
Di questo caso, ampiamente coperto dai media, esisterebbe solo ciò che i tanti notiziari e programmi televisivi ci hanno raccontato, se non fosse stato per l’intuizione di un documentarista francese, Jean-Xavier de Lestrade, già premio Oscar per il film Murder on a Sunday Morning, che iniziò a seguire la vicenda con la sua telecamera fin dagli inizi, realizzando con sedici anni di ripresa i tredici episodi che compongono The Staircase, non solo probabilmente la serie della sua vita, ma un’opera epocale senza precedenti.
Vero precursore dei true-crime documentary oggi tanto in voga (pensiamo alla HBO con The Jinx, o lo stesso Netflix con The Keepers e il più noto Making a Murderer, per il quale De Lestrade collaborò indirettamente), The Staircase non è solo un documentario sulla discussa persona di Michael Peterson, accusato dell’omicidio della moglie, ma una serie che ha trasceso la sua natura col passare degli anni, diventando una riflessione sull’ossessione e sulla giustizia, ma anche e soprattutto sul tempo, che per più di sedici anni solca i volti e lo spirito di ognuno dei protagonisti che si affacciano sullo schermo.

Per certi versi, l’effetto è molto simile a quello di Boyhood di Richard Linklater, ma lì dove il regista costruiva un’opera di fiction usando gli stessi attori nel corso degli anni, qui crolla il filtro del cinema e della finzione, restituendo un ritratto del tempo ancor più realistico e di rara potenza emotiva, e che ha per protagonista non solo il volto pesantemente scavato dalla vicenda di Michael Peterson, ma anche e soprattutto i suoi familiari, con i figli che nel frattempo si trasformano sotto i nostri occhi da studenti, ad adulti, a genitori.
Non è un caso che, nella scena della lettura della sentenza, la telecamera non si rivolga all’indagato, ma rimanga ferma ed impietosa sul volto dei suoi familiari, in uno dei momenti più devastanti che nessun attore o sceneggiatore sarebbe in grado di restituire. Eppure in questo non c’è alcun voyeurismo (De Lestrade si tiene anche molto alla larga dai particolari pruriginosi riguardanti la bisessualità di Peterson), bensì la sincera intenzione di volere offrire un ritratto della vita e di come le vicende che attraversiamo modifichino e plasmino i nostri corpi e la nostra personalità.
Quello che inizialmente era un documentario su un intrigante caso giudiziario si carica nel corso degli episodi di una valenza metaforica e filosofica raramente presente in un prodotto del genere. Tra colpi di scena, insabbiamenti, false testimonianze, il racconto acquista presto i connotati di una farsa o di un beckettiano teatro dell’assurdo, in cui i corpi stessi dei protagonisti vengono fagocitati e consumati da un’ossessiva ricerca di una giustizia o di una verità destinata per sempre a rimanere relativa. Nel corso degli anni, vediamo come la lacrime cambino per sempre i figli di Peterson, come l’odio consumi i parenti di Kathleen nel tentativo di cercare una vendetta e una chiusura del caso, e di come tutto questo si rifletta sul corpo sempre più affaticato del protagonista, figura controversa perché spesso avida di emozioni, ma sul cui volto sono ben evidenti i segni di un calvario che da solo ha una potenza narrativa unica nel suo genere.

Tutto nel corso degli episodi viene decostruito: la fiducia nella giustizia, il ritratto di un matrimonio felice, l’integrità delle persone coinvolte; tutto precipita nelle zone grigie dell’ambiguità, che conduce lo spettatore a cambiare innumerevoli volte parere non tanto sul caso, quanto sui protagonisti della vicenda. E grigio alla fine rimane anche il distacco tra cinema e realtà, che probabilmente si sono influenzate a vicenda (come accaduto con The Jinx) in modo fruttuoso ma altrettanto ambiguo (come dimostra l’ultima invettiva della sorella della vittima contro il documentario stesso). The Staircase è cinema a tutti gli effetti, ha i sui buoni e suoi cattivi, i suoi villain e i suoi eroi, con colpi di scena a metà tra thriller e soap-opera; allo stesso tempo, però, è anche ciò che più ha avvicinato il cinema alla realtà, in una perfetta compenetrazione e fusione, che rende il prodotto finale di una potenza emozionale inaudita, un’esperienza artistica tra le più audaci e interessanti che la storia della televisione ricorderà.
