
Everything we feared came to pass. How the hell did that happen?
Per questo, a uno sguardo superficiale, questo revival potrebbe esaurirsi nel tentativo di fare cassa sull’affetto dei fan per uno show che ha cambiato la televisione e segnato l’esperienza seriale di un’intera generazione; ma se si va appunto oltre la superficie, e soprattutto oltre il primo, debolissimo episodio di questa undicesima stagione, si scopre uno show dalle doti indiscutibili, in grado di osare come pochi altri sia da un punto di vista stilistico che narrativo, capace di giocare con raffinatezza rara con la propria legacy e con la contemporaneità.
Dopo i tormenti del primo episodio, l’undicesima stagione si rimette infatti in piedi quasi immediatamente, tornando a ricordarci perché abbiamo amato questo show in passato e perché siamo ancora davanti agli schermi a vederlo: Scully e Mulder tornano a fare quello che sanno fare meglio, ovvero rappresentare due archetipi, due approcci antitetici alla realtà e all’assurdità degli eventi che si trovano ad affrontare, portando questi archetipi al massimo della loro espressione – sempre sul filo del nonsense e dell’autoironia – grazie alla libertà totale d’azione concessa loro dalla lunghissima storia dello show.
Believe what you want to believe. That’s what everyone does now anyways.

Ma Mulder non era un uomo del suo tempo neanche nella serie originale, e parte del fascino del suo personaggio era proprio radicata nel suo essere un outsider, nella sua ricerca di una “truth out there”. Una ricerca che però nella contemporaneità ha completamente perso di senso: la velocità del mondo contemporaneo, la messa in dubbio di ogni realtà e di ogni competenza sono andati così oltre qualunque dubbio Mulder potesse avere negli anni ’90 da rendere la ricerca di segreti nascosti sotto la superficie delle cose uno standard universale all’interno del quale gli X-Files, forse, non hanno nemmeno più senso di esistere.
In molti sensi, quindi,The X-Files non è mai stati così attuale, e sembra esserne perfettamente consapevole: episodi come “The Lost Art of Forehead Sweat” e “Rm9sbG93ZXJz” lo dimostrano, regalandoci due delle migliori variazioni sul tema della tecnologia e delle fake news che il panorama televisivo ci abbia mai offerto; la prima attraverso l’approccio comico e nonsense di Darin Morgan e la seconda con uno spirito alla Black Mirror, anche se infinitamente meno retorico rispetto allo show di Charlie Brooker e senza nessuna finalità morale o educativa.
I’ve stumbled on the conspiracy to end all conspiracies.

Perché, un po’ come Twin Peaks, The X-Files non ha nessun bisogno di giustificare i comportamenti dei propri protagonisti, le loro stranezze, l’ambiguità del loro rapporto, dato che questo solidissimo terreno è stato creato molti anni e molte stagioni fa. Si può quindi permettere di inserire intuizioni improbabili, ragionamenti logici nati dai sogni, dare per scontati interi pezzi di storyline che comunque saranno ricostruiti non solo dagli eventi delle stagioni precedenti, ma anche dalla capacità della fanbase di valutare i fatti secondo una logica interna allo show che ormai conoscono alla perfezione. Mai come in questo caso si può parlare di un universo di riferimento complesso che ha vita a sé e può prescindere dalle regole cui qualunque altro show deve sottostare: come per lo show di Lynch, siamo di fronte a fan così catechizzati, un’autorevolezza così indiscussa, una solidità di ruolo all’interno della storia della televisione così forte da rendere The X-Files totalmente impermeabile ad ogni ansia da prestazione.
It’s an alternate reality. Fox doesn’t exist in coffee shops.

Proprio negli standalone troviamo anche la vera novità di questa undicesima stagione, ovvero la presenza di nuove firme nella writers’ room, come Kristen Cloke (moglie di Glenn Morgan) e Shannon Hamblin (ex assistente sempre di Morgan) che firmano il bellissimo “Rm9sbG93ZXJz”, oppure Benjamin Van Allen che da assistente nella maggior parte degli episodi della seconda stagione passa ad autore di “Familiar”, e infine Karen Nielsen che firma la curiosa storia di vampiri immersa nella pop culture contemporanea di “Nothing Lasts Forever”.
Ad essere obiettivi, non c’era una vera giustificazione per riportare in TVThe X-Files senza un progetto creativamente forte alla base, quindi il massimo che si poteva sperare era una serie di episodi divertenti e inaspettati, che dessero un senso al progetto “mercenario” quale è spesso, a conti fatti, un revival: questo è indubbiamente successo, e abbiamo avuto una serie di storie interessanti, brillanti, in un paio di casi straordinarie. Ma se l’obiettivo di Carter è quello di continuare a tenere in vita lo show anche senza Scully, sarà necessario fare ben di più.
Per il momento, possiamo dire che questo pazzo, pazzo revival ci ha regalato molto di più di quello che ci saremmo aspettati, e se fosse stato in grado di buttare via con più decisione quello che non funziona più, avrebbe senza dubbio sfiorato il capolavoro.
Voto stagione: 7 ½

Condivido ogni virgola! Sono X-files addicted, non mi stancherò mai di amarli e fra i pochi episodi di questa stagione numero undici spiccano su tutti Rm9sbG93ZXJz e Familiar: capolavori!
D’accordo su tutto di questa bella recensione;dopo un primo episodio desolante la stagione11 ha riservato delle belle sorprese,in particolare gli ep 7/”Rmetc…etc…ed 8/Familiar…voto alla stagione:7…