Con il quinto e il sesto episodio, L’Amica Geniale supera il giro di boa della sua quarta e ultima stagione, lasciandoci con solo altre quattro puntate (e mezzo libro) prima di finire la sua corsa, iniziata ormai sei anni fa. “Storia della bambina perduta” è un volume denso di accadimenti non meno degli altri, ma che, data la sua natura di conclusione della tetralogia, si ritrova a dover chiudere le vicende che si sono aperte nel primo, quando una anziana Lenù si ritrovava ad affrontare la scomparsa nel nulla della vecchia amica Lila nell’unico modo a lei congeniale: attraverso la scrittura.
È con questo racconto nel racconto che facciamo i conti e non dovremmo mai dimenticarlo, soprattutto perché, con la trasposizione seriale, si è aggiunto a tutto questo un altro strato: la serie co-prodotta da HBO e Rai è la rappresentazione audiovisiva di una narrazione primaria, quella di Elena Ferrante, che ci ha raccontato come Elena Greco abbia descritto la sua vita insieme a Raffaella Cerullo, sullo sfondo di più di mezzo secolo di Storia d’Italia. Ecco perché, ancor più che in altre trasposizioni romanzo-serie, qui risulta fondamentale l’accuratezza dell’interpretazione del mezzo televisivo, e non perché si debba seguire religiosamente un testo, anzi.
La serialità, come il cinema, ha il dovere di interpretare, finanche di interpolare gli accadimenti di un romanzo, per renderlo adatto al medium di destinazione; ma nel farlo deve essere sempre molto cauta, sia in sottrazione che in addizione: non si può svuotare l’originale di significato e nemmeno aggiungere parti che non trovano una coerenza interna con quello che è stato mostrato fino a quel momento. Con L’Amica Geniale il lavoro si fa ancora più difficile, perché modificare qualcosa non vuol dire mettere mano solo al materiale di Ferrante ma anche a quello di Greco, che nel suo modo di raccontare se stessa e gli altri racchiude gran parte del suo personaggio e delle sue motivazioni. Non è un discorso solo per i lettori: anche gli spettatori che non hanno alle spalle la lettura dei romanzi sono stati in grado, nel corso degli anni, di individuare delle stranezze che non riuscivano a spiegarsi, proprio perché il lavoro è stato così spesso brillante che, quando si sono compiuti degli errori, non si è potuto fare a meno di notarli.
Nella storia della serie abbiamo visto diversi cambi di punto di vista alla regia, con picchi altissimi e qualche scivolone abbastanza imperdonabile (soprattutto sulle rappresentazioni delle violenze); anche sul versante della sceneggiatura ci sono state modifiche ora sensatissime, ora prive di senso (ne sono esempi fulgidi i due season finale precedenti, agli antipodi per la riuscita di questi cambiamenti).
“La Frattura” e “Il Tradimento” rappresentano una perfetta coppia di episodi per portare avanti questa riflessione, perché anche qui ci troviamo di fronte alla modifica di una parte significativa del racconto, che tuttavia assume un senso grazie alle scelte registiche di questa annata e alle successive rivelazioni di uno dei personaggi.
Partiamo dunque dalla regia di Laura Bispuri, che si è fatta notare sin da subito per un approccio fortemente intimista, fatto di primissimi piani, inquadrature ai dettagli, vicinanze per certi versi scomode da sopportare: è una scelta molto diversa da quella dei suoi predecessori, ma che ben si addice al racconto di questo periodo della vita di Lila e Lenù, riunite questa volta in un’armonia quasi surreale dettata soprattutto dalle due gravidanze concomitanti. Rimangono di certo due donne molto diverse, ma Bispuri decide di creare anche visivamente dei paralleli che le legano: laddove Lila cede il controllo alla smarginatura durante il terremoto, la Lenù della serie comincia a sgretolarsi proprio da lì, a partire da quella crepa sovrapposta a lei nello scorso episodio, fino all’incubo di un nuovo terremoto, che anticipa quel travaglio a cui seguiranno la nascita di Imma e gli eventi traumatici di queste due puntate. La “frattura” è nella città e nelle persone, che la incarnano in maniere diverse ma che cionondimeno la condividono. È forse per questo che, a fronte di due soluzioni narrative opposte (Lenù partorisce in modo sereno ma senza Nino ad accompagnarla, Lila viene raggiunta da Enzo ma affronta un parto lacerante fisicamente e mentalmente), la scelta della serie di collocarle per un momento entrambe sole, ad affrontare le prime contrazioni sulle stesse scale dello stesso palazzo, sta lì a indicare nuovamente quel filo che le lega, che sembra stringere e allargare in continuazione le maglie delle loro vite.
