The Book of Boba Fett è una storia che molti attendevano. La figura del misterioso cacciatore di taglie ha conquistato i cuori degli appassionati in sole cinque battute nell’intera trilogia originale di Star Wars, tanto da essere ritornato dai morti già una volta nell’Expanded Universe, fuori dal dominio della Disney. Dopo il primo trittico di episodi, la nuova serie Disney+ porta con sé due certezze: il suo obiettivo sono quasi unicamente i fan della saga e la sua qualità è estremamente altalenante. Ci sono stati momenti brillanti, come la progressiva crescita di Boba Fett in quanto daimyo di Tatooine sin dal primo episodio, e scene non proprio all’altezza, vedasi il deludente inseguimento in speeder in “The Streets of Mos Espa”.
The Book of Boba Fett è sempre sul punto di dare molto allo spettatore, ma allo stesso tempo tiene troppo a freno il ritmo della sua narrazione. Da un lato è un bene, perché i cambiamenti nel personaggio di Boba Fett meritano di essere approfonditi, ma è anche il caso di chiedersi dove andrà a parare la sua ascesa in qualità di successore (del successore) di Jabba the Hutt.
“The Gathering Storm” e “Return of the Mandalorian” confermano alcune delle debolezze finora evidenziate, ma i meriti non mancano e la speranza di un grande crescendo finale è sempre dietro l’angolo, per questa serie perennemente promettente.
La trama rallenta ancora fra quarto e quinto episodio, avanzando in piccoli passi durante il banchetto di Fett con gli altri clan di Mos Espa e nell’ingaggio di Din Djarin da parte di Fennec Shand. L’incontro del daimyo con i suoi pari è molto evocativo e ricrea le atmosfere care agli appassionati vecchi e nuovi; il ruggito del Rancor di Boba Fett è il picco di una scena che, purtroppo, serve a poco oltre a suggerire l’arrivo del nuovo beniamino mandaloriano.
Nel mentre, due personaggi sono al centro di una scena di contorno dalle importanti sfumature. Krrsantan, il feroce mercenario liberato da Boba, si scaglia contro dei giocatori d’azzardo trandoshani. In molteplici produzioni (fra cui Clone Wars) è chiaro il cattivo sangue che scorre fra i wookie e gli schiavisti trandoshani ed è un dettaglio di ambientazione non da poco, utile ad approfondire un pur secondario personaggio. A calmare gli animi è Madame Garsa Fwip, la proprietaria della Sanctuary interpretata da Jennifer Beals. Il suo discorso ammansisce Krrsantan, ma potrebbe nascondere una verità anche per il nuovo daimyo, che vedremo più avanti.
Tuttavia, i protagonisti di The Book of Boba Fett fanno pochi progressi nel presente di Mos Espa, perché i nuovi episodi si concentrano più a svelare il passato o introdurre graditi ritorni. C’è il rischio di esacerbare i difetti mostrati sin dal primo episodio, per quanto valevole fosse; le analessi di “The Gathering Storm” non riescono a riprodurre l’impatto dei ricordi condivisi con il clan dei Tusken o l’adrenalina durante l’assalto al treno.
Vale la pena andare a fondo agli ultimi scorci del passato più prossimo per Fett e Shand, per quanto siano sbrigativi. Nel raccontare l’incontro fra i due si riprende il finale dell’episodio “Chapter 5: The Gunslinger” di The Mandalorian, foggiando un’accattivante continuità fra i prodotti della galassia lontana lontana. Merita una tiepida lode il tentativo di mostrare l’evolversi del rapporto fra i due affiliati e la nascita della fedeltà assoluta della Maestra Assassina verso il redivivo veterano. I dialoghi che li avvicinano suonano artificiosi, ma che sia per il fascino del personaggio o la bravura degli attori coinvolti, qualcosa riesce a colpire nel segno e ad essere perfettamente in armonia con le atmosfere dell’universo di Star Wars. In certi casi la bellezza di una scena è negli occhi di chi guarda e la chimica fra Temuera Morrison e Minga-Na Wen non è un fattore da sottovalutare.
Invece, due scene ad alto carico emozionale per Fett si rivelano mancanti di quel guizzo che avrebbe potuto incidere nel cambiamento dell’iconico personaggio. La tematica di una rinascita dal ‘battesimo del Sarlaac’ passa quasi in sordina, nell’annuncio della guarigione di Boba dalle sue ferite, così come il ritorno al pozzo di Episodio VI e l’incursione al Palazzo di Jabba avrebbero potuto riaccendere una qualche reazione nelle memorie del cacciatore di taglie che è stato, anziché condurre a scene d’azione in cui manca qualcosa per essere memorabili. Il quarto episodio risulta infine senza infamia e senza lode.
