Da quando show come Penny Dreadful hanno riportato in auge al grande pubblico una vena gotica che mancava alla serialità più blasonata, molte serie hanno tratto ispirazione dalla letteratura e dagli eventi dell’Ottocento con l’intento di ricreare atmosfere e situazioni care agli amanti di Mary Shelley ed E.A. Poe. Un’estetica volta al notturno, dove sotto lo sguardo di pallide statue dal volto pio si consumano efferati delitti e corteggiano desideri oscuri. Alle volte la fortuna ha baciato certe produzioni come la serie tedesca Freud, altre volte si sono rivelate un buco nell’acqua, vedasi The Lizzie Borden Chronicles.
Eppure, nel genere poche serie si sono avvicinate al successo raggiunto dallo show TNT The Alienist, ispirato dai romanzi dell’americano Caleb Carr.
La prima stagione, pur con le dovute riserve, aveva portato sul piccolo schermo un mistero conturbante, che si intrecciava sullo sfondo del ritratto vago e notturno della New York di fine secolo, dando prova di saper dar vita a personaggi in grado di imprimersi nella memoria, soprattutto grazie alle interpretazioni di nomi come Dakota Fannings e Luke Evans. La vetusta professione dell’alienista, nella figura del Dottor Laszlo Kreizler, aveva aperto scenari interessanti nelle dinamiche con i suoi colleghi, interrogandosi su quanto oltre ci si potesse spingere nella ricerca della verità al costo della propria umanità.
La seconda stagione apre il sipario su una rappresentazione iconica: una strada notturna e piovosa, una corsa a perdifiato per le sue vie avvolte nella foschia, un’ombra nel buio appena ci si fa strada nel lucore di una lanterna e un tuono che illumina la statua pallida della Vergine in contemplazione muta delle azioni di coloro che si presentano come nuove minacce. Angel of Darkness dà il benvenuto a chi si era già appassionato e mostra subito il fiore all’occhiello di questa serie: l’atmosfera. Fedele al genere del dramma d’epoca, The Alienist ha mantenuto anche un altro dei maggior pregi, tale da guadagnare un Emmy per gli effetti visivi: qualsivoglia sia la scena, mai manca uno sguardo che racconta visivamente il periodo storico palpitante nella vicenda stessa. Sebbene gli scenari alle volte risultino artificiosi, diventano fondamentali nel realizzare il tenore della narrazione: dalle patinate sale dell’alta società ai pub dei bassifondi.
A proposito, è peculiare l’uso che “Ex Ore Infantium” fa della violenza, ancor più del successivo “Something Wicked”. Se il secondo episodio non si allontana da un canonico gusto per il macabro, il primo non è esente da una brutalità davvero impressionante, le cui vittime sono suggerite già nel titolo. Questa è un’arma a doppio taglio: si presta a diventare una storia significativa nel suo conturbante o a scadere in un escamotage colpevole di scioccare e poco altro. Una scelta delicata, soprattutto in rapporto ad alcune tematiche che lo show si auspica di affrontare, non ultima il ruolo della donna in una società patriarcale lontana nel tempo, ma vicina nei suoi problemi. I primi episodi rischiano di essere troppo confinati negli stilemi della serie d’epoca limitandosi a offrire un fedele spaccato nei suoi momenti migliori, ma un ritratto superficiale e fugace nei peggiori.
“Ex Ore Infantium” e “Something Wicked” si occupano prima di introdurre il mistero, poi di infittirlo nella più classica delle maniere: delitti efferati seguiti da una discesa fra sobborghi alquanto stilizzati, dove i nostri eroi vengono a patti con misteriose figure della malavita – non dissimile a quanto accaduto nella prima stagione, non dissimile a quanto già osservato in altre ambientazioni affini come Carnival Row. L’incedere della storia intrattiene, ma è arduo scrollare di dosso la sensazione di già visto, che depotenzia anche le scene più estreme volte ad alzare l’asticella della tensione. L’entrata di attori del calibro di Michael McElhatton (Roose Bolton in Game of Thrones) dona spessore alla già consolidata atmosfera dello show, non nuova linfa alle sue vicende. Almeno per il momento.
C’è sempre la speranza che un debutto classico porti da tutt’altra parte, se si avrà il coraggio di raccontare qualcosa in più, di piantare quel seme diverso fra gli intrecci più consueti. Soprattutto il secondo episodio è viziato da una certa piattezza nata dalla ridondanza, ma nulla a cui un proseguio degno non possa ovviare.
Dopo aver messo fine agli omicidi dell’assassino seriale nella prima stagione, i tre protagonisti si ritrovano dove la storia li aveva lasciati: Laszlo Kreizler è ancora un alienista, John Moore un colonnista del neonato New York Times e Sara Howard un’investigatrice privata, la cui storia si ispira alla prima detective americana, Isabella Goodwin. Essi si riuniscono per far fronte a una grave ingiustizia da parte delle istituzioni ai danni di una donna dei ceti sociali più bassi e, scossi da una prima sconfitta, procedono in un’investigazione per trovare l’ennesimo efferato serial killer. Di nuovo, i differenti metodi con cui Laszlo, John e Sara affrontano le indagini sono motivo di conflitto, che si presenta come una continuazione delle discordie già consumate fra i personaggi durante la prima annata.
I personaggi non sono cambiati, nel bene e nel male: il trio investigativo è il punto di forza in grado di trainare la storia. Daniel Brühl, Luke Evans e Dakota Fanning ritornano senza affanni nei ruoli cari agli appassionati di The Alienist. Alcune delle scelte tematiche sembrano mitigare le evoluzioni dei capitoli precedenti, soprattutto per il Dr.Kreizler; dopo la fine della prima stagione, si sarebbe auspicata una ritrovata saggezza nei mezzi a propria disposizione, anziché preparare una nuova discesa nell’abisso. John Holmes appare già meglio ridimensionato nel proiettarsi verso una nuova vita, ma proprio per questo desta interesse e intrattiene il suo giostrarsi fra la mondanità e le indagini nei bassifondi, fra il lavoro e l’investigazione. Il personaggio che più brilla è senza dubbio Sara Howard: il motore dell’investigazione e dei suoi intrecci, nonché spesso voce della ragione per il Dottor Kreizler e compagna di indagini con Holmes. Interessanti potrebbero rivelarsi anche i personaggi secondari, ben innestati nella storia, ma che ancora devono dare prova di essere figure a tutto tondo e non semplici comparse attorno all’indagine.
Peccando di una certa ripetitività, ma non tradendo i suoi punti di forza e le atmosfere che la contraddistinguono, il ritorno di The Alienist può convincere pienamente gli appassionati, ma solo per metà chi non ha interesse nel genere o non è rimasto entusiasta della prima stagione. Tuttavia, le vicende di Laszlo, John e Sara hanno già dato prova di essere una storia che ha bisogno del suo tempo, basta solo dare fiducia alle sue vicende e, soprattutto, ai suoi personaggi.
Voto: 7