Tra rivelazioni e colpi di scena, The Americans dà le ultime pennellate all’affresco di questa stagione, colorandosi di tonalità amare e funeste. Come cantano i Golden Earring: “Help, I’m stepping in the Twilight Zone, the place is a Madhouse“
Se è vero che in amore e in guerra tutto è lecito, altrettanto non si può dire della famiglia: “compromesso” è infatti la parola d’ordine per far sopravvivere rapporti, matrimoni, focolari domestici. Il sacrificio di se stessi in nome del greater good è essenziale tanto in guerra, quanto nella propria dimensione affettiva; senza di esso, c’è solo il caos (i Jennings), il crepuscolo dell’incertezza (Martha e Clark), l’addio (Nina e Stan) e, nel peggiore e più terribile dei casi, la morte (i Connors).
My family was a lie!
Il season finale di The Americans è un susseguirsi di parallelismi e immagini a specchio che collegano personaggi e storyline, intrecciandosi in maniera pressoché perfetta con lo scioglimento dei nodi narrativi cardine di questa stagione. L’episodio non solo è un altro grande esempio di scrittura, ma anche un saggio sull’equilibrio tra “azione” ed “approfondimento”, che ruota ovviamente intorno alla scioccante rivelazione sulla morte di Emmet e Leanne: il killer non è Larrick, né nessun oscuro esecutore dietro le quinte, bensì il figlio Jared, un ragazzo erroneamente creduto una delle tante vittime del gioco delle parti di The Americans e che invece era tra i suoi principali partecipanti. I Jennings hanno sempre visto nei Connors lo specchio di loro stessi e nella distruzione di quella famiglia un presagio di quello che sarebbe potuto accadere loro. La rivelazione più sconcertante è però che il pericolo era tutto fuorché estraneo, ma proveniva invece dall’interno, da un mostro cresciuto e allevato dal fiume di bugie e segreti su cui erano state costruite le fondamenta di un universo familiare.
La cruda verità colpisce soprattutto Elizabeth, avvicinatasi parecchio a Jared soprattutto per quella libertà di potersi mostrare finalmente per quello che è davanti ad una sorta di “figlio surrogato”. Nel suo “This is who I really look like“, con cui si presenta al ragazzo alla baita in montagna, emerge tutto il sollievo di una donna che può in quel momento parlare e agire come avrebbe sempre voluto fare con i propri figli. Stroncata dalla rivelazione finale e dalla morte del ragazzo, quella sensazione continua però a riverberare in lei come un’eco (non a caso anche il titolo dell’episodio), fino a darle il coraggio di prendere in considerazione una possibilità mai prima paventata: raccontare la verità, smettere di mentire e sacrificare se stessa e tentare un salto nel buio che però Phillip non è disposto a fare: a riverberare dentro di lui è quel bagno di sangue nella stanza d’albergo visto nella premiere, come un’eco di morte che non può ignorare.
Will what we have be enough for you?
Proprio Phillip e il suo alter-ego Clark sono l’esempio di come onestà e menzogna non costituiscano una scelta, bensì siano due aspetti imprescindibili costretti a convivere per tenere unita una coppia. Gli attriti tra i Jennings si manifestano infatti per la volontà di Phillip di continuare a mentire, ma non va meglio quando invece Clark decide di intraprendere la strada dell’onestà totale con Martha. In quel “I am what I am” (ironico per noi spettatori consapevoli della verità dietro quel parrucchino), con cui Clark rinuncia ad ogni compromesso, si rivela tutta la difficoltà in una relazione ad accettare l’altro fino in fondo. In più, la scrittura di Weisberg sottilmente mette in parellelo le due parti femminili delle coppie, facendoci percepire il suono della loro frustrazione: “I’ve always imagined a family” dice Martha, e il suo desiderio irrealizzato fa da eco a quello di Elizabeth su Paige: “I wish I could tell her about the real heroes, people sacrificing themselves for this world, not some stupid children’s story about Heaven.”
