
Si tratta di una miniserie estremamente letteraria che alla base ha l’omonimo e celeberrimo romanzo di John Green uscito nel 2005 e che all’epoca è stato oggetto di una sorta di culto per il modo con cui ritraeva gli adolescenti.
Questi ultimi, infatti, oltre ad essere abbondantemente idealizzati, risultavano quasi degli eroi romantici, appassionati di letteratura, impregnati di quel disagio disperato e molto cool che solo i più intelligenti possono provare (e meritare) e portatori di una visione del mondo che non può fare a meno della loro centralità. Una rappresentazione che in quindici anni è invecchiata malissimo perché quel tipo di idealizzazione oggi appare posticcia e fuori tempo massimo, narcisistica e autoreferenziale, nonostante all’epoca sia stata capace di calamitare l’attenzione di tantissimi appassionati. Inoltre il romanzo è scritto tutto dalla prospettiva del protagonista e fa di Alaska null’altro che un oggetto del desiderio senza alcuna capacità di autodeterminazione, una donna angelicata ma un po’ maledetta, figlia soprattutto di una fantasia maschile.

Dove l’autore fa un ottimo lavoro di riscrittura è però soprattutto con il personaggio di Alaska, che nella serie non solo guadagna una propria agenda, ma è descritta in tutte le sue sfumature, ha un punto di vista personale ed esibito sin nei minimi dettagli, senza che queste cose cambino di una virgola il fascino magnetico che il personaggio possedeva già nel romanzo.
Looking for Alaska è una storia di adolescenti dal carattere turbolento, la mente da sognatori e la curiosità inestinguibile. Al centro della storia c’è Miles, un ragazzo ossessionato dalle ultime parole pronunciate dalle persone prima di morire e pertanto appassionatissimo di biografie e autobiografie. Il suo punto di vista è quello che incanala il racconto, ma attorno a lui orbitano almeno due personaggi tutt’altro che secondari: Alaska e Chip. La prima è forse il vero centro della serie, una ragazza bella, simpatica, sfrontata e intelligente, dal passato costellato di traumi e dalla personalità con più insicurezze di quanto a prima vista potrebbe sembrare; il secondo nasce come spalla di Miles, come sua guida nella prima parte della serie e come comic relief, ma col passare degli episodi acquista personalità e la sua esperienza personale viene ampiamente sviscerata.
La storia si muove sui binari del classico high school drama, con la variante che in questo casi i protagonisti sono studenti selezionati, super preparati e si trovano in una sorta di camping in Alabama. Nonostante sin dalla prima sequenza venga preannunciata una tragedia, il tono generale della serie è abbastanza leggero e il racconto è una sorta di coming of age fatto di perdita dell’innocenza, storie d’amore, desideri non corrisposti e scherzi tra bande di studenti.

Quando si parla di nostalgia spesso si fa riferimento agli anni Settanta e Ottanta, perché in molti casi il cinema e la televisione degli anni Duemila sono frutto di autori e autrici che erano giovani in quegli anni e pertanto guardano a questi ultimi in modo nostalgico. Ultimamente sono arrivati anche gli anni Novanta, la cui moda imperversa ai giorni nostri nel più classico dei ritorni di fiamma. In alcuni casi però, ad essere oggetto di nostalgia sono gli anni Duemila, vuoi per ragioni biografiche dei creatori, vuoi per precise scelte estetiche: una delle prime è stata Greta Gerwig con il suo film d’esordio, Lady Bird, che storicizzava quel periodo e ricordava al pubblico che ormai, anche se non sembra, ne è passato di tempo e che quasi tutto è cambiato. Looking for Alaska fa una cosa molto simile, ricostruendo alla perfezione quegli anni ma, in linea con la bassa verosimiglianza dei personaggi presente già nel romanzo d’origine, vi inserisce un punto di vista particolarmente woke dando vita a un corto circuito molto interessante.
Senza fare ulteriori spoiler sulla trama come da tradizione nei nostri consigli, ci sentiamo di raccomandare caldamente Looking for Alaska, perché nei suoi otto episodi riesce a costruire un’atmosfera magica con dei personaggi affascinanti, dar vita a un coming of age non così convenzionale e fare un discorso sulla nostalgia da un punto differente rispetto a prodotti come Stranger Things.
