American Crime – 3×08 Episode 8


American Crime - 3x08 Episode 8Giunge al termine anche la terza stagione di American Crime: come è suo solito fare, ci lascia suggerendoci qualcosa che forse non volevamo sentire, ma che è vero e devastante e che ci lascia irrimediabilmente con l’amaro in bocca.

 

Se c’è una cosa che la serie ha fatto fin dai suoi esordi è stata quella di prenderci a pugni in ogni puntata, sfruttando la scelta stilistica del primissimo piano praticamente in tutti i dialoghi diretti che vediamo: l’espediente di inquadrare in continuazione il protagonista della scena – specialmente quando ascolta e non quando parla – ha fatto sì che l’empatia verso questi sfortunati personaggi salisse a livelli ancora maggiori rispetto a quanto non sarebbe già successo naturalmente.
E quest’ultimo episodio non fa di certo eccezione, andando a scandagliare ogni piega del volto di chi sta soffrendo e di chi cerca un espediente per non farlo più. È allora il compromesso il fulcro centrale di questa storia, ma forse lo è anche della vita in generale: il cambiare per non cambiare nulla, perché alla fine si è quasi sempre costretti dalla vita a tornare sui propri passi o a percorrere strade che non avremmo mai percorso in condizioni normali.

American Crime - 3x08 Episode 8Jeanette non è così forte come pensava, e lo ammette dritta in camera; Kimara si arrende all’evidenza di dovere essere fredda e dura, infischiandosene della morale e cercando di ottenere il meglio per sé; Claire crolla davanti alle sue responsabilità e cerca di trovare un lato positivo nel male senza senso che ha fatto a una sconosciuta; Dustin viene fagocitato da un sistema che fa prima a trovare un capro espiatorio di cui a nessuno importa piuttosto che faticare e perdere tempo a trovare il vero colpevole.
Sono tutte storie in cui ci si lascia andare, si viene travolti da quella parte oscura della vita che purtroppo è quella predominante e si cerca di sopravvivere come si può: tappandosi il naso e gli occhi davanti alle ingiustizie oppure coprendo la propria vergogna con un mucchio di soldi in più sul conto corrente.

I really don’t care. I really don’t.

Allora questo tornare sui propri passi o arrendersi all’evidenza che non possiamo farcela, che stiamo lottando contro dei mulini a vento giganteschi, si trasforma per forza di cose in cinismo. Un cinismo dettato anche dal male che si è costretti a vedere e sopportare, dando tutto per evitare che si ripeta, mentre quello inevitabilmente si ripete: era l’assoluta banalità del male di cui parlava Hannah Arendt a proposito del nazismo, quel male senza senso che permea tutte le otto puntate. Da quello che succede nelle fattorie al disfarsi di corpi nei fiumi, violenza dettata dalla noia o dal nervosismo accumulato in anni che comunque non giustifica minimamente le azioni a cui hanno portato.

American Crime - 3x08 Episode 8Il finale è quindi perfetto per tirare le fila di tutte le storie apparentemente scollegate che abbiamo vissuto in questa stagione: storie che non si sono mai incrociate, ma che vedono un finale univoco, ovvero una resa dei conti davanti alla giustizia ma soprattutto uno duello che i personaggi devono vivere con loro stessi, messi di fronte a tutte le scelte sbagliate fatte fino a quel preciso momento e ora costretti a prendere di petto la realtà.
E suona ovviamente assurdo come tutto si debba risolvere così, grazie alla giustizia. L’ultima carrellata infatti sottolinea come appunto la giustizia intesa come organo garante della legalità spesso sia fallace più della vita stessa: i tre assassinati di questa stagione osservano dal fondo dell’aula chi è rimasto al posto loro, senza che probabilmente nessuno dei colpevoli materiali della loro dipartita sia effettivamente punito.
«All rise» dice il severo giudice che segue una delle udienze. «We are here today for the purpose of seeing that justice is done… and done for all»: parole che si sovrappongono ai volti arrendevoli dei protagonisti, volti rovinati e tirati da una situazione che non vedono l’ora che finisca; parole che rimbombano assurde e ridicole, come la vita.

American Crime si conferma un prodotto di altissimo livello, supportato dai sempre ottimi attori che sono chiamati a recitare spesso solo con le espressioni facciali e con i propri occhi. Possiamo dire che in queste tre stagioni ci sono riusciti perfettamente. Questa terza annata non ha mostrato infatti segni di cedimento, una stanchezza che sarebbe potuta risultare anche naturale dopo due stagioni precedenti (a detta di chi scrive, soprattutto la seconda) che hanno raggiunto un ottimo livello di narrazione: nonostante l’argomento di fondo sia praticamente uguale dalla prima puntata – il dolore degli emarginati, la sofferenza nascosta delle famiglie in vista, le storie che si vivono ogni minuto nello strato sociale più basso degli Stati Uniti –, ogni anno si rinnova lo sguardo con cui lo si osserva, sentendo sempre un dolore diverso, con uno stile posato e mai gridato che lo fa sembrare ancora più potente delle già forti immagini (il corpo di Shae nel fiume, per dirne una) che la serie ci obbliga a guardare.
John Ridley ha quindi colto in pieno nel segno anche quest’anno: siamo sicuri che ci riuscirà ancora, qualsiasi cosa deciderà di scrivere.

Voto episodio: 7½
Voto stagione: 7/8

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Informazioni su Ste Porta

Guardo tutto quello che c'è di guardabile e spesso anche quello che non lo è. Sogno di trovare un orso polare su un'isola tropicale.

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