The Twilight Zone – A dimension not only of sight and sound but of mind


The Twilight Zone – A dimension not only of sight and sound but of mindIn Italia è meglio conosciuta con il suo titolo tradotto “Ai confini della realtà”, ma The Twilight Zone è un prodotto che non ha di certo bisogno di presentazioni. Creata da Rod Serling e andata in onda dal 1959 al 1964, è stata una serie antologica di grande successo, tale da generare ben tre reboot successivi e addirittura un film diretto da Joe Dante: la versione del 1985, quella poco fortunata del 2002 e, infine, quella in questione del 2019 in streaming su CBS All Access.

Categorizzata come serie fantascientifica, in realtà The Twilight Zone e i suoi episodi non sono mai stati strettamente definiti da un genere preciso; ovviamente ci sono state storie che possono essere facilmente inserite nella fantascienza in senso stretto, ma la sua particolarità è quella di aver saputo esplorare diverse tipologie di racconto, dall’horror al post-apocalittico, e di focalizzare l’attenzione su vicende profondamente umane, toccate in qualche modo dal mistero e da inspiegabili eventi. La “zona crepuscolare” che dà il titolo alla serie è, difatti, intesa come quello spazio tra realtà e finzione nel quale tutto può accadere e al cui interno l’individuo deve compiere scelte difficili o deve scoprire qualcosa di terribile su di sé. Ogni episodio dello show, anche in questa sua ultima incarnazione, segue dunque la storia di una persona specifica e raccoglie il suo punto di vista sugli eventi incredibili che si trova ad affrontare.

The Twilight Zone – A dimension not only of sight and sound but of mindUno degli elementi che, prima della messa in onda, aveva suscitato maggiore interesse per questo revival è stato il coinvolgimento nel progetto di Jordan Peele, mai come in questo periodo sulla cresta dell’onda, anche grazie al successo degli straordinari Get Out – candidato all’Oscar per il miglior film nel 2018 – e il più recente Us. Qui lo troviamo in veste di produttore, al fianco di Simon Kinberg (Star Wars Rebels, X-Men: Dark Phoenix) e Marco Ramirez (Daredevil, Sons Of Anarchy), e soprattutto di attore/narratore con il compito di introdurre e concludere ogni episodio, ruolo che era stato in passato dello stesso Serling, ma anche successivamente di Charles Aidman e Forest Whittaker. La voce magnetica di Peele e la sua ottima presenza scenica ne fanno un ottimo erede di Serling e contribuiscono alla buona riuscita di questa nuova incarnazione di una delle serie più influenti della televisione.

Da quest’ultimo punto di vista non si può non notare come la presenza del regista sia stata quantomeno d’ispirazione all’avvicinare le sceneggiature dei diversi episodi alle criticità più importanti della società contemporanea. Peele, infatti, è noto per la sua vicinanza alle questioni più urgenti della comunità black in America, dal razzismo alle violenze da parte della polizia, ma anche alle altre battaglie sociali di tradizione liberale che, oggi più di ieri, sono quotidianamente combattute e discusse, dal ruolo sociale della donna all’emergere dei populismi, dalla paura per il diverso alle questioni legate all’esplorazione spaziale; temi che ha saputo portare all’attenzione del grande pubblico attraverso i suoi film ma anche attraverso i suoi altri progetti, come il recente Weird City co-creato con Charlie Sanders. Una delle caratteristiche di questi titoli è il non presentarsi mai come dei semplici manifesti attraverso i quali Peele e gli altri autori cercano di veicolare un messaggio, ma innanzitutto come prodotti di intrattenimento a tutti gli effetti, capaci di trascendere e riempire di significato il genere che si sceglie di omaggiare (l’horror per Get Out e Us, la distopia fantascientifica per Weird City) tanto da poter essere interpretati a più livelli. Lo stesso discorso vale per The Twilight Zone, che sfrutta abilmente questo stratagemma per dare un senso agli episodi e fornire uno spunto di riflessione intelligente sul mondo che ci circonda; ovviamente, trattandosi di una serie antologica nella quale ogni episodio è scritto da un autore diverso, si troveranno puntate molto riuscite e altre decisamente più deboli, ma nel complesso il livello qualitativo è molto buono, con qualche picco e diverse intuizioni interessanti.

The Twilight Zone – A dimension not only of sight and sound but of mindUn’ultima menzione la merita il particolare episodio che chiude la prima stagione: “Blurryman”, scritto da Alex Rubens (Rick & Morty, Community), è un racconto metatelevisivo nel quale la scrittrice dell’ultimo episodio della stagione di The Twilight Zone, interpretata da una stupenda Zazie Beetz (Atlanta, Deadpool 2), si ritrova essa stessa ad essere la protagonista dell’episodio. Un ribaltamento di prospettiva che stravolge le regole stesse dello show e che dimostra l’intelligenza dietro a questo progetto, non una semplice riproposizione di vecchie storie ma un aggiornamento ragionato che trovi un senso ben preciso nella tv del 2019, tra celebrazione del mito – i riferimenti ad episodi “classici” della serie di sprecano – e necessità di raccontare nuove storie, sfruttando idee narrative originali o riadattando quelle che già conosciamo.

The Twilight Zone si pone, quindi, sulla scia della recente propagazione a macchia d’olio delle nuove serie antologiche, nata certamente dal grande successo di Black Mirror, ma cercando di dire la sua e non limitandosi ad imitare la concorrenza. Oltre al già citato “Blurryman” si consigliano in particolare “Replay”, “Not All Man” e “A Traveler”, quest’ultimo scritto da Glen Morgan, veterano di The X-Files.

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Informazioni su Davide Tuccella

Tutto quello che c'è da sapere su di lui sta nella frase: "Man of science, Man of Faith". Ed è per risolvere questo dubbio d'identità che divora storie su storie: da libri e fumetti a serie tv e film.

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