The English Game – Stagione 1


The English Game - Stagione 1La seconda metà di marzo ha visto l’arrivo su Netflix di un nuovo prodotto di Julian Fellowes, noto principalmente per essere stato il creatore della celebre Downton Abbey. La nuova miniserie ha però ben poco in comune con le vicende dell’aristocratica famiglia Crawley: The English Game si propone, infatti, di rappresentare quelli che sono stati gli albori del calcio professionistico in Inghilterra, di quel gioco che, ai suoi esordi, è stato creato per i cosiddetti gentlemen ma che, come ben sappiamo, ha poi conquistato una fama senza pari.

Lo show è ambientato nell’Inghilterra del 1879, quando il calcio è ai primordi e la competizione della FA Cup è organizzata e controllata dalle squadre dell’alta società inglese, la stessa che ha creato le regole del gioco e che, in sostanza, lo ha fatto nascere. Non c’è da stupirsi, dunque, se sono i gentlemen a dominare l’ambiente calcistico: nessuna squadra di estrazione popolare, pur partecipando alla competizione, è mai riuscita a raggiungere i quarti di finale della FA Cup. Le motivazioni di questa predominanza non sono un segreto: le squadre composte dai semplici operai non possono allenarsi, nutrirsi e riposarsi così come possono fare i membri delle squadre d’élite, che hanno a disposizione più tempo e più forza da dedicare al gioco rispetto a chi, invece, è costretto a passare la maggior parte del proprio tempo a lavorare in fabbrica e, soprattutto, deve spendere le forze fisiche e mentali per sostenere se stesso e la propria famiglia. È proprio su questa netta differenza di vita e di possibilità che The English Game poggia le proprie basi: la coinvolgente rappresentazione degli albori del calcio è per Julian Fellowes l’espediente che permette di raccontare una storia di emancipazione, di riscatto, di confronto (dentro e fuori il campo di calcio) e, infine, di riavvicinamento fra l’élite e la classe operaia.

Men playing for money will never give as much as men playing for the love of the game.

The English Game - Stagione 1Questa predominanza da parte dell’élite sarà ben presto messa in discussione: iniziano infatti ad affacciarsi veri e propri ingaggi (in barba alle regole stabilite dall’alta società secondo cui non bisogna ricevere denaro per giocare) per quei giocatori di estrazione popolare che dimostrano uno spiccato talento nel calcio. È quello che succede nella serie quando Jimmy Walsh (Craig Parkinson), capo di una fabbrica di cotone a Darwen, decide di ingaggiare un paio di giocatori scozzesi per inserirli nella squadra locale composta dai propri operai.

Fra questi è presente Fergus Suter (interpretato da Kevin Guthrie), un giovane calciatore il cui talento non tarderà a farsi notare fra la gente di Darwen, ormai sempre più appassionata al gioco e sempre più speranzosa di vedere la propria squadra farsi strada nelle competizioni. Ma il talento di Fergus attira l’attenzione anche dei membri dell’alta società inglese, aprendo la strada a una rivalità di cui la competizione sportiva rappresenta solo una minima parte. Il fastidio provato dell’élite nei confronti di Fergus e dei giocatori a lui simili non si limita, infatti, alla paura di essere battuti sul campo, ma è l’espressione di una paura ben più profonda: quella di non sentirsi più padroni assoluti di uno sport che inizia inevitabilmente ad espandersi a macchia d’olio anche nelle classi meno abbienti, assumendo per queste ultime un’importanza e un significato del tutto nuovi rispetto alla dimensione da “hobby” che spesso pervade il calcio negli ambienti dell’alta società.

Il primo ad aver intuito la portata di queste trasformazioni è Arthur Kinnaird (interpretato da Edward Holcroft), il figlio di un lord e un giocatore molto capace e sinceramente appassionato al calcio, destinato a diventare il presidente della FA per lungo tempo. Kinnaird è forse il personaggio più interessante dell’intera serie e, nella sua scrittura, Julian Fellowes ha dimostrato di nuovo il suo talento nel mettere in scena figure apparentemente stereotipate, ma in realtà malleabili e complesse. I modi, la pacatezza e le abitudini di Arthur lo rendono il simbolo perfetto di quelle classi agiate citate poco prima; tuttavia, nonostante l’inevitabile presenza di limiti figli della sua posizione sociale, egli è anche un personaggio capace di ripensare alle proprie azioni e, soprattutto, ai privilegi derivanti dal suo status, cosa che lo distanzia dai suoi “colleghi” e che lo rende una figura decisamente più moderna.

