che gli autori li hanno resi i veri e propri villain della serie, capaci di essere colpevoli delle peggiori tragedie accadute nel corso di questa stagione. Seppur entrambi siano figure tragicamente umane, e sebbene ci sia sempre spazio per una storia di redenzione, le azioni dei due personaggi vanno oltre ogni possibilità di perdono e, senza nemmeno un’adeguata punizione per le loro azioni, rimane difficile pensare a che tipo di ruolo potrebbero avere nel futuro della serie.

Il finale appena andato in onda soffre forse delle aspettative legate alla perfetta conclusione della precedenta stagione e, seppure chiuda efficacemente tutte le storyline, lascia un po l’amaro in bocca nel prefigurare in che direzione la serie andrà da qui in poi. Se il salto temporale della seconda stagione ci diceva che il nuovo capitolo sarebbe stato incentrato sulla conquista di Marte, questo nuovo salto (nel 2003) ci lascia semplicemente con Margo fuggitiva e esiliata in Russia, ma senza darci alcun indizio su cosa aspettarci. Cosa ne è stato della Nasa dopo l’attentato del 1995? Ellen è riuscita a rimanere Presidente? Cosa è successo alla spedizione bloccata su Marte? Cosa ne è stato di Helios? Che ruolo avrà la Corea nel nuovo assetto politico e sociale? Chi saranno i protagonisti della stagione ora che Ed, Danielle e Margo avranno più 70 anni? Il finale ci lascia con mille domande ed infinite possibilità, e se questo è un bene, è anche potenzialmente un rischio perché non ci dà alcun indizio. Non ci resta che aspettare, sempre con la stessa fiducia che ovviamente si dà al “best show you’re not watching.”

Voto: 8 ½

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2 commenti su “For All Mankind – Stagione 3

  • Alessio

    Suvvia ragazzi, la terza stagione di For All Mankind è una macedonia di situazioni imbarazzanti e al limite del ridicolo, culminante con una donna incinta che viene sparata a 120 m/s legata come se nulla fosse all’esterno della navicella. Non si può giustificare questo scempio.

     
    • Davide Tuccella

      Non sono d’accordo, a me è piaciuta molto. Ho trovato anch’io molto forzata la storyline del concepimento nello spazio ma posso concedere la sospensione dell’incredulità se serve ad aggiungere un’ulteriore difficoltà alla missione; il “piano” per salvare Kelly invece non mi è parso così assurdo, almeno non meno di tante altre cose che abbiamo visto dalla prima stagione. In fin dei conti è tutta fantascienza, per quanto la si cerchi di mascherare con il realismo e per quanti consulenti scientifici che avallano la possibilità teorica di quello che ti inventi assumi, si tratta sempre della scrittura di una serie televisiva che prima di tutto deve costruire delle storie e dei personaggi che funzionano e poi si deve preoccupare che quello che fanno sia verosimile (nel caso di For All Mankind che nasce su una versione alternativa della realtà perlomeno).
      Diciamo che mi è parso molto più conveniente lasciare per l’ennesima volta in vita Edward anche dopo un tentativo di salvataggio che non gli lasciava praticamente via di scampo, cioè sacrificarsi per salvare figlia e nipote sarebbe stato un buon punto di arrivo per il personaggio dopo il senso di colpa per la morte del figlio a migliaia di km di distanza.