A Elizabeth non manca la famiglia, non manca l’affetto. A Elizabeth manca la verità, la possibilità di abbattere quel muro invalicabile tra lei e la figlia che non le permette di vivere appieno il proprio sentimento di madre. La sua quotidianità è solo la eco di una musica che non riesce ad ascoltare e a godere fino in fondo. Per tutti, la famiglia diventa così il territorio di segreti, sogni infranti, rinunce, frustrazioni e sacrifici (altro che quelli per la Madre Russia!): fino a che punto ci si deve annullare per il greater good? E fino a che punto ci si può mettere da parte? Quel ‘”I don’t know” di Martha esprime tutta l’incertezza e forse l’impossibilità di una risposta a questi interrogativi. Di sicuro, il dettaglio della pistola nel cassetto getta una luce ancora più oscura sul futuro di questa storyline.
He was willing to sacrifice himself for a greater good. And that inspires me.
Paige ed Elizabeth. Madre e figlia. Uno dei fulcri principali di una stagione che ha parlato soprattutto di figli e delle responsabilità verso di loro da parte dei genitori. La decisione dell’adolescente di muoversi verso la Chiesa ha ferito Elizabeth più di quanto la donna lasciasse a vedere, colpendola proprio nel punto in cui è più debole: quello della sua fede nella Causa e nell’ideologia russa. L’episodio, che getta con il twist finale una luce del tutto nuova sulla storyline di Paige e che ci permette di leggere il suo arco in tutt’altra prospettiva, mette in parallelo e opposizione i due personaggi sotto diverse forme. In un primo momento, è il montaggio alternato tra la fuga di Elizabeth e la manifestazione contro gli USA a mettere in luce similarità caratteriali e determinazione tra le due; successivamente, è il dialogo a casa, quando la ragazza ritorna dalla sua avventura e racconta quanto accaduto, a metterle in relazione visivamente: entrambe vestite dello stesso colore (verde scuro), sono poste una di fronte all’altra separate dal tavolo della cucina, e Paige parla spiegando le sue motivazioni con l’ardore di una piccola Elizabeth.
Maybe you just don’t know me as well as you think.
Per una Elizabeth non più disposta a mettere da parte se stessa, anche Stan decide di non tradire la propria natura. Il fallimento della sua storia con Nina è di nuovo la dimostrazione che nessuna relazione è possibile se non si è disposti a sacrificare parte del proprio essere: Stan, contrariamente a quanto ci si aspettava, decide infine di non andare contro i suoi principi di “americano”, abbandonando così ogni sogno di felicità con la sua amante. Questa storyline è anche quella che si carica maggiormente dell’aspetto storico della serie: nell’ufficio dell’FBI di Gaad dove Stan viene ricevuto svetta infatti la foto di Reagan, così come alle spalle di Nina giganteggia il ritratto di Lenin. I due diventano così la personificazione di ideologie troppo monolitiche per poter scendere ad un compromesso, l’umanizzazione di principi contrastanti non disposti a sacrificare parte di sé in nome di un greater good identificabile con la pace. Di nuovo, The Americans torna a dirci che l’equilibrio nella Storia, così come nel matrimonio, così come nella famiglia, è solo una finta stabilità dietro la quale si nasconde sempre un’inevitabile Guerra Fredda con se stessi e con l’altro.
Paige is your daughter, but she’s not just yours. She belongs to the cause. And to the world. We all do.
Del resto, troppo spesso i Jennings dimenticano di essere parte di una famiglia ancora più grande, quella della Madre Russia che tiene i suoi cittadini nel suo grande e autoritario abbraccio, divinità al di sopra di tutto e che incombe sui destini di ogni personaggio. Phillip ed Elizabeth non riescono ad essere marito e moglie fino in fondo perché sono sposati alla Causa, così come Paige e Henry non sono completamente loro figli perché appartengono prima di tutto alla Patria. In uno dei momenti di intimità a inizio episodio, i due protagonisti infrangono una delle regole che era stata loro imposta: non parlare del proprio passato: i racconti dell’infanzia vengono però bruscamente interrotti da un elemento esterno, come se su Phillip ed Elizabeth gravasse comunque il volere di un Dio che non consente loro di liberarsi di quelle imposizioni. Da sottolineare è tra l’altro che, nei due racconti, entrambi usano Henry e Paige per fare riferimento all’età che avevano all’epoca dei fatti che raccontano, ulteriore dimostrazione di come i due bambini non siano altro che l’eco di quella loro purezza appartenente ormai al passato.
