Unorthodox – Uscire da una comunità ortodossa per trovare il proprio posto nel mondo 8


Unorthodox - Uscire da una comunità ortodossa per trovare il proprio posto nel mondoTra le novità più attese di questa prima parte del 2020 c’era l’adattamento del libro di Deborah Feldman Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots, una miniserie di produzione Netflix che si poneva l’obiettivo non solo di trasferire su schermo una storia particolarmente delicata come quella dell’autrice, ma anche di rappresentare una comunità ebrea ortodossa come quella chassidica di New York in un modo che fosse il più possibile veritiero e fedele alla realtà, rispettando sia le loro tradizioni che la storia della protagonista e della sua fuga da quella stessa comunità.

Da queste premesse nasce Unorthodox, miniserie in quattro puntate recitata in inglese e yiddish, che si ispira alla vita di Feldman per raccontare le vicende di Esther Shapiro, detta Esty, una ragazza di 19 anni appartenente alla comunità chassidica di Wlliamsburg: a un anno di distanza dal matrimonio organizzato per lei dalla sua famiglia, Esty decide di fuggire a Berlino, città in cui cerca di costruirsi una nuova vita senza avere alcuna conoscenza al di fuori del quartiere di Brooklyn in cui è sempre vissuta.
Unorthodox - Uscire da una comunità ortodossa per trovare il proprio posto nel mondoIniziamo col dire che quella degli ebrei Satmar è una corrente ultra-ortodossa del chassidismo, che trova le sue origini nella cittadina ungherese omonima in cui un gruppo di persone costituite perlopiù da sopravvissuti all’Olocausto ha fondato una comunità particolarmente rigida, che nel secondo dopoguerra si è poi trasferita a New York; il fatto di essere nata dopo la Seconda Guerra Mondiale e a seguito dello sterminio dei campi di concentramento ha reso questa comunità molto diversa dalle altre correnti chassidiche, regolamentata severamente da leggi che derivano in modo diretto dalla tragedia della Shoah. Convinti che, per ricostruirsi come comunità e come individui, fosse necessario istituire un gruppo chiuso e regolato da severe leggi, gli ebrei Satmar hanno fondato una società tra le più chiuse al mondo che oggi vive in quella che è forse la città più aperta del pianeta, creando così una sorta di microcosmo che vive in modo parallelo e distaccato rispetto al resto di New York.

Questa premessa è necessaria per comprendere la difficoltà della resa su schermo di tale comunità e al contempo l’ottima riuscita (al netto di qualche difetto di cui parleremo) di questa missione, che parte dal lavoro delle autrici Anna Winger e Alexa Karolinski e dalla regia di Maria Schrader (Deutschland 83, 86, 89) per rielaborare la vita di Deborah Feldman in meno di quattro ore di racconto. La narrazione si articola tra passato e presente in un’alternanza che va oltre la mera giustapposizione cronologica, puntando invece a evidenziare paralleli tra l’ultimo anno di Esty nella sua comunità da una parte e dall’altra la scoperta di se stessa e del suo mondo fuori dalla comunità.
Unorthodox - Uscire da una comunità ortodossa per trovare il proprio posto nel mondoIl pilot infatti inizia proprio con la fuga da Williamsburg della giovane Esty, di cui non sappiamo nulla, e, mentre la seguiamo nella strada che la porterà al riconoscimento di se stessa, dei suoi bisogni e dei suoi desideri, assistiamo al percorso che l’ha condotta fino a quel punto, a partire dal giorno in cui le è stato scelto un marito individuato in Yanky Shapiro, figlio di una rispettata famiglia locale. È importante sottolineare sin da subito come il valore della fuga di Esty, che apre la serie, non venga mai confuso o assimilato ad una fuga dalla religione in se stessa, anzi: la persona che impariamo a conoscere è una donna credente e osservante in modo profondamente consapevole, sia nel suo passato che anche quando comincia a vivere una vita diversa a Berlino.

Non è quindi una storia di rinuncia della propria fede, bensì di scontro tra l’idea di perfetta adesione tra la vita personale e religiosa che Esty immaginava nel suo futuro e la dolorosa presa di coscienza di quanto questo sogno non coincida affatto con la realtà. Quando a Berlino le viene chiesto come mai sia scappata dalla sua famiglia, dalla sua città e dalla sua comunità, Esty non risponde rinnegando la sua fede, ma manifestando la sua impossibilità di vivere secondo delle regole che non vengono comunque mai poste in discussione: “God expected too much of me” (“Dio si aspettava troppo da me”) non è una messa alla berlina di quel genere di vita, ma un’ammissione di quanto lei non sia più in grado di sostenere quel tipo di richiesta, di sopportare quel peso legato al senso di colpa che, per gli ebrei in generale ma ancora di più per questa comunità, ricorre come un mantra in qualunque azione compiuta, in qualunque preghiera recitata.
Unorthodox - Uscire da una comunità ortodossa per trovare il proprio posto nel mondoLa colpa trasforma la vita, in modo ancor più lampante quella della donna, da una cosa che andrebbe vissuta per sé a qualcosa che deve essere adempiuto per qualcun altro: per onorare i morti, Dio, i parenti, il marito, ma di sicuro mai se stessa. L’atto stesso di mettere al mondo dei figli non è visto neanche “solo” come un modo per rendere grazie a Dio, ma come l’unico mezzo per poter “ricostruire i sei milioni di ebrei persi nell’Olocausto”: come se l’aver subito una tragedia di una portata inenarrabile non fosse già abbastanza e fosse necessario pagare un tributo con la propria carne e il proprio sangue per rimediare all’irreparabile, in una corsa esasperata che non ha una fine e che lascia dietro di sé altre vite perse – in ben altro modo, ma pur sempre perse perché mai votate a se stesse.