“Return of the Mandalorian” genererà sicuramente opinioni contrastanti. L’assenza del protagonista della serie coincide con il ritorno dell’amato Din Djarin, al centro di una storia che lo dovrebbe vedere come deuteragonista. Ciononostante, il quinto episodio è uno dei migliori finora. Le atmosfere di Glavis ricordano da vicino ambienti familiari delle pellicole, delle serie e dei videogiochi (simili al famigerato pianeta Nar Shaddaa) e la panoramica del mondo-anello sembra un esplicito riferimento al romanzo Ringworld di Larry Niven. Questa estetica impreziosisce il ritorno in scena dei sopravvissuti appartenenti alla famigerata Deathwatch: rifugiati dalla persecuzione dell’Impero Galattico, ma orgogliosamente attaccati alle proprie tradizioni. La narrazione si focalizza sulla cultura mandaloriana, regalando scene ad alto impatto emotivo. Una su tutte: la domanda della Forgiatrice alla fine del duello fra Din Djarin e Paz Vizsla. Il Mandaloriano non cerca di giustificare la sua mancanza, ma è tale l’attaccamento al suo popolo ritrovato che asseconda l’espiare una dubbia colpa con un rito impossibile. Sorge la domanda semmai dovrà scegliere fra la sua gente e Grogu, ancora nei pensieri del solitario guerriero.
Il gradito ritorno della meccanica Peli Motto (interpretata da Amy Sedaris, voce di Miss Carolyn in Bojack Horseman) e la strizzata d’occhio alla trilogia prequel con la ristrutturazione di uno starfighter di Naboo aiutano a tenere alto l’interesse per una seconda parte un po’ troppo rilassata, ma sono scene ricche di riferimenti in cui i fan di Star Wars possono trovarsi a casa, nonostante qualche domanda scomoda sull’intimità dei Jawa.
Si segnala anche la regia di Bryce Dallas Howard, a cui va il merito delle succitate atmosfere del pianeta Glavis, ottime per riflettere la desolazione interiore del Mandaloriano, e altrettanto delle scene d’azione di cui Din Djarin è protagonista inarrestabile, ma non invincibile, che ben ritraggono la sua fatica nel brandire la Lama Oscura.
“Return of the Mandalorian” è un episodio davvero ben riuscito, nonostante un certo calo nella seconda metà. La nostalgia e il nuovo trovano un soddisfacente punto di incontro in questo ultimo (per ora) capitolo di un intreccio che però dovrebbe essere secondario; questa deviazione sarà valsa la pena a soli due episodi dal finale?
Inoltre, cosa significa questa stessa deviazione per Boba Fett e Din Djarin nel nuovo canone di Star Wars? Il quinto episodio potrebbe essere un passaggio di testimone da mandaloriano a mandaloriano, forse già anticipato dalle malinconiche parole di Madame Garsa Fwip. L’era del Boba Fett cacciatore di taglie freddo e spietato è passata, presentandoci un personaggio non privo di spigolature, ma che sa essere umano e ben più profondo di un’armatura colma di accessori. Dall’altra parte, il destino del Mandaloriano è ancora tutta da scoprire e da scrivere. The Book of Boba Fett potrebbe essere l’ultima grande impresa del figlio di Jango, prima di trovare il suo posto nella galassia in qualità di daimyo di Tatooine e lasciare il passo a una figura nata e cresciuta in seno alla Disney. Dopo la seconda stagione di The Mandalorian, Djarin è a sua volta alla ricerca del proprio posto nella galassia a causa di un cuore diviso fra la pesante eredità di un popolo in fuga e l’affetto verso il suo piccolo; la prima simboleggiata dalla pesante Darksaber, il secondo custodito in un regalo leggero, ma forte quanto il metallo beskar.
Le nuove uscite di The Book of Boba Fett si dividono fra momenti di semplice intrattenimento e ritorni entusiasmanti. Il freno è sempre lì premuto e la storia procede, ma non decolla in una sequela di promesse e promesse sull’avverarsi delle potenzialità di una serie che ha sempre meno tempo per provare sé stessa al di là della semplice operazione nostalgia, per quanto riuscita.
Voto 1×04: 6 ½
Voto 1×05: 7 ½
Un passaggio di testimone, questo ho pensato vedendo il quinto capitolo di TBOBF. Non tiro conclusioni, mancano due episodi e può succedere davvero di tutto, ma dietro intravvedo ancora un tentativo di archiviare il vecchio come, si è già tentato (inutilmente) con l’ultima trilogia, per il nuovo. A Boba Fett si sta dando l’onore di una seconda fine meno sbrigativa di quanto vedemmo ne Il Ritorno dello Jedi e non è un caso che l’arrivo di Mando coincida con azioni, paesaggi, colori e CGI completamente diversi. Il “rammollito” Boba Fett, con la sua armatura incompleta e ammaccata si avvia verso l’inevitabile fine.
Conclusione un po’ amara per chi ha scelto come nickname “Boba Fett”. Non è un po’ come assistere al proprio declino?