La figura dell’immigrato di seconda generazione sta ottenendo una meritata rappresentazione negli ultimi anni, anche se spesso è relegata ai margini delle storie che la coinvolgono (vedasi il pur riuscito Warrior). Alla fine di maggio, nel mezzo delle produzioni dei colossi Marvel e Star Wars, si è fatto notare su Disney+ American Born Chinese, l’adattamento da parte di Kelvin Yu (Brian Chang in Master of None) e Marvin Mar (produttore di Fresh off the Boat) dell’omonima graphic novel del fumettista Gene Luen Yang, che molti ricorderanno come illustratore della serie di fumetti sequel del classico animato Avatar: The Last Airbender.
La genesi di questa trasposizione non è stata lineare; Yang ha dichiarato infatti di aver già declinato in passato una proposta da parte di Hollywood, ritenendola una mera mossa commerciale in vista delle Olimpiadi di Pechino del 2006. Questa non fu l’ultima offerta ricevuta, ma l’autore è stato fermo sulla decisione di attendere che i tempi fossero maturi per un’accurata rappresentazione dei personaggi della sua opera. Fra il 2020 e il 2021, l’incontro con i produttori Yu e Mar lo convinse che finalmente fosse il momento giusto perché la sua graphic novel sbarcasse sul piccolo schermo. Disney+ dà il suo green light nel 2021 e nel progetto sono coinvolti parecchi professionisti cino-americani del mondo dello spettacolo, come Lucy Liu alla direzione dell’episodio “Hot Stuff” e il cast principale del film premio Oscar Everything Everywhere All at Once (2022), da Michelle Yeoh a Ke Huy Quan; una quasi coincidenza considerata l’influenza della rinomata pellicola sullo show Disney.
La storia che vede protagonisti i giovani Jin Wang e Wei-Chen trova il suo equilibrio fra la mitologia e la vita di tutti i giorni, un equilibrio sostenuto dalle sue tematiche e soprattutto i suoi personaggi. American Born Chinese mette in scena la ricerca del proprio posto in un ambiente che non sempre è preparato ad accogliere chi si muove fra due mondi completamente diversi. Questo struggimento accomuna le vite mortali e immortali che si intrecciano durante una prima stagione che non si ferma ad essere una semplice introduzione, ma tenta di approfondire come può la sua vicenda. Dei e uomini sanno cosa desiderano e lottano per ottenerlo affrontando nemici pericolosi, la società che li circonda, ma soprattutto sé stessi in una confusione esistenziale che preferiscono sopportare, anziché parlarne con le persone a loro vicine. Se c’è un pregio in American Born Chinese è l’umanità di una storia che sa abbracciare una varietà di personaggi degna di un mito, anche quando inciampa sulle sue stesse ambizioni.
Il razzismo sistemico, uno dei pilastri della narrazione, è ritratto con una cura verosimile che rende giustizia ad un argomento così delicato, ma non riesce a culminare in qualcosa di più concreto almeno per il momento. La sottotrama del meme virale che colpisce Jin Wang diventa poco più che un pretesto per mettere in moto la trama generale facendolo entrare nella squadra di calcio e i suoi compagni non fanno i conti con le conseguenze della loro discriminazione, né mostrano una crescita a riguardo. Ciononostante, “Beyond Repair”, l’episodio più impegnato della stagione, fa riemergere queste tematiche lasciate un po’ in secondo piano a metà stagione, grazie al sentito sfogo dell’attore e insegnante di teatro Jamie Yao e l’incontro dei Wang con la preside della scuola, un confronto dolceamaro dove la famiglia ritrova sé stessa. Nonostante sia quasi certa una seconda annata non prima della primavera del 2024, questo debutto ha il difetto di costruire tanto e bene senza riuscire a raggiungere una vera e propria catarsi, anche temporanea.