È proprio nel mancato riconoscimento dei suoi bisogni, dolori e desideri, che Esty, nel corso del primo anno del suo matrimonio, matura lentamente la convinzione che quel mondo per lei non sia abbastanza, e questo non perché abbia la certezza che là fuori ci sia una comunità più giusta per lei, anzi: Esty scappa sapendo solo dove andrà (a Berlino, dove si trova sua madre, a sua volta fuggita quando Esty era una bambina) ma senza sapere minimamente se lei sarà adatta a quel mondo e soprattutto se quel mondo sarà in grado di dare delle risposte a lei. Una prospettiva in grado di fermare chiunque – quante persone preferiscono vivere una realtà difficile solo perché è l’unica che conoscono? –, ma che non blocca più lei nel momento in cui capisce che l’unica strada per scoprire chi sia e cosa vuole veramente sia al di fuori dell’eruv di Williamsburg (il filo di recinzione legato alle comunità ebraiche, su cui torneremo più avanti).

Unorthodox - Uscire da una comunità ortodossa per trovare il proprio posto nel mondoSe nell’adattamento da libro a miniserie la parte legata ai flashback è presa in modo praticamente diretto dall’esperienza di Deborah Feldman, la narrazione della fuga è stata alterata, in accordo con l’autrice, per diversi motivi: il primo è stato quello di adattare la narrazione al tempo presente (sebbene la distanza dagli eventi sia solo di dieci anni), ma più in generale per differenziare la storia di Esty da quella di Deborah soprattutto per quanto riguarda la destinazione. Sebbene anche Feldman si sia poi trasferita a Berlino quattro anni dopo aver lasciato suo marito, la sua separazione dalla comunità è stata molto più graduale: nel 2006 è andata via da Williamsburg con il marito e il figlio per questioni di studio, ma solo nel 2010 ha lasciato suo marito e si è stabilita a Berlino nel 2014. La scelta di far conoscere il mondo a Esty passando senza fasi intermedie dalla sua comunità a una delle città più cosmopolite d’Europa serve innanzitutto come stacco repentino, che costringe la protagonista ad immergersi ex abrupto in uno stile di vita a lei totalmente sconosciuto, a confrontarsi con le sue mancate conoscenze – le donne della sua comunità ricevono un’educazione fino ai 17 anni, ma sono tenute lontane da qualunque altra forma di istruzione perché il loro ruolo deve essere quello di sposarsi, avere dei figli e onorare il marito – e a fare i conti con tutte quelle abitudini che noi diamo per scontate (cantare, saper usare un computer, andare su internet, indossare un paio di jeans) e che invece per lei sono cose nuove, stranianti, eccitanti e al contempo spaventose.

C’è poi una ragione ancora più profonda che è ovviamente quella che collega Berlino alla tragedia dell’Olocausto: la ricerca di se stessa da parte di Esty nasce da una serie di bisogni negati da una comunità che cerca di guarire dal trauma della Shoah chiudendosi in regole rigidissime che non fanno altro che alimentare quello stesso trauma (dimenticare è vietato, quindi bisogna vivere tutti i giorni con la sindrome del sopravvissuto). Questa ricerca trova nella città da cui tutto è iniziato una sorta di catarsi, un modo per disinnescare il trauma del senso di colpa ricostruendo la propria identità esattamente nel luogo che è stato all’origine di tutto. La storia di Esty, quindi, si stacca parzialmente da quella di Deborah Feldman per diventare più ampia, universale e quindi più comprensibile, anche per chi, essendo molto lontano dalla comunità chassidica, può faticare a riconoscersi in un racconto simile.

Unorthodox - Uscire da una comunità ortodossa per trovare il proprio posto nel mondoLa storia che ci viene raccontata è una vicenda senza dubbio corale, a cui prendono parte moltissimi personaggi di primo e secondo piano della comunità di Williamsburg, ma anche della fase di Berlino, in cui Esty conoscerà un gruppo di ragazzi del Conservatorio con un incontro che sarà determinante nella sua vita. Tuttavia, nelle dinamiche che si instaurano nel corso delle puntate, è possibile individuare quattro personaggi principali, attorno a cui ruota non solo la vicenda della fuga di Esty, ma anche una sorta di narrazione sottotraccia degli effetti che la comunità Satmar ha avuto sulle persone. C’è Esty, interpretata da un’eccezionale Shira Haas; sua madre, Leah Mandelbaum, il cui distacco dalla famiglia e dalla comunità nasconde una storia molto più complessa di quanto si possa immaginare all’inizio; Yanky Shapiro, marito di Esty, disposto a tutto pur di ritrovare sua moglie non perché sia un compagno violento o autoritario, anzi, ma perché il suo comportamento è frutto di un tipo di insegnamento che non prevede altre soluzioni se non quella di seguire alla lettera il volere dei genitori e della comunità; infine Moishe Lefkovitch, cugino di Yanky e uomo con un passato turbolento, tornato alla sua famiglia dopo una fuga, costantemente in bilico tra la sua profonda religiosità e l’incapacità di abbandonare le vecchie abitudini acquisite nel periodo di lontananza dalla comunità.
Gli equilibri tra queste persone, le evoluzioni che – in misure diverse – tutti e quattro affrontano in queste puntate sono forse lo specchio più utile per comprendere cosa si cela dietro a dei rapporti umani che nascono imbrigliati da tutte queste regole religiose e di vita, senza alcun giudizio né sulla loro fede, né sulla religione in quanto tale – semmai sulle persone e le differenze che le caratterizzano.

