
La potenza di questo progetto si evidenzia da subito con la scelta della prima regina africana protagonista: non Cleopatra, che sarà invece al centro della seconda stagione, bensì Njinga, regina di Ndongo e Matamba (attuale Angola) durante il 17° secolo. Scegliere quest’ultima rispetto alla prima è un chiaro segnale di quello che questa docu-serie si prefigge di fare, ossia mostrare come l’antico adagio per cui la Storia viene raccontata dai vincitori abbia ingiustamente rimosso dalla memoria collettiva figure fondamentali, che nulla hanno da invidiare ad altre regnanti (europee) su cui si sprecano film, serie TV e adattamenti di ogni genere. Njinga è stata l’unica leader africana ad essere riconosciuta dai governanti europei come “woman king”; si è opposta ai paesi che arrivavano a invadere il suo regno con determinazione, intelligenza, diplomazia e scaltrezza, costruendo una storia – per sé e per il suo paese – che è davvero un crimine non conoscere.

E dunque, cosa ci raccontano queste prime quattro puntate di African Queens: Njinga?
Siamo nel 17° secolo in Africa Occidentale, in particolare nel regno di Ndongo, dove conosciamo la principessa Njinga (Adesuwa Oni, The Witcher), figlia del re in carica, di cui è consigliera grazie alle sue già note doti strategiche e diplomatiche. Nel corso dei quattro episodi, assisteremo all’evoluzione della figura di Njinga, che la porterà direttamente sul trono nel 1624, su cui rimarrà fino alla morte nel 1663 dopo essere diventata anche regina di Matamba. La sua vita sarà interamente dedicata alla protezione del suo popolo e del regno, ma soprattutto alla strenua opposizione ai portoghesi, minaccia costante per i territori di Ndongo e all’epoca principali fautori della tratta degli schiavi. Il Portogallo, infatti, in questo periodo è un impero in piena espansione, che schiavizza senza tregua persone portate dall’Africa occidentale fino alle colonie in Brasile. Nel corso della sua vita, da principessa prima e da regnante poi, Njinga elaborerà piani e strategie, stringerà alleanze e siglerà accordi, cercando di volta in volta la soluzione migliore – quindi non sempre quella ideale – per proteggere il suo popolo, la cultura, la sua stessa famiglia.

Non tutto è chiaro nella storia di Njinga, complice sia la distanza temporale, sia la volontaria cancellazione della sua memoria da parte della narrazione storica diffusa – è solo negli anni ’60 del secolo scorso che una nuova generazione angolana ha rivendicato la necessità di raccontare la vera storia di questa Regina Africana, ritenendola giustamente una figura capitale che merita di essere conosciuta.
E dunque, qual è il modo migliore per introdurre un personaggio storico così importante e così sconosciuto al di fuori dell’Africa? La produzione, guidata da Jada Pinkett Smith – voce narrante in ogni episodio –, opta intelligentemente per la docu-serie ma con una marcia in più, che rende African Queens uno show ancor più calibrato tra documentario e serie TV.
Se in generale le docu-serie a cui siamo abituati hanno la parte documentaristica supportata da delle ricostruzioni che hanno un ruolo funzionale e pragmatico più che velleità artistiche, qui emerge un lavoro che è quasi l’opposto: assistiamo infatti a una serie TV intervallata da degli approfondimenti documentaristici che permettono al pubblico di comprendere meglio la storia di Njinga, di contestualizzarla in maniera corretta grazie alle indicazioni di persone che conoscono o hanno studiato molto bene questa figura, di interpretare al meglio le parti più ambigue o meno certe (a livello storico) delle varie vicende.

La messinscena di un prodotto di tale fattura ha quindi una vocazione da vera e propria serie TV, ma non può che risentire – in positivo e in negativo – del fatto di essere ibridata con una parte più informativa che ne interrompe di volta in volta il flusso narrativo. Questo comporta, ad esempio, un’evidente volontà di aumentare l’engagement con lo spettatore attraverso alcune scene a grande impatto, o ad alto coinvolgimento emotivo: un escamotage comprensibile che regge quasi sempre bene, ma che in alcuni casi porta a percepire qualche eccesso di pathos.
D’altro canto, invece, il mix tra le due parti funziona in maniera ottimale in tutte quelle occasioni in cui si hanno delle perplessità storiche su come siano andate davvero le vicende o su quali fossero le reali motivazioni di un personaggio: invece di incorrere in monologhi interiori o spiegoni irrealistici, la serie opta per una sola messinscena, affidando poi alle spiegazioni degli storici le varie teorie su cosa possa essere accaduto. Esempi ne sono le possibili responsabilità di Njinga dietro a una morte risultata per lei strategica, ma anche la distinzione tra ciò che lei riteneva fosse la schiavitù da combattere – quella della tratta degli schiavi effettuata dai portoghesi e da altri popoli verso il Sud America – e quella che invece era osservata nel suo stesso regno, che non viene affatto nascosta bensì contestualizzata, evidenziandone similitudini ma anche le grosse differenze. In questo modo la parte seriale risulta avere personaggi forse meno approfonditi da un punto di vista psicologico, ma è proprio così che le due parti del prodotto, seriale e documentaristica, possono arrivare a un risultato omogeneo insieme, offrendo forse per la prima volta una docu-serie in cui il rapporto tra le due parti sia pressoché paritario.

Sono queste le domande alla base di African Queens, la cui prima stagione dedicata a Njinga vi lascerà durante ogni puntata con un solo interrogativo in mente: perché di questa incredibile regina, donna e guerriera non ne ho mai saputo nulla fino ad oggi?