Ma non è questa la modifica più importante che accade in questi episodi, ed è importante parlarne perché, sulla carta, sembra ripetere l’errore del finale della scorsa stagione: il risultato tuttavia è di gran lunga diverso.
Gran parte di “La Frattura” è incentrata sulle ossessioni di Elena, che in un momento così critico come quello della madre in pronto soccorso sembra non pensare ad altro che a Nino e a Lila, con una gelosia che la riporta indietro di decenni e di cui poi finirà per vergognarsi. Non funziona così nell’originale: se è vero che l’idea dei due nella stessa stanza le dà qualche pensiero (ma è un ragionamento complesso, legato a una riflessione sul corpo dopo il parto), il tempo passato ad attendere notizie dall’ospedale è dominato dalla preoccupazione per Immacolata, che si alterna a riflessioni sul corpo materno e sul potere maschile. Se c’è della rabbia infatti è quella riservata a se stessa per essersi “piegata all’autorità di Nino”, per avergli lasciato decidere come gestire la situazione, chi dovesse andare in ospedale e come.
All’apparenza, quindi, sembra che la serie stia di nuovo compiendo l’errore di appiattire il rapporto tra le due donne solo sul piano sentimentale, come se stessimo guardando l’ennesimo triangolo fatto di gelosie e di rapporti mai chiariti. La Lenù televisiva sembra così ossessionata da Nino e Lila da pensare a malapena a sua madre, come se non fosse in grado fermare la sua martellante immaginazione.
Ci accorgiamo invece del valore capitale di questa modifica solo con l’episodio successivo, quando Lila rivela a Lenù il comportamento di Nino con lei in diverse occasioni, tra cui proprio quella all’ospedale. Sentiamo le parole di Lila e sappiamo benissimo come immaginarcele, perché le abbiamo già viste; capiamo perfettamente come si sta sentendo Lenù, perché la macchina da presa ci ha quasi fatto entrare nei suoi occhi e nella sua testa mentre, nell’episodio precedente, immaginava, di fatto, la realtà.
I pensieri ossessivi che dominano il quinto episodio acquistano quindi una nuova valenza narrativa e, lungi dal semplificare il racconto, lo rendono più denso persino sul piano temporale: le visioni di Lenù non rappresentano un semplice presentimento, ma una vera e propria previsione di quello che le verrà confermato solo più avanti. Potremmo azzardarci a dire che, con questa deviazione dalla narrazione, abbiamo assistito per la prima volta nella serie a un’autentica smarginatura di un evento, che è esondato dai suoi argini di tempo e spazio per rovesciarsi nella mente di Lenù, con una potenza che avevamo visto solo nel personaggio di Lila. È una scelta drammaturgica e registica di grande potenza, non solo perché trova un modo nuovo per connettere le menti e le vite delle due amiche, ma perché pare davvero incarnare come mai prima d’ora lo spirito dell’opera di Ferrante.
Una delle caratteristiche più magnetiche di questa lunga storia è sempre stata l’analisi della condizione femminile nel corso del Novecento, in particolare in quella contraddizione continua che è la vita di Elena Greco, studiosa e parte attiva del movimento femminista dell’epoca che però nel privato si ritrova a non riuscire a staccarsi da dinamiche che la dominano indipendentemente dal suo intelletto. Lenù è una donna che incarna il futuro e il passato e che patisce ogni giorno lo scontro tra queste parti: si è staccata dalla sua terra, ha intrapreso una vita da intellettuale sposando un uomo come Pietro Airota, ha tradito, si è separata, ha anteposto se stessa alle sue figlie in un modo impensabile per l’epoca; eppure la vediamo arrancare quando si tratta di prendere una decisione che anteponga lei a Nino, uomo da cui subisce i peggiori comportamenti senza riuscire mai a distaccarsene del tutto. È proprio nel sesto episodio, “Il Tradimento”, che ci rendiamo conto della profondità di questa autentica dipendenza, che non ha nulla a che vedere con l’amore.