Unorthodox - Uscire da una comunità ortodossa per trovare il proprio posto nel mondoLa rappresentazione della comunità di Williamsburg – che ha visto le autrici avvalersi di moltissimi consulenti per qualunque aspetto, dalla lingua ai costumi, finanche agli interni e gli esterni che sono stati studiati in loco – è certamente rispettosa e ricca di dettagli, grazie anche al fatto che sia gli attori che gli addetti ai lavori sono ebrei chassidici; ma non manca di alcuni difetti che rendono difficile allo spettatore la comprensione di determinati eventi, fatti o rituali, mostrati e mai spiegati. L’esempio lampante è rappresentato proprio dall’inizio del pilot: le prime scene ci mostrano un filo spezzato che pende da un lampione, e subito dopo delle persone all’interno di un palazzo che dicono alla giovane protagonista che non può uscire – non con la borsa, almeno – perché “si è rotto l’eruv” e non potrà essere sistemato prima del giorno successivo, dato che è Sabbath. Vediamo quindi Esty tornare a casa sua, lasciare qualunque oggetto nascondendo solo una busta nella gonna e uscire infine dal condominio. Nessuna spiegazione giunge a chiarire allo spettatore cosa sia quel filo rotto visto all’inizio chiamato eruv, perché Esty possa uscire senza borse, perché le altre donne non possano nemmeno recarsi fuori con i bambini nel passeggino (trovate la spiegazione di questo, insieme ad altre questioni prive di spoiler, nelle note in fondo all’articolo).
Se è vero che è sempre meglio mostrare le cose invece di spiegarle, è altrettanto vero che il pubblico medio non è tenuto a conoscere questi fattori culturali o rituali, e che – soprattutto in una serie come questa – non spiegarli contribuisce ad alimentare la mancata comprensione nei confronti di una comunità che è già molto distante da noi; se insomma è già difficile mettere in scena delle vite così profondamente segnate da regole religiose ultra-ortodosse e farle sentire comunque vicine allo spettatore, non spiegarle affatto risulta controproducente, perché alimenta il senso di distacco tra due mondi inevitabilmente diversi.

Unorthodox - Uscire da una comunità ortodossa per trovare il proprio posto nel mondoAl netto quindi di questi difetti, che si potevano certamente evitare, la miniserie Unorthodox riesce nell’intento non solo di raccontare l’esperienza di Deborah Feldman, seppur parzialmente modificata, ma soprattutto di mostrarci quanto ancora oggi sia difficile per una donna uscire da situazioni in cui è sempre lei a pagarne lo scotto più alto, anche quando crede nel tipo di vita che conduce e non vede, almeno all’apparenza, motivi per allontanarsene. È una serie che avrebbe potuto facilmente giocare sul tema del “risveglio” della coscienza e della ragione, dell’allontanamento dalla comunità unito a quello dalla religione – come se scegliere se stessi, se stesse, dovesse per forza andare di pari passo con un percorso divergente dalla religione. Invece Esty non smette di credere: ciò che impara è che può continuare ad avere fede senza però dover sacrificare i propri bisogni, scegliendo se stessa non in un aut-aut con la religione, ma secondo una questione di priorità, decidendo di mettere finalmente, al primo posto della vita di Esty, solo ed unicamente Esty.

Note:

– L’eruv è un filo che costituisce una recinzione rituale. Nasce poiché nelle comunità ebraiche, durante Sabbath e Yom Kippur, non è consentito trasportare oggetti (borse, chiavi, bastoni, passeggini) da una proprietà privata a un luogo pubblico (da una casa a una strada, ad esempio). L’eruv, che arriva a circondare quartieri o intere aree urbane, consente di ampliare il concetto di luogo privato permettendo quindi il trasporto anche al di fuori della propria casa. La rottura dell’eruv all’inizio del pilot è il motivo per cui Esty non può uscire portando la borsa e altri oggetti.

– Le donne sposate che compaiono nella serie hanno sempre un copricapo (tichel) e portano parrucche: dopo il matrimonio, infatti, le donne delle comunità ebree ortodosse devono radersi i capelli per rispetto dello tzniut, il codice della modestia e dell’umiltà.

– Durante la Pasqua ebraica (Pesach) è proibito mangiare cibi che contengano lievito (chametz). La cucina deve quindi essere un luogo puro, privo di qualunque traccia di lievito: a tal fine, le comunità ebree più osservanti durante la festività ricoprono ogni superficie con diversi strati di alluminio, dai piani della cucina, alle sedie, a qualunque parte sia potenzialmente contaminata.

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.


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8 commenti su “Unorthodox – Uscire da una comunità ortodossa per trovare il proprio posto nel mondo

  • Michele

    Il tema degli Ebrei ortodossi e’ molto di moda ultimamente. Su Netflix c’e’ stato un film, chiamato “One of us” ambientato in una comunita’ simile di Williamsburg. Sulla stessa rete, e’ possibile vedere Shtisel, una serie di due stagioni su una famiglia di ortodossi a Gerusalemme. Per cui, il tema non e’ del tutto nuovo.