The English Game rende emozionante, dunque, non solo la ricostruzione – esteticamente e tecnicamente splendida – dei primordi del gioco, con le prime partite, le prime divise, le prime porte in legno, i primi spalti che iniziano a riempirsi esponenzialmente di tifosi; ma anche il percorso stesso di Arthur che, nel rivaleggiare sul campo contro giocatori come Fergus, si avvicina allo stesso tempo alla vita di questi semplici operai e impara ad osservare con i propri occhi le difficoltà e le ingiustizie che devono affrontare. Difficoltà che Arthur stesso e tutti i membri del suo ambiente non potevano neanche immaginare, se non in maniera blanda e, spesso, ben poco interessata: Kinnaird, infatti, è l’unico a non riuscire ad ignorare l’ipocrisia celata nell’argomentazione dell’élite secondo cui c’è molta più dignità nel giocare solo per passione, mentre il professionismo sarebbe quasi un insulto per i “veri” appassionati del gioco.

“Don’t those people need that money?” “Maybe, but they need football too.”

The English Game - Stagione 1Lo show, mostrandoci la vita quotidiana di Fergus e degli altri operai/calciatori, riesce a rendere ben chiaro il potere coinvolgente di questo sport, l’aggregazione, l’entusiasmo che riesce a formare soprattutto per quelle persone che, lavorando tutta la settimana dalla mattina alla sera, trovano nel calcio una valvola di sfogo e un modo per dimenticare, almeno per un po’, le preoccupazioni e i problemi quotidiani. La miniserie, infatti, mette in scena con successo le forme prototipali di quello stesso spirito identitario che accomuna giocatori e tifosi, destinato ad espandersi senza limiti fino a spingere, ancora oggi e con ancora più fervore, milioni di persone ad unirsi per sostenere le proprie squadre del cuore. The English Game, insomma, dimostra che, anche nei tempi del suo esordio, il calcio non è mai stato “soltanto un gioco”. Ma la serie riesce anche a gettare un occhio sulla nascita dei lati più tossici del tifo e sul propagarsi della violenza che – con il pretesto dell’attaccamento sfegatato alla squadra – riesce a strisciare fuori, inquinando i rapporti e il gioco stesso. La vicenda che porta Fergus a cambiare squadra e tutte le accuse di tradimento e i malumori eccessivi che ne sono conseguiti, e che hanno infine portato al grave infortunio dell’adorabile Jimmy Love (James Harkness), sono solo la prima avvisaglia di una piaga che, purtroppo, accompagnerà molte volte il percorso del calcio negli anni.

In sole sei puntate The English Game si concentra, inoltre, anche su questioni e personaggi che non hanno direttamente a che fare con il calcio, come le vicende dedicate alla famiglia di Fergus e all’elaborazione del dolore da parte di Alma (Charlotte Hope), che la porterà poi ad aiutare le ragazze madri e a far aprire gli occhi ad Arthur anche sui problemi e sullo stigma sociale che le donne meno abbienti sono costrette a sopportare. Sono personaggi e argomenti il cui potenziale avrebbe forse meritato più spazio ma, nell’economia generale della serie, tutte le storyline sono state amalgamate in maniera organica, rendendo la serie sempre godibile e – al netto di qualche superficialità di troppo dovuta più che altro al limitato numero di puntate – capace di portare a una degna conclusione tutti gli elementi messi in scena.

Si tratta di uno show capace di farsi apprezzare da una grande fetta di spettatori e sarà sicuramente in grado di interessare anche chi non è propriamente un appassionato di calcio, proprio perché – nonostante i pochi episodi a disposizione – è una serie di largo respiro, che utilizza lo sport solo come punto di partenza per raccontare molto di più. Gli amanti del calcio, d’altro canto, troveranno di certo emozionante osservare una ricostruzione così bella degli albori di questo sport, a patto che non ci si aspetti una rappresentazione quasi documentaristica della sua nascita. Le scene giocate sono ben fatte, ma non sono numerose e, soprattutto, non mirano a un’illustrazione minuziosa delle strategie di gioco: la serie preferisce concentrarsi, invece, sui primi piani dei giocatori, sulle sensazioni provate in campo, preferendo un approccio meno didascalico e più emotivo al gioco stesso (dopotutto, a giocare sono gli attori).

The English Game - Stagione 1In definitiva, la nuova miniserie di Julian Fellowes si presenta in modo positivo, mettendo in scena una ricostruzione degli albori del calcio esteticamente splendida e, al tempo stesso, sorretta da una scrittura intelligente, capace di utilizzare il gioco del calcio come punto di partenza per raccontare quella che, a tutti gli effetti, è stata una lotta sociale e politica fra classi. Ma non solo: The English Game si è dimostrata capace di sfruttare al massimo i pochi episodi a disposizione per regalarci un affresco di personaggi, di argomentazioni e di emozioni che trascendono la dimensione calcistica e che la sceneggiatura è stata in grado di inserire con successo nello show, evitando il rischio di dispersione e di confusione, regalandoci così sei episodi decisamente gradevoli e in grado di intrattenere con la solita eleganza tipica di Fellowes.

Voto: 7/8

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