Per tutta la sua vita adulta, Lenù ha intravisto in Nino un individuo con un prima e un dopo: a generare quella frattura, secondo lei, era stato proprio il rapporto con Lila di tanti anni prima, che aveva cambiato per sempre il ragazzino di cui si era innamorata da giovane facendolo diventare l’inaffidabile traditore che si è poi trovata accanto. Quello di cui Lenù non si rende conto, nemmeno mentre sta ideando il suo nuovo romanzo basandosi proprio sull’intuizione di questa scissione, è invece quanto sia lei a essere determinata da un prima e un dopo, che dipende da Nino ma in modo obliquo. Già “Compromessi”, il terzo episodio, aveva manifestato in modo inequivocabile la natura traumatica del rapporto con Sarratore: l’inquadratura che vedeva Donato e Nino, padre e figlio, seduti insieme a osservarla, non faceva altro che amplificare quanto la violenza inflittale dal primo avesse inevitabilmente portato all’accettazione continua della manipolazione del secondo.
Non è un caso che Lenù capisca nello stesso momento la reale natura di Nino e quella di se stessa: è dopo quel tradimento così assurdo che comprende che “in realtà non c’era nessuna scissione”, che “Nino era uno solo”, ed è su queste parole che rivediamo l’abuso di Donato a Ischia – una scelta potentissima, che traduce senza bisogno di parole quel collegamento che la Lenù del romanzo fa tra l’espressione di Nino e quella di suo padre Donato “non quando mi aveva sverginato ai Maronti, ma quando mi aveva toccata tra le gambe, sotto il lenzuolo, nella cucina di Nella.” (pag. 224, vd. nota)
Nel rivedere Nino in Donato e Donato in Nino, Elena capisce quanto non sia il suo compagno a essere diviso in un prima e un dopo ma lei stessa, e proprio a causa di quel trauma primigenio che è migrato da un ramo a un altro dell’albero genealogico dei Sarratore, ma che in lei è rimasto incarnato come allora, portandola ad agire anche contro qualunque sua convinzione intellettuale. E tuttavia, cogliere il trauma non significa sapersene distaccare: Lenù si mostra schifata dal comportamento di Nino, eppure davanti all’amica ammetterà ancora di non essere in grado di immaginarsi senza di lui, nonostante tutto quello che ha capito fino a quel momento.
È utile a tal proposito ritornare alla terza stagione, quando Elena aveva cercato di diventare senza Lila, salvo poi percepirsi sempre a metà, un “quasi” che le impediva di raggiungere uno stato di interezza. Va ricordato perché è qui che sente il bisogno di riempire quella mancanza, perché se nemmeno tutto quello che ha capito di Nino e di se stessa riesce a farle prendere una decisione per sé, allora forse manca solo una cosa: che Lila intervenga e chiuda il cerchio per lei. È Elena a spingere l’amica a parlare, questa volta con determinazione; ed è Lila a farlo, dicendole cose che in fondo sa già benissimo, perché le ha viste, immaginate, anticipate. Ma è Lila a renderle reali, a toglierle dalla sua immaginazione e a dare loro una concretezza ormai innegabile.
Gli scambi tra le due donne, interpretate ottimamente in questa stagione da Alba Rorhwacher e Irene Maiorino, mettono in scena ogni volta tensione e confidenza allo stesso livello, e quest’ultimo dialogo non è da meno: gli equilibri tra di loro sono sempre stati precari, e, se Lila avesse detto queste cose a Lenù nel momento sbagliato, i risultati sarebbero stati di gran lunga diversi. Gli sguardi con cui le due donne si osservano a lungo prima di esprimersi soppesano di volta in volta la caratura del momento, la qualità delle informazioni, l’ipotesi che possa esserci un nuovo allontanamento dopo quell’incontro, senza che questo metta mai in discussione l’assoluta consapevolezza che il loro legame sarà sempre lì ad aspettarle: Maiorino e Rorhwacher hanno in questo un’alchimia fortissima, che riesce a veicolare fiducia e dubbio, affetto e ritrosia, confidenza e timore.