    Ho trovato questa serie riuscita a meta’. Come giustamente dici, Federica, ci sono due archi narrativi: la vita in America prima della fuga e la vita in Europa dopo.
    Il materiale e’ molto piu’ solido nella prima meta’. In questo caso il lavoro di mostrare, anche senza spiegare, come noti, e’ stato fatto molto bene. Gli ambienti mostrati, le persone, le azioni comunicano molto bene un mondo straordinario e difficile da comprendere pur essendo dentro l’alveo della contemporaneita’ piu’ spinta. Trovo che emergano le ragione per cui si sono instaurate queste tradizioni, la miniserie e’ densa di una tensione legata all’Olocausto ancora palpabile. E’ anche molto rivelante la scena di uno shabbat in cui il nonno ripete che non ci si puo’ fidare dei non Ebrei, perche’ chi lo ha fatto e’ sempre finito male. Certamente la seconda parte arricchisce di dettagli e aiuta a capire anche le motivazioni di Etsi. Il suo e’ un personaggio complesso e hai fatto bene a sottolineare come Dio sia per lei una presenza immancabile, anche dopo la fuga. In effetti, in questo tipo di comunita’, la vita ruota tutta attorno a Dio, sempre. E’ un pensiero costante ed e’ il motivo per cui gli uomini studiano cosi’ tanto i testi sacri e le donne li supportano. Per questo, e’ decisamente interessante capire che fuggire da una certa comunita’ non significa necessariamente rinunciare a Dio, ma cercare un altro modo per viverci.

    SPOILER [edit della Redazione]

    La parte ambientata a Berlino, purtroppo, rappresenta un calo pazzesco di qualita’, quasi da far compromettere quanto di buono messo insieme dalla parte Americana. Qui gli eventi subiscono una sterzata decisiva e tutto diventa surreale, ai limiti dell’incredibile e con tanti “colpi di scena” fatti a posta. Credo che la necessita’ di trovare un lieto fine che coniugasse il mondo contemporaneo e una persona con il vissuto di Esti sia stato un progetto troppo ambizioso e che alla fine non ha aggiunto niente di originale o di nuovo. La serie avrebbe potuto dedicarsi esclusivamente alla vita New York e finire con la fuga verso l’ignoto e questo avrebbe creato un universo narrativo molto interessante e ben fatto.

    Peccato – occasione mancata!

     
    • Federica Barbera L'autore dell'articolo

      Ciao Michele, grazie per il commento! Innanzitutto ti informo del fatto che è stato modificato con l’aggiunta di un avviso di spoiler dato che questa recensione è un consiglio volutamente spoiler free, quindi stiamo attenti anche nei commenti!
      Entrando nel merito del tuo discorso, volevo specificare che probabilmente non ti è stato molto chiaro quello che ho scritto in merito alle non spiegazioni di ciò che accade nella comunità Satmar (mi riferisco alla tua frase “In questo caso il lavoro di mostrare, anche senza spiegare, come noti, e’ stato fatto molto bene.”). Il mio parere è che invece questo sia un difetto della serie, perché la mancata spiegazione a mio avviso allontana ancora di più il pubblico da una comunità che è già difficile da capire in quanto pratica uno stile di vita molto diverso dal nostro. Mostrare una cucina ricoperta di alluminio senza spiegare le ragioni che ci sono dietro, per fare un esempio, non può far altro che rendere i loro riti ancora più astrusi di quanto non ci appaiano già di loro, e secondo me in questo le autrici hanno sbagliato. Chiaramente è il mio parere, ma ci tenevo a precisarlo perché dal tuo messaggio sembrava avessi detto il contrario e non è così.

      Sulla parte di Berlino sono un po’ stupita dal tuo parere! Nel senso, è chiaramente diversa da quella di New York e anche meno impegnata sotto certi punti di vista (come quelli della ricostruzione e della ricerca, per ovvi motivi), ma non colgo veramente dove si trovino questi elementi surreali e al limite dell’incredibile! Certo, ci sono delle forzature nella trama, ma devi considerare che si sta raccontando tutti in meno di 4 ore, quindi è normale che la narrazione non possa coincidere con una situazione realistica in tutto e per tutto; del resto stiamo guardando una miniserie, non un documentario o un reality. Per me l’originalità c’è, nel momento in cui il lavoro sulla ricerca individuale si mescola con quello universale dell’Olocausto e di Berlino come città origine del trauma e al contempo luogo di guarigione. A tal proposito, ti consiglio il dietro le quinte di Unorthodox che si trova sempre su Netflix, si scoprono molte cose anche sulla sezione di Berlino e le ho trovate molto interessanti.
      Vorrei capire meglio quali sono i momenti che ti sono parsi così assurdi, se ti va! (in caso, nel commento specifica sempre prima che sono presenti spoiler, così da allertare i lettori che non abbiano ancora visto la serie, grazie!)

       
      • Michele

        Ciao Federica, grazie della tua risposta.
        Non avevo capito che fosse un articolo spoiler-free, chiedo scusa ai lettori.

        Nella frase che hai citato riferivo il “come noti” proprio alla tua giusta osservazione che diverse tradizioni non sono state spiegate ai non addetti ai lavori. Poi nel resto della frase sostengo in effetti una tesi opposta alla tua su questo tema specifico. 🙂
        Non volevo dare l’impressione che tu avessi la mia stessa opinione. In ogni caso, io la penso cosi’ perche’ da quel che capisco e conosco delle comunita’ ultra-ortodosse non credo sia fisicamente possibile fare un lavoro di spiegazione conciliabile con una serie di fiction. Ci vorrebbe un documentario con molte puntate per farlo decentemente. La ragione e’ che ci sono veramente troppe cose da spiegare e se cominci a farlo all’inizio rimani al livello di curiosita’, ma molto presto cominci ad avvinicarti all’espetto religioso, cioe’ al modo in cui una specifica comunita’ ha interpretato la religione in un certo modo. Insomma e’ un compito complicato e che contrasta coi tempi di una storia. Per questo credo sia meglio usare un approccio deduttivo piuttosto che induttivo e semplicemente mostrare cose accurate anche se riesci a spiegarne solo una piccola parte, compatibilmente col ritmo della trama.

