
In verità, con l’eccezione dell’esplosiva conclusione di “First Blood”, sia questo episodio che “Seeds” si sviluppano prevalentemente in un senso più attento ai singoli personaggi e alle proprie difficoltà. L’attenzione ad una narrativa generale sull’intera Gilead era stata messa da parte (ma d’altronde non ha mai formato il nucleo principale del racconto) in favore di uno sguardo più intimistico, ma sempre a fuoco, sulle diverse personalità in campo; ed è proprio il loro modo di interagire a creare il grosso del piacere della visione.
È dal rapporto June/Offred e Serena Joy che si possono capire moltissime cose sul trattamento che questa serie riesce a dare al mondo femminile. Nonostante, infatti, alcuni temi sul ruolo della donna siano più urlati e per questo, pur essendo molto efficaci, non altrettanto eleganti, ben più potenti sono i commenti che possono sorgere se al centro poniamo il rapporto tra le due donne, le loro dinamiche, la loro impossibile relazione. Ciò che funziona è che nessuno è davvero un puro carnefice, ciascuno è, a suo modo, anche un po’ una vittima. Ed in attesa di lanciare uno sguardo al passato di Aunt Lydia, che sarà indubbiamente interessante, con “First Blood” possiamo assistere ad alcuni momenti fondamentali della vita precedente di Serena, la sua personalissima partecipazione alla formazione di questo nuovo mondo e lo stallo nel quale si ritrova adesso. Andiamo per gradi.

Sull’altro versante, June è travolta dalla sensazione di aver perso, dall’incapacità di combattere dopo il clamoroso e doloroso fallimento che è stata la sua fuga, a cui non è nemmeno stato dato l’onore del riconoscimento. “Seeds” è tutto basato sul suo arrendersi temporaneo, su quel volersi lasciar andare ad un destino che si palesa attraverso le perdite di sangue di cui non comunica l’entità. Sarà solo il risvegliarsi in una sala d’ospedale, viva ed ancora incinta, che le permetterà di ritrovare se stessa e capire fino in fondo le proprie necessità. L’intero episodio sancisce la resurrezione di una donna che trova nella forza del proprio figlio non ancora nato quella forza di cui si era privata: la sua voglia di rialzarsi è ciò che le permette di affrontare ancora una volta Serena e tutte le falsità e le ipocrisie di cui la loro vita è ammantata. Nella loro danza d’avvicinamento e di improvviso rifiuto, June non può e non vuole lasciarle dimenticare che la priorità nella sua vita è Hannah, la figlia di cui ha perso le tracce e che l’altra donna ha già minacciato una volta. La speranza in una “decenza” che non arriva è il momento in cui la maschera di finzione e circuizione che le coinvolge deve esser fatta cadere definitivamente: June non ha alcuna intenzione di essere Offred fino in fondo.

Se l’arrivo di Eden funziona anche per generare nuove tensioni all’interno della casa, è con “First Blood” che lo sguardo si amplia sensibilmente e l’azione kamikaze finale è l’apripista a quello che sarà, ne siamo certi, un nuovo corso nel racconto futuro. A prescindere, infatti, dall’esito incerto e dalla conta dei morti, si tratta di un fallimento da parte del Comandante Waterford (difficile credere che sia morto), a partire da quello che doveva essere il suo grande successo, l’inizio forse di una nuova carriera. Il personaggio interpretato da Joseph Fiennes non è stato molto presente finora in questa seconda stagione, ma in questo episodio abbiamo intravisto che nulla è davvero cambiato: scalpita per più potere, è sedotto dalla forza delle donne, è succube dei propri istinti. Si tratta chiaramente di un uomo che ha sfruttato fino in fondo la situazione a proprio vantaggio ma che probabilmente non è in grado di farlo con la necessaria dedizione. E così questo nuovo colpo non potrà che aprire voragini anche all’interno della propria famiglia.

The Handmaid’s Tale poteva trasformarsi in un disastro, in questa stagione, ma finora si mantiene su ottimi livelli. Nonostante il ritmo sia talvolta imperfetto, la serie non arranca mai e riesce ancora a produrre momenti di grande bellezza. I suoi personaggi, poi, sono potenti e multisfaccettati, impossibili da chiudere in etichette prestabilite e semplici. Ciò che stupisce di questa scrittura è la sua vitalità che non cede mai al facile gusto per lo shock e il dolore: nonostante The Handmaid’s Tale sia difficilissimo da guardare, nondimeno è impossibile staccarsi dalla sua visione perché è in grado di toccare corde che poche altre serie riescono ad individuare.
Voto 2×05: 8 ½
Voto 2×06: 8

Salve!
Mi chiedo come fate a giudicare positivamente questa seconda stagione (almeno i primi 6 episodi, quelli che ho visto finora)?
A parte la fotografia (sempre sontuosa) non è rimasto nulla, e l’allontanamento del racconto dal materiale offerto dal libro si fa sentire tragicamente.
Personaggi stereotipati, fra i quali si riproducono le stesse dinamiche viste nella 1° stagione. Sembra quasi che gli scrittori dei singoli episodi (spero almeno siano diversi) nemmeno si siano parlati fra loro, tanto è repentino (e narrativamente insensato) il cambiamento comportamentale dei personaggi.
Elisabeth Moss appare sprecata, un po’ come avveniva per Claire Daines, straordinaria all’inizio di Homeland, ma poi, incastrata nella sua follia, finiva per diventare fastidiosa per l’insensatezza dei suoi comportamenti, vittima delle disastrose sceneggiatura delle stagioni successive.
Poco di nuovo aggiunto sul mondo di Gilead descritto nella prima stagione e quel poco di nuovo (ad esempio le ecomogli e la vita della classe medio/bassa, le colonie) appena accennato.
Flashback inutili, stancanti, anch’essi ripetitivi, che nulla aggiungono sulla caratterizzazione dei personaggi o sull’intreccio del racconto, ma che vengono messi lì per banali accostamenti con quanto avviene nel presente.
Insomma, come buttare alle ortiche quanto di buono fatto nella prima stagione e un materiale narrativo
potenzialmente esplosivo.