Sebbene L’Amica Geniale sia una storia del suo tempo, che ha quindi nel potere maschile sulle donne uno dei suoi fulcri più imponenti, è inevitabile guardare al romanzo e alla serie come a dei prodotti dominati da donne, in particolare dai loro legami – non per forza in un’accezione positiva. Ne è un esempio appunto il rapporto tra Lila e Lenù, che alterna momenti simbiotici ad altri di evitamento, in cui l’influenza dell’una sull’altra è fondamentale per comprendere tanto il loro rapporto quanto le loro singolarità; ma Ferrante indaga questi legami seguendo una ricerca ad ampio spettro sul femminile, ed è in quest’ottica che si inquadra l’ascendente di Lila su Alfonso. La prima ha certamente aiutato il secondo a trovare una sua più sentita dimensione, ma non è certo solo l’altruismo a muovere Cerullo: l’idea di trasformare Alfonso in un’altra sé risponde anche a esigenze egoistiche di vedersi “storpiata”, come riferirà lui a Lenù, e persino di dare in pasto a Michele Solara un alter ego che lo tenga il più possibile lontano da lei. Il fatto che Alfonso sia consapevole di tutto questo, e che la cosa lo diverta, non alleggerisce il peso della dinamica, anzi la amplifica, donandole echi di inquietudine che sgorgano dalla bocca stessa di Alfonso, quando all’improvviso dice: “Se m’ammazzano, ricordati che è stato Marcello.”
A chiudere il cerchio (perlomeno di queste puntate) è certamente il rapporto tra Lenù e sua madre Immacolata (una incredibilmente perfetta Anna Rita Vitolo), che solo nelle ultime fasi della vita di quest’ultima sembra trovare una qualche armonia, dopo una vita di maltrattamenti che si ripetono di generazione in generazione e che sono arrivati fino a Elena, durando per molto tempo. Da sempre Ferrante indaga con uno sguardo quasi clinico i rapporti tra madri e figlie, per una molteplicità di ragioni che, semplificando, vanno dallo sradicamento di luoghi comuni sulla maternità fino ai più socialmente indicibili tabù che vedono scorrere tra l’una e l’altra sentimenti aspri, rifiuti, autentico disinteresse.
È quindi notevole come il riavvicinamento finale delle due donne avvenga non solo a causa dell’età e della malattia, ma anche grazie a una nuova, piccola Immacolata che prende il posto della precedente, destinata a un futuro diverso da quello della nonna proprio grazie alla presenza di quella figlia tanto osteggiata: di nuovo, la regia entra in questa dinamica triangolare senza raccontarcela, ma mostrandoci, sempre da vicinissimo, la delicatezza delle due Immacolata, ai lati opposti della vita, attaccate entrambe ai capelli di Lenù. Immacolata ha influenzato negativamente la figlia per quasi tutta la vita, eppure è proprio con le sue ultime parole (“Ma tu sei tu […] e quindi m’aggia fida’”) che rimetterà in moto la vita di Lenù, decisa a dimostrarle anche post mortem che aveva ragione. Una conclusione a suo modo felice di un rapporto madre-figlia? Non proprio: la zoppia, arrivata improvvisa dopo la gravidanza e il lutto, si impossessa del corpo della nuova matriarca, come un segnale inquietante di eterno ritorno a cui dovrà seguire un nuovo moto di fuga, una ricerca definitiva di indipendenza.
Le pagine di Ferrante sono ricche di dettagli e di macroavvenimenti, di sotterranei movimenti interiori e di personalità enormi in grado di fagocitare persone e interi rioni: ci vuole uno sguardo acuto per raccontarle e quello di Bispuri sembra quello che finora è riuscito di più in questo duplice intento. “La Frattura” e “Il Tradimento” sono due episodi densissimi, che nel libro occupano meno di settanta pagine in totale e che ciononostante hanno la forza di spostare completamente il racconto, con nascite, morti, traumi riaffiorati e richiami dal passato. Il lavoro su questi due episodi si dimostra davvero impeccabile nella misura in cui rispetta il testo e se ne allontana sempre al momento giusto, con uno spirito interpretativo notevole, in grado di mettere in scena non solo le vicende dell’ultimo capitolo de L’Amica Geniale, ma anche una grossa parte della poetica stessa di Ferrante. Sarebbe davvero difficile chiedere più di questo.
Voto 4×05: 9
Voto 4×06: 9½
Nota:
Le pagine citate nella recensione provengono dal quarto volume de “L’Amica Geniale”, “Storia della bambina perduta”, scritto da Elena Ferrante, edizioni e/o.
Ho goduto nel leggere questa recensione, complimenti!
Grazie! 🙂