        Sulla seconda parte, temo che dovro’ avvalermi di uno

        *****INIZIO SPOILER ALERT*****

        La storia del conservatorio non sta proprio in piedi. Una ragazza che non sa niente del mondo, senza soldi e che a mala pena parla Inglese riesce a entrare in conservatorio, farsi prendere a ben volere da un professore, farsi amici una serie di studenti musicisti e ritrovare la madre nel giro di pochi giorni. Questo ci dice chiaramente che mentre i flash back hanno un tembri perfettamente realistico, ora invece siamo entrati in una specie di favola dove le cose succedono cosi’ d’incanto, senza piu’ realismo. Non contenti, tutti i nuovi amici supportano Esty e lei comincia a credere di essere brava in musica tanto da andare a un’audizione. Quando una persona per una volta le fa un bagno di realta’ dicendole che non e’ poi cosi’ brava con la musica (senza peraltro fare altri commenti fuori posto su altri aspetti che un non Ebreo ortodosso avrebbe potuto trovare strani, tipo avere la parrucca) dobbiamo pure sorbirci il momento di passive aggressiveness adolescenziale… Last but not least, in questi pochi giorni Esty intreccia anche una relazione sentimentale con un ragazzo appena conosciuto, una cosa che piu’ aliena dal suo vissuto non avrebbe potuto essere. Non mi e’ chiaro a cosa sia servito tutto questo, salvo al fatto che gli autori han provato a mettere insieme un personaggio post-fuga dal volto umano e che mostrasse sentimenti con cui il grand epubblico potrebbe identificarsi meglio. E’ stato fatto male e non si lega per niente col personaggio del pre-fuga, cioe’ la stessa persona fino a 5 giorni prima.
        Anche la storia di Yanky e del cugino che vanno a Berlino e’ un po’ un minestrone che mischia elementi di ricerca del passato legati all’olocausto con la probabile necessita’ di inserire una specie di villain (il cugino e, meno, il marito) ma anche qui riusciti male. Soprattutto, c’era bisogno di mettere un villain in carne e ossa? Non era abbastanza la realta’ di un mondo completamente estraneo a Esty in cui gli unici elementi noti erano l’olocausto e una madre che lei era abituata a odiare e che scopre fare cose che lei non puo’ che considerare gravemente peccaminose?

        *****FINE SPOILER ALERT*****

        Insomma, capisco che la seconda parte come intento era probabilmente ancora piu’ ambiziosa della prima per via dell’evoluzione della trama e per tutti gli elementi ulteriori inseriti discussi sopra. Non mi sembra pero’ che questo progetto ambizioso sia riuscito. Certo, gli elementi compaiono, ma non sono legati bene tra loro. Non era un lavoro facile, ma hanno scelto loro di deviare dalla storia originale e aggiungere pure altre complicazioni.

         
        • Federica Barbera L'autore dell'articolo

          Parto dall’inizio così non mi perdo via – specificando come sempre che sono opinioni che è bello scambiarsi e che non c’è una verità assoluta che andiamo cercando, ecco!
          – per quanto riguarda le spiegazioni sulle questioni religiose continuo a non essere d’accordo. Innanzitutto perché è compito di chi scrive una serie fare in modo che il materiale sia comprensibile a chiunque, e in questo caso non si trattava di spiegare chissà quante questioni: credo che quelle più difficili da capire, e per cui quindi mancava un pezzo di comprensione, sono appunto quelle tre messe in nota. Era così difficile inserire in un dialogo qualcosa che facesse capire allo spettatore qualche informazione in più? Io son convinta di no, ci sono state tantissime serie che hanno parlato perfino di epoche diverse e non hanno avuto alcuna difficoltà ad inserire spiegazioni senza essere pesanti o didascalici. Qui la mancanza di spiegazioni la vedo come un’aggravante perché non solo lascia lo spettatore senza contestualizzazioni adeguate, ma allontana ancora di più la comprensione di una comunità che già di suo può apparirci molto distante, strana. Insomma, credo che su questo bastasse veramente poco per spiegare non certo ogni cosa, ma almeno quelle che sembravano più strane e all’apparenza assurde!

          – SPOILER ALERT!
          Detto che continuo a pensare che una miniserie di quattro ore, non essendo un documentario, abbia bisogno di condensare le cose se vuole arrivare a un punto e che ci vuole un minimo di sospensione di incredulità in questo senso, ma dove sarebbe l’assurdità? In poco tempo fa un sacco di cose, vero, e qui si inserisce il discorso che ho appena scritto; ma prima di tutto ritrovare la madre non è nell’elenco delle “cose che fa”, lei va lì con l’indirizzo e se ne va perché la vede con una donna. Se intendevi che in pochi giorni ricostruisce un rapporto con lei, allora mi riappello alla necessità di sospensione di incredulità per quanto riguarda una miniserie di meno di quattro ore. I flashback ci raccontano momenti di una storia che dura un anno, la parte a Berlino ci racconta un periodo di qualche settimana (non sono mica i pochi giorni che vedi, pensa alla lettera che viene spedita dalla scuola, mica arriva in due giorni no?) in cui è necessario mostrare un cambiamento in Esty per questioni di trama, francamente non vedo questa assurdità che vedi tu! Lo sarebbe se fosse un reality in presa diretta, ne convengo, ma non lo è.
          – Sugli altri punti: i commenti sul fatto che sia strano che porti una parrucca ci sono eccome (quando Esty si presenta alla lezione in conservatorio e sente che stanno parlando di lei, qualcuno dice che pensava avesse un tumore e la ragazza israeliana dice “ma non hai capito? è una di quelle ebree ortodosse che sfornano figli” (vado a memoria) e infatti lei entra dicendo che lei non è una sfornafigli).
          – Altra questione: la sua percezione delle sue capacità. Esty è una donna che ha studiato pianoforte praticamente di sgamo, non ha la minima percezione di quello che è davvero l’impegno di ragazzi come quelli del conservatorio. Ha vissuto totalmente in un altro mondo, e quando le si presenta l’unica opportunità per poter rifarsi una vita ci si butta senza pensarci troppo: a me non pare per niente assurdo, anzi! È la dimostrazione di quanto abbia paura di tornare a casa, di quanto voglia rifarsi una vita. E sì, quando le viene detto che non è per niente brava e non ce la farà ci rimane male, ma definirla “passive-aggressiveness adolescenziale” mi pare francamente fuori luogo. È una donna che ha il TERRORE di tornare a casa, che ha visto un’unica via d’uscita (ingenuamente? sicuro, ma possiamo seriamente pensare che la sua formazione le consenta una visione più consapevole? non credo) e a cui cade il mondo addosso quando quell’illusione si spezza. E infatti la prima cosa che fa quando se ne va è chiamare la nonna, cioè l’unica persona della famiglia a cui è legata, perché si sente completamente persa.
          Altro che adolescente: è una donna traumatizzata e persa, in un mondo a cui nessuno l’ha preparata. Secondo me se rivedessi la miniserie da questo punto di vista, che non è quello di una ragazzina in preda a turbe adolescenziali ma una donna che ha subito cose che le donne NON DOVREBBERO subire, certe cose ti tornerebbero un po’ di più.

