La coppia Pemberton-Shearsmith è tornata sugli schermi della BBC Two in occasione di Halloween (a dire il vero qualche sera prima) con uno speciale horror che non ha mancato di attirare l’attenzione sugli autori di Inside No. 9; e questo è accaduto non tanto per la storia raccontata – piuttosto classica nella sua trama – quanto per la costruzione, la messa in scena e soprattutto la trasmissione stessa sul secondo canale del servizio televisivo pubblico inglese.
Non è un mistero che la serialità di oggi sia molto interessata al concetto di interattività e di inclusione del pubblico, soprattutto grazie alla fruizione digitale che ha aperto molte più possibilità (anche solo teoriche) allo sviluppo di questa idea. Netflix, forse la più nota tra le piattaforme digitali, ha già portato avanti esperimenti di questo tipo con show per bambini (The Adventures of Puss in Boots, Buddy Thunderstruck) e ha da poco annunciato che una delle sue serie di punta avrà tra gli episodi della prossima stagione una puntata in cui si potrà “scegliere la propria avventura”: parliamo di Black Mirror, un’altra serie inglese ormai famosa in tutto il mondo e ironicamente citata proprio durante questo episodio.
Coinvolgere gli spettatori non è un’operazione monolitica e non obbligatoriamente bisogna muoversi solo nella direzione dell’interattività vera e propria, ma è singolare come lo speciale “Dead Line” sia stato pensato proprio in un periodo di grande fervore intorno a questo argomento. Non bisogna inoltre dimenticare che Steve Pemberton e Reece Shearsmith nascono come uomini di teatro, luogo in cui il coinvolgimento del pubblico ha una storia ben più lunga e consolidata in tutte le sue declinazioni – dalle forme più leggere, come il soliloquio o gli a-parte interpretati solo ed unicamente per gli spettatori, fino ad opere sperimentali che vedono nel pubblico un vero e proprio partecipante della performance.
A questo si aggiunge il fatto che la paura è un’emozione che molto più di altre subisce un incremento considerevole se si passa dalla semplice visione di un thriller/horror al sentirsene parte; ma in questo caso stiamo comunque parlando di uno show televisivo che, per quanto in questa occasione si dichiari in diretta, rimane comunque dietro ad uno schermo. Ecco quindi la vera domanda da porsi: come portare il pubblico ad essere davvero coinvolto, a provare della vera paura pur con la consapevolezza che ciò a cui sta assistendo non sia, evidentemente, un vero horror live?
Qui si trova la genialità della puntata, diretta da Barbara Wiltshire, alla sua prima prova con Inside No. 9. La prima parte di “Dead Line” non si occupa di spaventare lo spettatore, e infatti viene messo in scena l’inizio di una storia piuttosto classica (il ritrovamento di un cellulare che conduce alla scoperta di un omicidio); tuttavia, a pochissimi minuti dall’inizio della puntata, cominciano i primi problemi all’audio, che si ripetono fino alla comparsa della schermata della BBC che annuncia il tentativo di risoluzione di alcuni problemi tecnici. Queste scene, per nulla spaventose e anzi dalle conseguenze persino comiche (alcuni spettatori hanno cambiato canale, convinti si trattasse di problematiche reali, e come dare loro torto: BBC Two ha twittato le sue scuse in diretta, in un colpo di genio che non è rimasto isolato nel corso della puntata, come vedremo), hanno avuto in realtà la funzione di introdurre una sensazione di forte straniamento nel pubblico che, nel tentativo di capire cosa stesse davvero succedendo, si è reso molto più vulnerabile ai colpi di scena, alla tensione e dunque alla paura.
