The Serpent – La vera storia del serial killer Charles Sobhraj 1


The Serpent - La vera storia del serial killer Charles SobhrajDi solito, davanti alla dicitura “basato su eventi realmente accaduti“, il pubblico viene immediatamente attratto alla visione di una storia che ha il doppio vantaggio di “essere da film” e allo stesso tempo di derivare dalla realtà. Altrettanto facilmente, però, se gli autori non sono stati capaci di trasformare quel materiale grezzo in un racconto finito, leggibile e coerente, lo spettatore può disaffezionarsi a una narrazione che non rispetta le sue aspettative nei propri passaggi narrativi.

Questo pericolo non lo si corre con The Serpent, miniserie campioni d’ascolti prodotta da Netflix e dalla britannica Mammoth Screen per BBC, che racconta le incredibili vicende del serial killer Charles Sobhraj senza mai dare per scontato l’interesse del pubblico per la straordinarietà degli eventi narrati, ma anzi costruendo a sostegno di questi un’architettura stratificata, capace sia di rendere sempre incerta la caccia all’uomo al centro della serie, sia di restituire al pubblico la complessità del suo personaggio protagonista.

La storia è ambientata per la maggior parte nella Bangkok degli anni ’70 (anche se sono presenti continui salti temporali avanti e indietro e spostamenti in giro per il mondo, dalla Thailandia al Nepal, dall’India a Parigi) e racconta il duello a distanza tra Charles Sobhraj (interpretato da un magistrale Tahar Rahim, nomination agli ultimi Golden Globes per The Mauritanian), seduttivo manipolatore che circuisce e poi uccide giovani turisti occidentali in cerca di nuove esperienze in Oriente per sottrarre loro denaro e documenti, e Herman Knippenberg, diplomatico olandese dell’ambasciata di Bangkok sulle sue tracce.

Pur fondandosi sull’inseguimento dell’uno sull’altro, la dinamica che si instaura tra i due protagonisti è però molto diversa dalla classica detective-serial killer della detection story. Se infatti l’assassino non è qui uno psicopatico spinto ai suoi delitti da impulsi violenti ma un fine osservatore della società che vuole la sua rivincita sull’Occidente dopo una vita passata tra povertà e guerra, allo stesso modo Knippenberg non è nemmeno un poliziotto, ma un semplice diplomatico che, dopo il ritrovamento dei cadaveri di due connazionali, mette in piedi da solo un’indagine per compensare l’inefficienza della polizia e delle ambasciate sul territorio thailandese.
The Serpent - La vera storia del serial killer Charles SobhrajI due personaggi si rivelano così sì opposti, ma allo stesso tempo complementari, nella misura in cui entrambi si oppongono con fermezza al sistema istituzionale internazionale. Proprio questo risulta essere uno degli aspetti più riusciti di The Serpent: andando oltre il genere, la serie imposta una riflessione originale sulla rivoluzione culturale degli anni ’60-’70, altrove quasi sempre rappresentata attraverso il mito della libertà individuale e della ribellione contro l’autorità, concentrandosi invece sui vuoti incolmabili lasciati aperti dalla fragilità delle istituzioni di quegli anni. E così, se il killer sfrutta queste mancanze per scalare i gradini della piramide sociale raggirando, derubando e poi uccidendo persone fragili e sole (da qui il soprannome The Serpent), il diplomatico, che di quelle istituzioni fa invece parte, metterà a rischio la propria carriera nell’ambasciata pur di restituire giustizia alle famiglie delle vittime.

Uno dei pochi punti dolenti è però proprio la scrittura del personaggio di Herman (interpretato invece da un ottimo Billy Howle, consigliato nella costruzione della performance dal vero Knippenberg), che, se funziona bene come contraltare morale della serie, a lungo andare viene sovrastato dal carisma e dalla maggiore complessità del suo antagonista, patendo una costruzione psicologica troppo abbozzata, sempre in bilico tra gli stereotipi del giustiziere e del detective ossessionato dal suo caso. Chi domina la scena è infatti il personaggio di Charles, esplorato nel corso delle puntate in maniera quasi inesauribile, grazie a continue incursioni nel suo passato (davvero azzeccatissimi tutti i flashback che mostrano le sue origini) e soprattutto nei punti di vista di chi gli sta accanto, tra cui la fidanzata e partner-in-crime Marie-Andrée e i suoi complici, tutti succubi del fascino e del magnetismo del Serpente (“It was like the sunshine on you”).

The Serpent - La vera storia del serial killer Charles SobhrajUna menzione speciale va alla cura dedicata alla ricostruzione di costumi e ambienti, mai fine a se stessa, ma sempre attenta a trasmettere il sottotesto emotivo allo spazio rappresentato. Questo vale soprattutto – ma non solo – per le riprese realizzate in Asia tra mercati, templi e foreste: contraddistinte da una fotografia spettacolare, le ambientazioni rispecchiano il fascino struggente di una terra che fu meta dei sogni per tutti quei giovani che, intrapreso il viaggio spirituale lungo l’hippie trail, non fecero mai ritorno a casa dopo essere caduti vittime del Serpente.

The Serpent è quindi una serie perfetta per tutti gli amanti del thriller e del crime, soprattutto grazie a un intreccio capace di alimentare la suspense a sostegno della storia sovrapponendo continuamente i diversi livelli della narrazione, ma, data la sua raffinatezza estetica e un’analisi sulle contraddizioni del periodo in cui hanno avuto luogo gli eventi mostrati, è adatta anche a chi va sempre alla ricerca di prodotti che non si fermino al confine del genere in cui pure rientrano.

Nota:
Si consiglia – a visione già terminata perché contiene spoiler – la lettura di questo articolo del New York Times che, attraverso un’intervista al produttore esecutivo della serie, esplora film, canzoni e icone pop a cui si è ispirato il regista Tom Shankland per la ricostruzione di costumi e ambientazioni.

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Un commento su “The Serpent – La vera storia del serial killer Charles Sobhraj

  • Boba Fett

    Gradevole nel complesso, qualche buco nella sceneggiatura (uno su tutti Dominique, l’unico superstite che una volta scappato sparisce dal racconto), un make-up un po’ pesante che trasforma il protagonista in un giovane Antonello Venditti, ma comunque una storia avvincente e interessante. Però mi chiedo se è stato un vero serial killer che agiva spinto da impulsi patologici (che qui non emergono) o un “semplice” criminale con complici al seguito che pensava solo al suo tornaconto economico…