          Sul resto non mi dilungo perché ho già scritto un papiro, in ogni caso ci sta che possa non piacere o piacere meno, ci mancherebbe! Però almeno su questi punti ci tenevo a risponderti perché secondo me certe cose andrebbero riviste sotto una luce meno analitica e più contestualizzata, sia per quanto riguarda la storia che il medium di adattamento, ecco 🙂

          a presto!

           
        • Michele

          Ciao Federica, grazie della tua risposta. Seguo Seriangolo proprio perche’ mi piace leggere le vostre recensioni e anche per i dibattiti che certe volte nascono, per cui lo scambio di opinioni e’ proprio una delle cose piu’ belle, soprattutto con gente preparata come chi scrive gli articoli.

          Hai ragione quando dici che ci sono altre serie che hanno spiegato meglio dettagli culturali non noti al grande pubblci e capisco anche come avrebbero potuto spiegare meglio alcune cose nel modo che suggerisci tu. Il punto che faccio io e’ forse piu’ nella mia testa che nelle intenzioni esplicite degli autori. Parte dal fatto che ho seguito ormai alcune serie e film sugli Ebrei ortodossi, ho visitato un loro quartiere a Gerusalemme e ho parlato con amici ortodossi e non ormai da diversi anni. A questo punto ho lasciato perdere l’idea di sapermi spiegare comportamenti di cui vengo a conoscenza. Per farlo, immagino che dovrei studiare la Torah per anni e vivere in una comunita’ ortodossa. Per cui se vedo qualcosa che non mi torna, non mi stupisco piu’, ma ne prendo atto. Un altro aspetto da tenere presente e’ che, a differenza di altre religioni, gli Ebrei non cercano di convertire le persone. Come hai visto sulla serie, molti ortodossi hanno anche un sano scetticismo verso tutti i non Ebrei. Tutto questo non facilita la comprensione per chi e’ fuori da questo mondo.
          Insomma, mentre capisco che una serie destinata al grande pubblico debba dare la possibilita’ di cogliere almeno alcuni tratti essenziali della cultura che descrive, trovo a suo modo coerente ed esplicativo della cultura ortodossa lasciare alcune cose non spiegate sia perche’ ce ne sarebbero troppe da spiegare che per dare un’idea indiretta di una cultura che non ha interesse a farsi capire da chi non fa parte di loro.

          *****INIZIO SPOILER ALERT*****

          Anche qui, capisco quello che intendi e ovviamente ha senso! La serie non e’ un documentario o un reality, per questo, come tutte le serie, condensa e ti chiede la sospensione dell’incredulita’.
          Pensandoci su, fammi rielaborare quello che volevo dire, cosi’ mi dici cosa ne pensi.
          Percepisco un’inconsistenza tra la parte a New York e la parte a Berlino. Quello che la serie fa molto bene e’ descrivere in maniera estremamente realistica la vita di un gruppo di Ebrei ortodossi in USA. Si puo’ dire che questo e’ uno dei tratti distintivi del programma e una delle cose che ci tengono incollati allo schermo. Tra l’altro, le cose raccontate sono realmente accadute e sono raccontate in un modo che sembra vero e che il narratore (chiamo cosi’ tutto l’insieme di immagini, punti di vista, suoni etc. con cui ci e’ presentata la storia) ci conferma che e’ realistico. Tutto fila liscio perche’ e’ coerente e ti lascia l’impressione di coerenza. In effetti, prima che tu mi ci facessi pensare, ti avrei detto che percepisco istintivamente la parte Americana come fluida e naturale. Andando ora a vederla con occhio piu’ analitico, lo confermo.
          Le cose cambiano a Berlino: la storia diventa di invenzione e gli autori scelgono di far fare a Esty un sacco di cose in un certo tempo per i motivi che hai individuato tu. Le cose rimangono raccontate nello stesso modo di New York con lo stesso tipo di narratore. Il problema e’ che i fatti raccontati non sembrano realistici, in effetti non lo sono. Questo crea una rottura nel flusso della storia. Crea un’incoerenza all’interno del blocco di Berlino, data l’aspettativa creata nel pubblico nella parte di New York. Crea un’incoerenza anche con la parte di New York. L’ho notato perche’ a livello di percezione mi e’ sembrato forzato, prima ancora che andarci a vedere in modo analitico.
          E’ un po’ come se il narratore avesse fatto un patto con lo spettatore e avesse catturato la sua attenzione con una storia che racconta le cose in un certo modo suscitando cosi’ il suo interesse. Poi pero’ a un certo punto il narratore decide di cambiare le carte in tavola su quello che racconta, passando dal raccontare una storia realistica a una storia inventata e non verosimile (quindi avvicinandosi piu’ a un patto del tipo “ti racconto una metafora” oppure “una favola” perche’ voglio comunicare certi altri punti) pretendendo pero’ di tenere lo stesso registro dell’altra parte.
          Non so se mi sono spiegato.

