Torna finalmente in onda lo show più over the top dell’intero attuale panorama della televisione americana; e lo fa nel suo stile, in pompa magna, mettendo quanta più carne al fuoco possibile. Dalla trama ai costumi e ai dialoghi, Empire con questa première promette una seconda stagione di fuochi artificiali e assurdità pienamente all’altezza delle aspettative.
It’s crazy how I can love your ass and hate you at the same moment.
Arrivare alla seconda stagione con un carico di hype paragonabile a quello che attendeva Empire è una notevole pressione, per uno show così recente. Forse solo True Detective (culturalmente e intenzionalmente agli antipodi) aveva suscitato un clamore paragonabile, ma obiettivamente nel caso di Empire non si tratta solo del fenomeno culturale creatosi intorno alla serie, ma anche dell’esplosione degli ascolti che rendevano la sfida doppiamente impegnativa.
“Bill Clinton is out there” “Yeah, he needs to be if he wants his wife to get elected”
Fortunatamente, bastano le prime sequenze di questa première – che si apre su un concerto gremito di spettatori che agitano il pugno al grido dell’hastag #freelucious – per chiarire che l’Empire che vediamo non è solo all’altezza di quello precedente, ma viaggia a velocità raddoppiata. Non essendoci più bisogno di introdurre i personaggi, ci si può scatenare nel creare le situazioni più esagerate, e come sempre gli autori non si risparmiano.
I primi 20 minuti vedono praticamente un one woman show di Cookie, che in grandissima forma e vestita di piume prima flirta con Mimi Whiteman/Marisa Tomei, poi tiene un discorso sull’ingiustizia carceraria verso i neri dal palco (in una gabbia, dentro un costume da gorilla) e nel frattempo scambia battute surreali con guest star prestigiosissime, del calibro di André Leon Talley, la cui presenza è come sempre assolutamente gratuita e inutile.
“You need to go visit that man” “Did ya’ll bother to tell him that when I was rotting away?”
L’effetto di straniamento che suscita non solo il discorso black power di Cookie, ma l’intero concerto a favore di Lucious è prevedibile, perché sappiamo tutti che il patriarca della famiglia Lyon è assolutamente colpevole, che Cookie aveva cercato di soffocarlo con un cuscino alla fine della scorsa stagione e che tutta la sua famiglia si è coalizzata contro di lui per trovare un nuovo investitore e soffiargli sotto il naso la Empire.
È la conferma di quanto gli autori abbiano deciso di portare la lancetta del puro intrattenimento che nasce dal What The Fuck ai suoi picchi massimi, regalandoci un livello di lettura talmente raffinato che a volte ci si chiede se in realtà semplicemente non si stia cercando di trovare un senso in qualcosa che non ce l’ha.
Ma l’operazione di Empire è appunto raffinata, perfino rivoluzionaria considerato il suo coraggio (specie nel clima politico americano attuale) nel fondere i cliché della soap con i toni esagerati della blacksploitation, allo stesso tempo celebrando e prendendo in giro un intero fenomeno culturale; un mondo che si autocelebra prendendo in giro sé stesso e le proprie esagerazioni, che fa il giro e si prende gioco ancora una volta degli spettatori con un tourbillon spiazzante, autoironico, esagerato e camp.
I’m telling Mom! MOM!
E come sempre, fin da subito la trama prende il sopravvento sui personaggi e sulla coerenza, buttandoci nel pieno svolgersi di un turbinoso drama familiare in cui Hakeem – cliché del ribelle viziato utilissimo a seminare conflitti inutili – si trova in contrasto coi fratelli per l’uscita del suo disco, mentre Andre e Cookie tramano per soffiare la compagnia a Jamal che però è in segreta combutta con Mimi Whiteman e Lucious.
Nel mezzo c’è la minaccia, seguita da rovinosa caduta per mano di Lucious del temibile gangster Frank Gathers (interpretato da un non così temibile Chris Rock in uno dei casting più assurdi mai visti nella recente storia della tv), che unisce la famiglia per breve tempo sotto lo stesso tetto per poi sparigliare ancora le carte.
I’m gonna sign your baby girl. And the Imma slip her my bone.
A fare da cornice ed esaltare il ritmo di questa corsa sfrenata c’è la musica, se possibile di qualità ancora migliore rispetto a quella della scorsa stagione e sicuramente meglio dosata. Non soltanto per le guest star musicali come Swiss Beatz e Pitbull, ma soprattutto per le performance straordinarie degli attori Jussie Smollet (Born to Lose, uno dei pezzi migliori della serie in assoluto) e Bryshere T. Gray.
Hi. Game over, bitches. Bye bye.
Guardare questa nuova première di stagione è come vedere un atleta in perfetta forma che si prepara a giocare la sua olimpiade: il clima è frizzante, si percepisce chiaramente l’energia e la voglia di regalare una performance straordinaria e l’impressione generale è che Empire stia solo scaldando i motori, prima di partire a velocità supersonica verso una qualità e un livello di divertimento perfino superiore a quelli a cui ci aveva abituato.
Voto: 8½
Dopo una prima stagione che ha lasciato tutti a bocca aperta tra pubblico, critica e forse anche gli stessi autori, Empire comincia la seconda annata in pieno stile colored, adottando l’obamiano “when in trouble, go big”, raddoppiando quindi la posta in gioco e vincendo totalmente la scommessa.
La cosa più bella è che potrebbe succedere di tutto, senza alcun preavviso, e non ci resta che attendere e godere, aspettando il successore di “Drip Drop” che potrebbe non essere troppo lontano.