Si scopre abbastanza presto che tutto questo fa parte della puntata (l’apparizione del fantasma durante la replica di “A Quiet Night In” non lascia dubbi a riguardo), ma questo non diminuisce di una virgola il climax dell’episodio, che continua a salire non certo perché lo spettatore possa veramente credere a ciò cui sta assistendo, bensì perché lo svelamento della vera trama viene costruito alla perfezione. I continui problemi audiovisivi, il montaggio che salta da una trasmissione all’altra con intermezzi delle telecamere a circuito chiuso, non sono privi di senso, ma anzi costituiscono proprio la chiave per comprendere la storia: i fantasmi delle persone seppellite vicino ai Granada Studios si sono intrufolati all’interno degli apparati tecnici (“Technology makes them stronger”) e sono dunque loro a decidere cosa andrà in onda, avendo a disposizione le scene che stanno accadendo negli studi ma anche l’intero archivio della BBC.
Queste sequenze, alternate agli interventi dei due attori nel camerino, vanno a costruire una storia perfettamente in linea con Halloween – studi infestati dai fantasmi e prede di incendi, morti sospette, come quella di Alan, proprio negli stessi luoghi dove si trovano i due attori – e dunque di per sé non particolarmente originale, che però assurge ad un livello totalmente nuovo ed imprevedibile proprio perché il narratore, colui che decide cosa noi possiamo vedere e sapere, appartiene ad una realtà altra. Non serve credere a quello che vediamo per avere paura: questa arriva nel momento in cui siamo a disagio, quando non capiamo fino in fondo cosa sta accadendo e siamo, come in questo caso, completamente sottomessi all’imprevedibilità della visione. L’alternanza delle scene senza alcun preavviso trasgredisce qualunque regola del montaggio cui siamo abituati quando ci troviamo davanti alla puntata di una serie TV, portando così lo spettatore in un costante stato di agitazione.
La puntata è dunque caratterizzata da due anime: una più tradizionale nei contenuti e una più innovativa a livello formale. Ad esser messi in scena sono infatti i tipici tropi horror (la possessione demoniaca di Stephanie Cole e il suo suicidio, mandato in diretta ma non visto dai due; le presenze dei fantasmi che compaiono in diverse scene con conseguenti rumori sinistri; la stessa visione in soggettiva dal casco di Shearsmith, che porta ad identificarsi con lui e al contempo a non avere una visione stabile né particolarmente ampia) che vengono però inseriti all’interno di una cornice totalmente nuova. Lo spettatore si trova infatti nella condizione di dover interpretare il montaggio per capire il messaggio degli spiriti che hanno preso il controllo della narrazione, venendo coinvolto nella messinscena sin dall’inizio e anche grazie ai post su Twitter (quello della BBC, già menzionato, e quello di Shearsmith, davvero inviato, che chiede se lui e Pemberton siano in diretta).
“Dead Line” risulta quindi una costruzione a scatole cinesi: una storia classica (quella del cellulare) dentro una storia altrettanto classica (quella degli studi infestati dai fantasmi) dentro una narrazione che è però innovativa, divertente e al contempo spaventosa, dunque assolutamente adatta ad uno speciale di Halloween.
Il duo ha preso in giro un’intera nazione, con il più classico dei “trick or treat” in cui però non viene data la possibilità di scelta. Ciò che rimane da fare, con la morte dei due personaggi/attori a fine episodio, è dare una voce ai fantasmi e far spiegare loro perché abbiano deciso di prendersela proprio con Shearsmith e Pemberton: continuando quindi con le alterazioni di montaggio fin qui usate, solo alla fine vediamo una loro intervista in cui viene dichiarato che non credono assolutamente ai fantasmi, e in ultimo rivediamo la loro morte in “A Quiet Night In” ma ripetuta ossessivamente, per mandare un segnale ben preciso a chi non crede negli spiriti. Quale messaggio migliore per uno speciale di Halloween?
Non è facile portare avanti uno show come questo, che ha dimostrato in più di un’occasione sia le sue brillanti capacità che i suoi passi falsi. Tuttavia, davanti a puntate come questa, è impossibile non applaudire il genio e la creatività che ancora scorrono nelle vene di Steve Pemberton e Reece Shearsmith, capaci di usare il mezzo televisivo in modo intelligente per coinvolgere un pubblico ritenuto da loro altrettanto intelligente e in grado di stare allo scherzo, mettersi in gioco e provare un po’ di sana paura condivisa.
Voto: 8½