          Ho poi un secondo problema, che e’ piu’ su quello che la serie ha raccontato nella parte di Berlino. Questa era potenzialmente la parte piu’ ambiziosa e piu’ difficile. Qua gli autori volevano raccontare una persona che cambia, mentre allo stesso tempo stavano raccontando bene e con profondita’ una persona che proveniva da un ambiente molto particolare. Il mio problema e’ che ho l’impressione che questo cambiamento sia stato descritto con un’ottica troppo vicina a quella del pubblico, troppo secolarizzata.
          Quando hai usato la parola “terrore” nella tua risposta, mi hai fatto pensare. Mi e’ venuto in mente che Haredim e’ la parola ebraica che denota il gruppo a cui appartengono gli Ebrei come Esty. L’esistenza degli appartenenti a questo gruppo ruota attorno a Dio. Lo fa in una maniera totale, la religione permea ogni aspetto della loro vita e la loro visione del mondo. Una volta un mio amico Ebreo (non ortodosso) per farmi capire mi ha detto: pensa a loro come fossero dei monaci che si possono sposare, avere figli e lavorare. La parola haredim indica letteralmente “colui che ha paura di Dio”. Queste persone crescono e vivono nel timore di Dio perche’ sanno che Dio e’ arrabbiato con loro dai tempi della distruzione del secondo tempio di Gerusalemme. Per questo sono ansiosi di fare la sua volonta’ tanto da essere disposti ad adottare tutta una serie di comportamenti dettati da 613 comandamente piu’ le interpretazioni dei testi sacri, alcuni dei quali abbiamo visto nella serie. Violare le regole significa commettere un peccato ed e’ una cosa che non prendono alla leggera, perche’ loro credono veramente in Dio e, percio’, in tutte le regole. Questo e’ vero anche per cose che un non Ebreo ortodosso potrebbe considerare meno importanti. Per esempio, tutti devono lavarsi le mani quando si svegliano dal sonno versando l’acqua per tre volte da una caraffa. Una volta un Ebreo ortodosso mi ha raccontato che puo’ succedere che la madre di un bambino chiami la scuola dove va il figlio per dire all’insegnente di fargli lavare le mani se sospetta che il figlio se lo sia dimenticato. Questo perche’ lavarsi le mani serve a pulirsi da spiriti maligni rimasti sulle dita durante la notte e questo pensiero farebbe preoccupare da matti la madre.
          Pensare a Dio e rispettare la sua volonta e’ percio’ qualcosa che assorbe completamente un Ebreo ortodosso. Questo aspetto e’ facilmente sottovalutato o ignorato da chi e’ al di fuori di questo gruppo. Allo stesso modo, altri costumi normali nella societa’ secolare non sono normali per gli ortodossi, per esempio uscire a fare una passeggiata o a prendersi un caffe’ per divertimento oppure sposarsi per amore. Non e’ che sono cose viste male, sono proprio inconcepibili.
          Per questo mi sembra che il cambiamento di Esty a Berlino sia stato gestito in maniera inadeguata rispetto al tipo di personaggio che aveva. Prima di tutto, che succede con Dio? Come riconfigura il suo rapporto con esso? A chi si rivolge per capire cosa pensare? Ogni minima cosa nel mondo “esterno” sarebbe qualcosa che lei dovrebbe imparare a riprocessare e reinterpretare, senza parlare di tutto quello che non sa fare. Alcune cose ci sta che le impari sul campo, tipo quando lei mangia un panino col maiale per sbaglio, se ne accorge e capisce che non muore. Il problema e’ che il cambiamento che le fanno fare e’ cosi’ profondo e cosi’ radicale visto da dove viene che gestirlo cosi’ e’ totalmente insuffuciente. Ci vorrebbe un sacco di tempo per fare dei progressi che un pubblico generale considererebbe scontati, ma che per una come Esty sono delle vere e proprie rivoluzioni.
          Mi sono gia’ dilungato troppo, per concludere la mia impressione e’ che questo cambiamento sia stato gestito piu’ come una coming of age story, una donna che ha in il potenziale per fare un salto e crescere, che finalmente trova il coraggio e ce la fa, insomma un tipo di evoluzione relativamente banale per chi e’ abituato al cinema o alle serie. Il cambiamento di Esty, pero’, non e’ un “grow up to what you stored up as you grew”, ma piuttosto un un cambiamento epocale che costringe una persona a ripensare del tutto il proprio mondo senza avere punti di riferimento religiosi, culturali e umani. Questo equivale in effetti a imparare a vivere in mezzo agli alieni.

           
        • Federica Barbera L'autore dell'articolo

          Ciao! Grazie mille per la tua risposta molto ricca ed esaustiva, soprattutto perché – sapendo qualcosa di più anche su quello che è il tuo background – è anche più facile per me capire cosa intendi e da dove arrivano certe cose che hai detto. E grazie anche per le informazioni molto utili sulla comunità ortodossa, se da questi scambi si può imparare qualcosa è sempre ben accetto!

