“It’s too bad she won’t live. But then again, who does?”
Blade Runner, Ridley Scott, 1982.
Do Androids Dream of Electric Sheep? è un romanzo di fantascienza di Philip K. Dick, la cui trasposizione cinematografica arrivò dopo non pochi cambi di rotta. Il risultato finale fu un adattamento piuttosto libero che ne conservava i temi e l’impostazione fondamentale, riuscendo a trasmettere le stesse sensazioni e ideologie che permeavano la storia su carta: si parla, ovviamente, del sopracitato Blade Runner di Ridley Scott, con cui l’ultimo episodio di The Americans ha davvero molto in comune.
I will do whatever is asked of me for the cause… For you.
Il tema più importante che ricorre nella trasposizione di Scott (e di conseguenza nel romanzo di Dick) è la differenza tra esseri umani e androidi (o replicanti), individuabile essenzialmente tramite un’unica caratteristica: l’empatia. L’elemento più destabilizzante di tutto ciò, tuttavia, è che nel film (da vedere assolutamente nella forma del Director’s Cut, o Final Cut) tale distinzione risulta sempre più confusa e sfumata, soprattutto a causa della progressiva disumanizzazione degli individui mostrati. Uno dei fattori principali (se non il fattore) in questo processo è l’omicidio, ed è in questo senso che “Do Mail Robots Dream of Electric Sheep?” richiama con forza l’opera a cui deve il nome: ciò diventa chiaro fin dalla scena in cui un disperato Hans decide di assassinare con violenza Todd, in una delle sequenze più brutali della serie. Il ragazzo è guidato da sentimenti umani, come la devozione alla Causa e quella quasi morbosa ad Elizabeth, ma l’amara ironia sta nel fatto che proprio l’attaccamento così passionale a qualcosa causa la perdita di empatia del personaggio. Hans chiaramente non ne è ancora cosciente, ma tale processo non può che essere osservato da una sempre più confusa Elizabeth, incredula nell’assistere alla normalità con cui il ragazzo proclama la propria devozione.
La donna, infatti, sembra star subendo quella trasformazione che aveva colpito Philip nella seconda stagione (in “Martial Eagle” in particolare), quella perdita di fiducia negli ideali che hanno sempre caratterizzato il suo modo di vivere. Con Elizabeth il processo è chiaramente più complesso, dato il suo maggiore attaccamento ai valori della Madre Russia, ma non si può non notare come le sue ferree convinzioni comincino a scricchiolare. In questo senso, la grandezza dell’episodio sta nel declinare il concetto da cui prende spunto in una versione personalissima, fortemente legata all’evoluzione dei personaggi e dei temi che sta portando avanti: non è più solo l’omicidio a disumanizzare ma la Causa stessa, capace di piegare le volontà dei singoli fino a distruggerne qualsiasi tipo di emozione e di attaccamento personale. Qual è la differenza tra il lavoro che i Jennings stanno svolgendo e quello del mail robot? Entrambe le parti, dopotutto, eseguono meccanicamente delle istruzioni, applicando protocolli che non si interessano di questioni come il coinvolgimento personale o l’etica.
Non importa neanche che le parti coinvolte non siano d’accordo con gli ordini, perché, in fondo, quello che conta sono le direttive che vengono imposte dall’alto: quando Gabriel impone a Philip ed Elizabeth la messa in atto del piano le lamentele sono inutili, insensate. Quello su cui conta il KGB è il fatto che la devozione ai propri ideali sia tale da eliminare qualunque dilemma morale, qualunque protesta individuale: come detto prima, l’attaccamento diventa causa della perdita dell’umanità da cui esso stesso deriva, fino a privare l’individuo delle sue caratteristiche distintive.
You think doing this to me will make the world a better place?
Cosa succede, però, se l’enorme dose di devozione necessaria a giustificare una condotta del genere viene a mancare? Questa è la domanda che The Americans si pone dall’inizio, e a tal proposito non si può non considerare quest’episodio un tassello fondamentale, imprescindibile dal discorso che Weisberg sta facendo a partire dal pilot. In particolare, è chiaro che assume un valore indiscutibile la scena madre della puntata, in cui un’innocente Betty (interpretata da un’ottima Lois Smith) comincia a fare a pezzi le sicurezze a cui Elizabeth si è sempre più disperatamente ancorata negli ultimi tempi. Dopotutto, alla luce dei “passi avanti” fatti durante la Guerra Fredda, ne vale davvero la pena? Tutti i cadaveri lasciati alle spalle dai Jennings non possono che riemergere chiedendo spiegazioni, e i bellissimi dialoghi con l’anziana signora riassumono alla perfezione la sempre più precaria condizione della donna. Assume un’importanza particolare, a tal proposito, il racconto di Betty della storia con suo marito, perfettamente compatibile con la situazione tra Elizabeth, Philip e Martha ma anche con il tema portante della puntata: la guerra e l’omicidio hanno tormentato l’uomo che, tornato a casa, non riusciva più a partecipare alla vita come aveva fatto in precedenza. Parte della sua umanità, insomma, l’aveva abbandonato, facendolo assomigliare sempre più ad una macchina (o a un replicante, se vogliamo) che all’individuo che era realmente.
Per quanto riguarda le storyline secondarie della puntata, comunque, si può sempre parlare di una coerenza tematica di fondo: si pensi, ad esempio, al piano di Stan e Oleg per liberare Nina, così radicato nell’amore dei due verso la donna da ignorare completamente i possibili danni verso Zinaida, la cui “colpevolezza” è, in fin dei conti, ancora tutta da dimostrare. Anche la linea narrativa riguardante Philip, per quanto piuttosto marginale e funzionale allo sviluppo degli episodi successivi, si inserisce nel quadro parlando di una ribellione più aperta verso la Causa, verso quegli ordini freddi e disumani che hanno causato la crisi individuale di entrambi i Jennings. La scena che chiude l’episodio, inoltre, proprio perché arriva in modo inaspettato e inusuale per la serie, riesce a preparare il tutto verso un’ultima parte di stagione (si spera) tesa e devastante, cominciando a rompere quell’equilibrio sottile (da Guerra Fredda, appunto) non solo tra Philip ed Elizabeth e Gabriel, ma tra la coppia e il KGB stesso, portatore di ideali che non sono più in grado di giustificare gli orrori vissuti finora.
In definitiva, si può dire che “Do Mail Robots Dream of Electric Sheep?” sia un episodio denso, intimo, in grado di inserire perfettamente un tema delicato (l’umanità, l’empatia) nel percorso della serie, senza rinunciare alla solita cura maniacale per lo sviluppo psicologico dei personaggi – reso ancora più efficace, in questo caso, dalla splendida performance di Keri Russell. The Americans quest’anno non sembra sbagliare un colpo, e con la sequenza finale ci sono tutti i presupposti per una degna conclusione di questa splendida stagione televisiva.
Voto: 9
Ottima recensione . Concordo con il 9 finale …anzi 9,5 🙂