Yellowstone, 1883, 1923: il filone western sembra aver ripreso vita in questi ultimi anni, dando respiro a un genere troppo spesso dimenticato negli ultimi tempi, specie sul piccolo schermo (oppure utilizzato con risultati altalenanti e in altre forme, vedi Westworld). Con Lawmen: Bass Reeves si aggiunge un altro tassello di qualità a questa nuova produzione di genere, alle cui spalle c’è sempre la propulsione creativa di Taylor Sheridan.
Protagonista della storia di questa prima stagione di quella che sarà una serie antologica è il mitico Bass Reeves, un simbolo e una figura di assoluto esempio nella storia dell’ovest selvaggio, specie per la comunità afroamericana. Nato già schiavo, come capitava a quasi tutti in quell’epoca e in quella parte del mondo se avevi il colore della pelle sbagliato, Reeves fece lo scudiero al suo padrone durante la guerra di secessione, finché non fu costretto a scappare dopo averlo picchiato, cercando finalmente quella libertà che gli era stata promessa. Dopo aver vissuto in mezzo agli Indiani, divenne prima il vice del Marshall Sherill Lynn, fino a diventare il primo Deputy Marshall afroamericano: un uomo passato alla storia per la sua rettitudine e assoluta osservanza della legge.
Il pilot fa esattamente il lavoro che deve fare la prima puntata di una miniserie (o al massimo due, come in questo caso, visto che sono state rilasciate insieme): presentare la storia e introdurre al meglio il personaggio principale.
Ci riesce? Molto probabilmente sì, anche se come spesso accade con le serie tv che vogliono entrare subito nel vivo c’è un senso di fretta generale e di mega riassunto di tutta la parte che ci spiega come Bass sia passato dall’essere schiavo/scudiere di un padrone che lo dileggiava (in questo senso, molto significativa la sequenza della mano di poker) a muovere i primi passi da uomo libero e mettere le fondamenta della figura che poi passerà alla storia. Quindi sembra che la narrazione non veda l’ora di arrivare proprio a questo punto: se da un lato non è oggettivamente sbagliato farlo, dall’altro c’è pochissimo approfondimento su tutto quello che circonda la vicenda del personaggio in sé, ovvero il periodo storico molto particolare, molto complicato e molto affascinante in cui si muove.
Certo, la serie non si intitola “cosa succedeva negli Stati Uniti a metà del 1800”, però ecco sarebbe stato forse più affascinante ed “educativo” darne un’idea, senza dare per scontato che tutti abbiano in mente cosa voleva dire essere schiavi a quell’epoca, che ruolo avessero gli indiani durante la guerra e in generale, gli ideali che c’erano in gioco, e quindi perché i personaggi agiscono nel modo che vediamo sullo schermo.
Se prendiamo per normale e ormai consueta questa accelerazione della presentazione del personaggio principale, che come spesso accade lascia sullo sfondo le basi storiche e sociali su cui si forma la sua personalità, Lawmen: Bass Reeves ha sicuramente un inizio di stagione che più western non si può.
Non si può negare infatti che questo avvio abbia tutte le caratteristiche del western più classico: si parte subito con uno scontro nel cuore della Guerra di Secessione per poi passare all’odissea personale di Bass, che si inserisce nei classici paesaggi nordamericani ottocenteschi, grandi spazi, campi larghi, fotografia oggettivamente di livello superiore alla media, sapore di polvere e pioggia che trasuda da ogni inquadratura.
È sicuramente un’impostazione classica, che fa intravedere una grande qualità tecnica, altamente immersiva, ma che può lecitamente lasciare un dubbio, soprattutto tra chi non è fan sfegatato del genere e che quindi non si fida a occhi chiusi: ma la storia in sé vale la pena seguirla raccontata così?
Ovviamente è ancora presto per dirlo, siamo praticamente solo al prologo, ma questo inizio di certo non spicca per ritmo elevato e per un alto coinvolgimento emotivo. Proprio su quest’ultimo punto ritorniamo un secondo sul fatto della “fretta” nel raccontare le cose: ve ne accorgerete in una determinata sequenza (dove vediamo uno dei grandi co-protagonisti del cast, Barry Pepper) dove le emozioni dovrebbe fare da padrone, ma purtroppo succede talmente tutto in un fazzoletto di minuti che non possiamo assolutamente provare nulla se non segnare la sequenza come uno degli scalini che porteranno alla formazione di quel personaggio di cui tratta la serie e nulla più. E questo è sicuramente un peccato.
Al netto di questo particolare, questi primi episodi ci calano in un’atmosfera assolutamente particolareggiata e studiata nei minimi dettagli: come detto, a livello tecnico questa sembra essere una serie che vuole riportare il western ai suoi antichi splendori.
Fotografia e colonna sonora sono due degli elementi che più spiccano in questo inizio di stagione: alcune sequenze è quasi un peccato doverle vedere su un piccolo e non su un grande schermo. Ovviamente anche il cast è di assoluto livello: da David Oyelowo, passando per Lauren E. Banks, a Barry Pepper, ma soprattutto a Dennis Quaid e Donald Sutherland, dà uno spessore non sempre presente alle produzioni di questo genere negli ultimi anni. La speranza è che quindi la serie continui con la qualità che ci ha fatto intravedere in questi primi due episodi: dovrebbe forse fare qua e là qualche piccolo approfondimento sul mondo storico in cui è immersa la vicenda, ma come puro western sembra già fare il suo sporco lavoro, come direbbero i cowboy dell’epoca.
La storia di Bass Reeves è senza dubbio affascinante, speriamo non venga sprecata in nome della tendenza a fare un po’ troppo riassunti oppure nel concentrarsi solo sulle atmosfere western, che fanno molto ma che non devono essere tutto in un progetto di questo tipo.
Voto 1×01: 6/7
Voto 1×02: 6/7