          Allora, detto che mi appare comunque più chiaro quello che intendevi prima, per quanto riguarda la prima parte del discorso credo che allora si spieghi tutto in modo più facile: probabilmente la mancanza di spiegazioni ti ha colpito di meno anche perché sei, diciamo così, abituato al tema e hai già un tuo pensiero forte a riguardo, che è rispettabilissimo. Il mio punto, da spettatrice che si ricordava giusto l’eruv dal libro “Eccomi” di Jonathan Safran Foer, ma anche da critica televisiva, è che però questo prodotto deve poter arrivare a tutti. E se è vero come dici che c’è una certa coerenza nel non voler “educare” nessuno all’ebraismo ortodosso già come idea di base della comunità, posso apprezzare la linearità di ragionamento ma per me rimane comunque un problema. Perché se per assurdo facessimo una serie su una comunità che sta chiusa nelle caverne, allora giustificheremmo le riprese fisse all’esterno e la chiameremmo comunque serie? Sto facendo un esempio molto estremo, però anche gli estremi servono per capire se un pensiero regge oltre la questione della coerenza. Per me rimane il fatto che non spiegando alcuni, neanche tanti, dettagli, rimanga un alone di “ma cosa cavolo combinano questi qui” che secondo me non fa bene alla causa – che non è quella di convertirsi, ovviamente, ma di capirci in quanto esseri umani che fanno parte di comunità diverse. Ad ogni modo ho capito meglio il tuo punto di vista, grazie!

          Per quanto riguarda la parte di Berlino
          SPOILER
          Anche qui, ho capito un po’ meglio cosa intendi, pur non riuscendo a condividere la cosa semplicemente perché ai miei occhi non è altro che un uso diverso del mezzo televisivo. Diciamo per comodità che la miniserie di 4 ore sia divisa 50-50 tra NY e Berlino: allora dovrei dire che la serie ha cercato in 2 ore di spiegare una storia tutto sommato lineare, che si appoggia su tradizioni solide e che soprattutto racconta una successione di eventi che si dipanano lentamente nel corso di un anno; e dall’altra parte, ha usato le altre 2 ore per raccontarci un cambiamento radicale che è quello di Esty a Berlino. Ora, io sono d’accordo con te sul fatto che una persona come Esty, che ha sempre vissuto in un determinato modo per 19 anni, dovrebbe metterci molto più tempo ad abituarsi a un diverso modo di vivere, ma di nuovo, so di essere davanti a una serie televisiva. Che sicuramente compatta, semplifica, ma deve darmi un’idea di quello che succede. E spiegarmi in 2 ore una vita tutto sommato regolare perché legata alle tradizioni, e in 2 ore quello che è un cambiamento che OVVIAMENTE richiede più tempo di così, non sono proprio la stessa cosa! Per questo non posso fare un paragone tra le due parti, pur avendo capito quale sia il tuo punto: perché so che mi trovo davanti a due narrazioni diverse, e so che la seconda procede più per convenzioni che per realismo (esempio semplice: se fai caso ai cambiamenti di vestiti portati avanti da Esty a Berlino, sono posti in una sorta di crescendo che la rende sempre più libera – anche per questo consiglio lo speciale dietro le quinte che lo spiega meglio di me). Questo, per dire, è un modo per far capire a me spettatore che il passaggio è graduale, ma che ovviamente viene rappresentato più in fretta perché è una miniserie.
          Potevano fare invece due, tre stagioni per spiegarlo meglio? Forse sì, o forse – forse, non lo so – non era poi così necessario: perché da spettatrice non ho bisogno di vedere tutto in tempo reale per capire che quello che vedo è simbolicamente rappresentativo di qualcosa; riesco a immaginarmi che una donna che ha vissuto tutta una vita in un modo non cambia certo dalla sera alla mattina, e che questa è una storia concentrata che ha uno scopo altro rispetto a quello di mostrare in modo pedissequo come si cambia vita in un caso del genere.
          Poi per carità, non sto dicendo che magari con una o due puntate in più non avrebbero potuto fare di meglio (approfondire ad esempio il suo legame con Dio, come dici tu, poteva essere sicuramente una strada interessante, anche se per quanto ho percepito io, il suo problema non è il rapporto con Dio: è come questo viene filtrato dalla comunità, e neanche come regole della comunità, quanto come le regole della SUA comunità. Ricordiamoci che Esty non scappa perché ha perso la fede, perché non ne può più del marito, no: lei è felicemente incinta quando vuole parlare a Yanky, che però le chiede il divorzio. Il problema di Esty, almeno quello da cui parte tutto, è l’intromissione della suocera + famiglia nel suo matrimonio e nel suoi problemi personali). Mi limito a dire che questo formato è quello che hanno scelto e che per me spettatrice è piuttosto chiaro che quello che vedo è una versione condensata di quello che accadrebbe nella realtà ad una persona come Esty, per questo ho parlato di sospensione dell’incredulità, perché il patto con lo spettatore è fondamentale per capire cosa sia accettabile e cosa no. Certo è che se Esty fosse arrivata a Berlino e si fosse messa il giorno dopo a fare la cubista, sarebbe stato completamente senza senso XD ma qui c’è una scansione degli eventi, che per quanto velocizzati hanno una loro coerenza interna e per me è più che sufficiente!

           
  • ElenaS

    Ecco perché vengo a leggere sempre qui le recensioni delle serie che guardo! Il dettaglio dell’eruv (che avevo del tutto dimenticato andando avanti con gli episodi) è una finezza. 🙂