Il quinto episodio della serie diretta da Soderbergh si pone come punto si svolta del racconto senza fare rumore, ma in modo deciso e funzionale: i personaggi raccontati si avvicinano a piccoli passi ad essere quello che vogliono oppure restano consciamente immobili, interpretando un ruolo conveniente.
.
Your race?
The Knick è una grande serie, ormai lo abbiamo capito. Ma cosa fa sì che un prodotto televisivo diventi interessante, che coinvolga il pubblico, che abbia da dire qualcosa di diverso dal solito? La risposta sta tutta in due parole:staticità e movimento, personaggi che crescono e personaggi che restano fermi nelle loro convinzioni. Questa è la chiave di una narrazione consapevole dei propri mezzi, che vuole accompagnare per mano chi sta davanti allo schermo e portarlo, senza che se ne renda conto, a capire che qualcosa è cambiato. E quindi, dando per scontata la qualità della regia, l’ambientazione d’epoca resa perfettamente nei dettagli, la scrittura curata ed elegante, ci rimane fra le mani una storia che ci mostra in modo delicato e coerente il coraggio di alcuni, per sottolineare la codardia di altri. Bertie è sicuramente il personaggio che fa notare di più la sua voglia di maturità: un nuovo lavoro, un nuovo capo e un nuovo ospedale sono solo il contorno di una crescita rappresentata in modo lampante dalla relazione con la moderna e indipendente Genevieve. Il dottor Chickering Jr. è cambiato, la lontananza da quel vortice di problemi e ansie che è il dottor Thackery gli ha fatto bene: in poche puntate il ragazzo sembra avere trovato l’amore, aver scoperto il sesso ed essere diventato finalmente uomo – seppur in modo traumatico e doloroso – con la scoperta della malattia della madre.
Un percorso interessante e molto rapido che scorre parallelo a quello di Algernon: anche per il dottor Edwards l’arrivo di una donna sembrava aver inizialmente destabilizzato il suo equilibrio, per poi risultare una componente fondamentale della sua crescita. Rispetto alla storyline che vede protagonista Bertie, per Algie entrano in gioco fattori non solo emozionali e psicologici, ma anche e soprattutto sociali, come razzismo, integrazione ed appartenenza. Il terremoto provocato da Opal, la moglie “segreta”, colora di una nuova luce il personaggio interpretato dal bravo Andrè Holland: sembra farsi sempre più tenue l’aura di tormento e sofferenza che aleggiava sopra l’uomo e, ora che ha di fianco una donna fiera di essere nera e diversa, anche lui è contagiato da quel sentimento. Lo vediamo, infatti, respingere la voglia di farsi accettare a tutti i costi dai bianchi: lo spettatore percepisce l’intenzione dell’uomo di far parte di una nuova comunità assieme alla sua stanchezza nel sentirsi sempre fuori posto. Un nuovo Algie si presenta sotto i nostri occhi, a partire dalla scoperta del nuovo quartiere di Harlem – dove invita l’amico bianco dicendogli perfino I couldn’t think of anywhere else to take you – fino all’attento ascolto del sermone del reverendo a proposito dei diritti dei “negro americani“. Un cambiamento lento ma radicale, un ritorno alle origini che mette di diritto il personaggio di Algernon fra quelli che rappresentano meglio l’evoluzione di donne e uomini del primo Novecento.
Gentlemen, the source of addiction.
Molti altri personaggi, insieme ad Algie e Bertie, si scoprono diversi o semplicemente sentono finalmente di essere liberi di scegliere: il signor Barrow lascia la moglie per provare a coronare il suo sogno d’amore con la prostituta Junia, dimostrandosi forse più ingenuo che coraggioso, il dottor Gallinger da sfogo a tutte le sue frustrazioni interessandosi all’eugenetica e Lucy, dopo la sfuriata del padre, si ritrova a vivere di nuovo la sua femminilità con meno paura, uscendo a cena con il fratello di Cornelia e confidando all’amica il sogno proibito di essere il primo medico donna della storia. Tutte queste piccole e grandi storie di evoluzione si scontrano pesantemente con la staticità dimostrata da altri personaggi; chiaramente stiamo parlando del dottor Thackery: arrivati al giro di boa di questa seconda stagione, possiamo tranquillamente dire che le premesse di cambiamento suggerite dalle prime puntate sono andate in fumo. Se da una parte la droga gli ha permesso di tornare il medico che tutti conoscevano, dinamico ed efficiente, dall’altra lo ha fatto ripiombare in un vortice di solitudine ed isolamento. John è una persona estremamente sola che vive nel passato per quanto riguarda gli affetti e nel futuro per quanto riguarda la medicina. L’illusione di riuscire ad estirpare la dipendenza come si toglie un organo infetto è la rappresentazione esemplare del suo pensare, tecnico e cinico; un modo neanche tanto velato per provare a salvarsi con le uniche armi che conosce, lo studio e la scienza.
La stridente comparazione tra un medico proiettato sempre in avanti, che mette le mani in un cervello davanti ad una platea assetata di conoscenza, e un uomo che si aggrappa a vecchi amori che non ci sono più, che bacia la sua ex ragazza dicendole “Sorry. Old habit“, è il metodo più semplice per spiegare Thack e il suo stare fermo: tanto veloce è la sua mente, quanto lento è il suo cuore. Staticità e movimento come dicevamo, per qualcuno che si muove, più o meno velocemente, verso una sorta di maturità o semplicemente verso un qualcosa di nuovo; c’è sempre chi è convinto di stare andando fortissimo ed invece non si muove di un millimetro.
The Knick si conferma un prodotto capace di stupire, oltre che per la sua fattura, anche per la sua profondità. Questo quinto episodio, che al primo sguardo potrebbe sembrare di passaggio, un momento narrativo utile solo a trainare la storia, sembra invece essere l’inizio di un nuovo corso per i personaggi che abitano il mondo di Amiel e Begler. Più passa il tempo più lo show di Cinemax abbina la bellezza estetica ad una qualità di contenuti non indifferente; “Whiplash” è infatti un buon episodio che nasconde dentro di sé i presupposti per un finale di stagione potenzialmente eccezionale.
Voto: 7½