La storia tiene incollati sullo schermo soprattutto grazie alle atmosfere molto ben realizzate, fra gli effetti speciali e i combattimenti stile wuxia e ci sono buone basi perché il proseguire dello show evolva molte delle trame che non hanno ancora realizzato il loro potenziale in un finale che non è stato all’altezza delle aspettative; il furto del Nyoi Bo e la minaccia dell’equinozio di autunno si sono risolti in una scena d’azione che sa di già visto (non essendo la prima lotta acrobatica della stagione) e annacqua quanto di buono si è mostrato finora pur non rovinando nulla. Il cliffhanger delle ultime scene arriva a scuotere un ultimo episodio che pur convincendo tiepidamente, lascia l’amaro in bocca.
In verità, non è rara la sensazione che American Born Chinese sia troppo compresso per poter realizzarsi appieno: otto episodi dalla durata di mezz’ora ciascuno non sono bastati e non è una colpa da ascrivere allo show quanto alla sua produzione. La storia di volta in volta accelera tanto da disturbare l’immersione degli spettatori e un esempio è la strana struttura narrativa del quarto episodio; “Make a Splash” è un diretto riferimento a Monkey, dorama di fine anni ’70, che reinterpretava le vicende del classico letterario Il viaggio in Occidente. Il quarto episodio mette in scena i trascorsi celesti fra Niu Mowang, il Bull Demon, e Sun Wukong, in una deviazione originale, divertente e anche profonda nel suo umorismo, ma che rimane un flashback del Re Scimmia alle prese con il figlio ribelle. L’ostacolo per Wei-Chen di essere messo in punizione dal padre per due secoli viene risolto nell’arco di un episodio senza mai essere affrontato dal diretto interessato, lasciando l’impressione che il giovane semidio non si sia davvero guadagnato il ritorno sulla terra al fianco di Jin Wang.
Riguardo quest’ultimo, la rivelazione sulla vera identità della Quarta Pergamena è un espediente che funziona solo grazie alla qualità dei personaggi coinvolti, perché il ritrovamento in sé è stato un susseguirsi ripetitivo di false piste ed esposizioni della trama, che perlomeno non sono mai state troppo pesanti grazie alla spettacolarità dei dipinti surreali di Ji Gong, il Monaco Pazzo.
Dunque, i personaggi sono il punto di forza dello show, anche grazie alle interpretazioni di livello degli attori e attrici coinvolti. La cura nella loro rappresentazione riprende sicuramente molto dal materiale di origine, ma sono unici anche sul piccolo schermo con importanti accorgimenti nati nella trasposizione dalla pagina, come il fatto di inserirli in un contesto contemporaneo perché siano più realistici anche nelle scene più surreali, molto riuscite nel rappresentare i turbamenti interiori dei protagonisti nel solco della lezione di Everything Everywhere All at Once. Jin Wang e Wei-Chen consolidano la loro alchimia nei parallelismi tracciati dai rispettivi archi narrativi: li accomuna il forte desiderio di essere protagonisti in un mondo che prende le distanze da loro. Il poco tempo a disposizione non mina troppo il loro legame, che si cementa anche in momenti difficili come il litigio per il pendente in “Abracadabra”. I personaggi secondari non sono da meno; la difficoltà dei genitori nel rapportarsi con i figli deriva dal porre non poche aspettative sulle loro spalle, nel tentativo di evitargli gli errori di gioventù che lo stessi hanno vissuto. Sia Jin e Wei-Chen diventeranno inevitabilmente uno specchio per le rispettive famiglie, come afferma saggiamente un Sun Wukong ferito in “The Fourth Scroll” durante una delle più belle scene della stagione. Persino Guanyin, la dea della misericordia interpretata da Michelle Yeoh, ha dubbi su come agire per il meglio nel tentativo di proteggere il suo pupillo, ma nella consapevolezza di non poter scegliere per lui. Questo elemento umano che lega cielo e terra sostiene lo show quando la storia non riesce a reggersi da sola.
American Born Chinese è una trasposizione ambiziosa quanto i suoi protagonisti, e ci vuole molto coraggio per sgomitare fra i colossi Disney+ trovando il proprio spazio e la propria identità. Questo show ha tutte le carte in regola per riuscirci nonostante qualche difetto evidente, grazie a personaggi memorabili e alle atmosfere molto originali che possono essere goduti anche senza conoscere la graphic novel originale, comunque consigliatissima.
Voto: 7