The Americans chiude dunque questa sua trionfale secondo stagione con un episodio caratterizzato da una scrittura studiata e curata nel più piccolo dei suoi dettagli, svelando un disegno finale di rara grandiosità artistica; un’ulteriore conferma che il dramma di Weisberg, senza il minimo ammiccamento allo spettatore, è, a tutti gli effetti, quanto di meglio la tv americana stia offrendo in questo momento.
Voto 2×13: 9+
Voto stagione: 9
Note:
– Dichiarazioni di Weisberg su questa stagione e sulla prossima: “Appena abbiamo pensato alla famiglia di spie uccisa, abbiamo subito deciso che l’assassino sarebbe stato il figlio. Solo quando abbiamo iniziato a scrivere, abbiamo pensato di collegarlo al tema dei clandestini di seconda generazione. Dopo aver esplorato il matrimonio e il rapporto con i figli, il prossimo anno ci concentreremo su come una famiglia possa sopravvivere quando le visioni del mondo dei suoi singoli componenti sono così diverse e conflittuali.“
– La storia di Nina può dirsi conclusa? “È uno dei nostri personaggi preferiti. Per ora possiamo solo dirvi quello che già sapete: Nina è su una macchina diretta all’aeroporto e no, non abbiamo ancora finito con lei.“
– Sugli ascolti bassi della serie: “Siamo sempre andati avanti serenamente. Il “mandato” che abbiamo con FX non riguarda gli ascolti, riguarda la qualità. Questo è ciò che ci hanno chiesto e sono stati irremovibili su questo. Dalla nostra abbiamo i dati delle registrazioni che sono impressionanti. Speriamo che comunque il pubblico resti con noi.“
– Infine, su pressante richiesta dei fans, al grido unanime di “più Claudia per tutti“, ecco la risposta di Weisberg: “Non possiamo essere troppo specifici, ma la CBS è stata gentilissima a concederci Margo Martindale nonostante fosse impegnata con loro in The Millers. Speriamo che continuino ad essere così disponibili. Adoriamo Margo e lei adora noi, siamo i primi a volere che torni.”
Ho avuto bisogno di un paio di giorni per “processare” questo finale. Inizialmente la rivelazione su Jared mi ha spiazzata: non essendo abituata ai colpi di scena scioccanti, specie in un finale di stagione, la cosa mi ha un po’ disturbato. Mi è sembrato un po’ troppo cliché per The Americans. Efficace, ma cliché. Allo stesso modo, la morte di Larrick è stata troppo veloce, troppo anticlimatica. E’ come se tutto si fosse risolto in un batter d’occhio, con una confessione in punto di morte e un omicidio risolutore.
Non sono ancora convinta del tutto, ma comunque a qualche giorno di distanza capisco meglio il gioco di Weisberg. Aspettare l’ultimo episodio per rivelarci il segreto di Jared ha permesso di sviluppare altri temi con la giusta calma, temi che poi convergeranno nella prossima stagione. Mi riferisco soprattutto al percorso di Paige, ancora più interessante alla luce degli ultimi eventi.
Quando arriva la terza stagione? QUANDO?
Attualmente The Americans è, secondo me, il miglior drama in onda.
P.s. visto che nulla è lasciato al caso, la pistola di Martha è sicuramente un fucile di Checov.
Io invece ho trovato incredibilmente brillante come hanno gestito la rivelazione di Jared! Nel senso, d’accordo che è stato un po’ un clichè, ma il modo in cui è stata ricollegata alla questione dei clandestini e a Paige per me ha dato ancora più significato ad una stagione che è da ricordare negli annali. Finale pazzesco, stagione incredibile, l’attesa per la prossima sarà straziante!