Non è una sorpresa che la storia dell’omicidio di Dee Dee Blanchard abbia attirato così tante produzioni in tempi recenti. Quando la vicenda emerse nel 2015, l’attenzione pubblica si concentrò subito verso uno dei casi di cronaca più complessi e tristemente interessanti degli ultimi tempi, fino a che gli ultimi processi non hanno posto fine alla questione tra la conclusione del 2018 e l’inizio di quest’anno.
Una volta che le dinamiche di quanto accaduto furono chiare e confermate a tutti, non sono mancati i documentari e gli adattamenti sul piccolo schermo, sulla scia del filone true crime che ha preso piede nel filone dei podcast con Serial e poco dopo sulla televisione americana con lo stravolgente The Jinx. The Act è quindi il quarto adattamento principale della vicenda: sono già stati distribuiti due documentari, Mommy, Dead and Dearest nel 2017 e Gypsy’s Revenge nel 2018, e un film tv prodotto da Lifetime e rilasciato a fine gennaio di quest’anno.
Senza entrare troppo nei dettagli della storia, si possono riassumere i suoi tratti principali, ormai noti al grande pubblico: Dee Dee Blanchard, madre di una figlia considerata gravemente malata ed incapace di vivere in maniera autonoma, è stata trovata morta nella casa in Missouri dove si era trasferita dopo che quella precedente era stata distrutta dall’uragano Katrina. Quello che sembrava un caso di omicidio da parte di un ex marito o di un individuo esterno alla famiglia ha presto rivelato dei dettagli sconvolgenti, fino a concludere che la madre soffriva di sindrome di Munchausen per procura, gettando un’ombra sul passato “malato” della figlia Gypsy e sul controllo ossessivo esercitato su di lei.
I primi due episodi della serie fanno leva su queste caratteristiche per costruire un adattamento carico di tensione, che sfrutta l’ambiguità e la complessità del rapporto madre-figlia per alimentare il “mistero” dell’omicidio di Dee Dee, i cui dettagli vengono centellinati in ogni episodio. La struttura è quindi affine a quella dei thriller a cui l’era dei prestige drama ci ha abituati: l’aggancio occasionale col 2015, in cui viene scoperto il corpo della madre, svela passo per passo le dinamiche dell’omicidio di Dee Dee, mentre la maggior parte degli episodi si svolge nel passato, approfondendo quegli sviluppi che sarebbero poi degenerati nel delitto. La fotografia e la regia accompagnano quasi scolasticamente il lavoro fatto, così come le musiche drammatiche e spesso piuttosto invadenti sottolineano l’importanza di certi momenti; il lavoro più soddisfacente viene decisamente svolto dal cast, guidato dalla sempre eccelsa Patricia Arquette e da una brava Joey King nei panni di Gypsy.
In generale, quello che convince di più finora è il rendimento del percorso di Gypsy in relazione alla tirannia dovuta alla malattia mentale della madre. Nonostante venga gestito in maniera piuttosto standard, la qualità delle interpretazioni e l’interesse genuino suscitato da una storia così unica producono l’inevitabile effetto di tenere incollati allo schermo, curiosi di scoprire in quale modo si è sviluppata l’innaturale crescita di Gypsy in quell’angolo sperduto del Missouri. Quello che viene messo in scena è a metà tra il racconto di formazione e il giallo, con elementi nel percorso di Gypsy che vengono distorti dal suo rapporto con la madre e – di conseguenza – la sua relazione con l’ambiente circostante.
Il problema principale della serie risiede in quello che si diceva prima: The Act non è che il quarto adattamento di una vicenda ormai nota a moltissimi, le cui dinamiche hanno occupato i talk show e i telegiornali americani per diverso tempo. Dopo che addirittura altre produzioni sono già circolate, qual è il senso di un’operazione del genere?
In primo luogo, la costruzione della tensione che accompagna alla lenta scoperta dell’omicidio funziona in genere quando i dettagli non sono noti allo spettatore. La tecnica di fornire piccole informazioni in ogni episodio si nutre dell’incertezza di chi guarda, dei nodi ancora non sciolti per quanto riguarda chi ha commesso l’omicidio e per quale motivo: in questo caso, data l’altissima notorietà della vicenda, tale costruzione suona quasi come una presa in giro – o perlomeno dà l’impressione di un espediente vecchio, completamente ignaro degli sviluppi in termini di risonanza mediatica che la storia ha avuto. In poche parole, si ha la sensazione che gli autori vogliano raccontare una vicenda che nessuno conosce, quando in realtà se ne è parlato su tutti i mezzi d’informazione per più di quattro anni.
Il secondo problema con l’approccio utilizzato nella narrazione sta nel suo debito evidente alla struttura del prestige drama, i cui gialli seguono spesso una struttura e uno stile espositivo ben definiti. In questo The Act si configura come un prodotto del tutto scolastico, che non punta ad innovare ma fa leva sulla potenza intrinseca della narrazione affidandosi a degli schemi ben consolidati; il problema è che, nel 2019, questi schemi sanno di stantio, data l’evoluzione vertiginosa degli standard televisivi e il tramonto del prestige drama come tipologia di prodotto televisivo d’eccellenza. Questi primi due episodi si presentano quindi come il retaggio di un sistema ormai superato, che cattura ancora parte degli spettatori grazie alle storie che mette in atto, ma che fa molto poco per arricchire veramente l’immensa offerta televisiva che ci troviamo di fronte in tempi recenti.
L’esordio di The Act è certamente interessante e coinvolgente, prendendo spunto da una storia che ha ormai attirato l’attenzione del grande pubblico in diversi modi. Rimane da chiedersi se ci sia qualcosa di più, se la serie possa in qualche modo andare oltre l’interesse della vicenda per differenziarsi dagli adattamenti che l’hanno preceduta ed aggiungere qualcosa di significativo all’offerta attuale di Hulu; alla luce di questi due episodi, la risposta sembra essere negativa.
Voto: 6+