PEN15 – Stagione 1


PEN15 – Stagione 1Che posto ha l’adolescenza in televisione? Sicuramente uno scranno sempre più importante, che pian piano sta erodendo il dominio degli altri generi tentando di mettere in discussione l’egemonia dei crime (cosa buona e giusta, specie se, come spesso accade, si tratta di show innescati da donne brutalizzate). PEN15 arriva in apertura di 2019 accompagnato da alte aspettative, tutte confermate e superate da un’analisi dell’adolescenza fortemente empatica e caratterizzata da una sensibilità peculiare.

Come sottolineato in occasione della recensione del primo episodio, il cuore dell’operazione sta nella scelta delle due autrici, Maya Erskine e Anna Konkle, di interpretare le protagoniste, due ragazzine tredicenni alle prese con la seventh grade (la nostra terza media, più o meno). In questo modo PEN15 presenta nel corso dei suoi dieci episodi una vasta gamma di sfumature che aprono ad altrettante chiavi di lettura: c’è il lato autobiografico, perché le due attrici-autrici incarnano le versioni più giovani di loro stesse, gioie e traumi compresi; c’è il lato più sperimentale, perché questa soluzione consente di poter mettere in scena situazioni impossibili con interpreti minorenni; c’è la componente critica, caratterizzata dall’estrazione di particolari situazioni avvenute nel passato e dalla loro rinascita meta-teatrale sotto forma di “recita”, anche con l’obiettivo di analizzarle ex post, attraverso l’operazione del reenactment.
La scelta alla base del concept della serie prodotta anche dai Lonley Island rappresenta sulla carta un rischio significativo, perché su queste basi basta pochissimo per commettere errori imperdonabili, sia nella gestione del rapporto tra interpreti adulti e bambini, sia riguardo alla credibilità del racconto. Il coraggio delle autrici – secondo chi scrive e secondo la maggior parte della critica statunitense – ha pagato, soprattutto grazie al talento di Erskine e Konkle e in particolare alla loro capacità di immedesimarsi alla perfezione nelle adolescenti che furono, facendo dimenticare dopo qualche episodio il gap anagrafico e anzi riuscendo a dare un’eccezionale espressività ai personaggi proprio grazie alla consapevolezza con cui recitano le rispettive parti. Il rapporto costruito tra le protagoniste è il centro del discorso della serie, che episodio dopo episodio plana sulle principali difficoltà che si trova ad affrontare una femmina di tredici anni, integrando in maniera organica bullismo, conflitti genitori-figli, contraddizioni all’interno dei rapporti amicali, analisi del desiderio sentimental-sessuale, voglia di trasgressione e pericoli presi sottogamba dalla peculiare incoscienza di quell’età.

PEN15 – Stagione 1Il focus principale della serie, prima ancora che la rete di relazioni che caratterizza la middle-school americana, è rappresentato dall’intimità delle protagoniste, dalla loro progressiva scoperta del mondo, della sessualità (propria e altrui), delle inspiegabili contraddizioni dell’età adulta e della necessità di venire a patti con un mondo che sarà sempre meno perfetto.
A questo proposito il secondo e il terzo episodio si configurano come due facce della stessa medaglia, presentando in un primo caso la sfera che dal soggetto porta alla collettività, chiamando in causa questioni come la reputazione, la necessità di sembrare più grandi della propria età e il desidero (spesso immotivato) di raggiungere determinate tappe il più in fretta possibile. Quella della prima sigaretta è una metafora particolarmente riuscita, perché da una parte riflette un desiderio di riconoscimento sociale e dall’altra si configura proprio per questo come il primo elemento di rottura all’interno dell’inossidabile amicizia delle due protagoniste, perché causa di un allontanamento figlio più dell’inerzia che di reali ragioni, come Maya e Anna impareranno bene nel corso degli episodi.
Il terzo episodio invece è interamente chiuso all’interno dell’interiorità di Maya, perché completamente dedicato alla scoperta della masturbazione e al piacere tutto individuale di questo atto, soprattutto in un’età in cui gli ormoni sono dinamici come non mai. In una cultura in cui la visibilità della masturbazione è stata concessa quasi solo ai maschi (che sia in modo ironico, intimista e parodico), un episodio interamente dedicato a questo tema da una prospettiva femminile è decisamente liberatorio, soprattutto perché va a riempire un vuoto enorme attraverso una rappresentazione onesta, non idealizzata e per questo anche piena di quelle goffaggini che non mancano mai nel mondo reale. Erskine e Konkle mettono in scena perfettamente la dialettica tra desiderio e senso di colpa, puntando il dito su una società che castra la libido femminile e associa il piacere fisico al peccato; perfetta in questo senso la metafora del nonno moralizzatore, autorità patriarcale che terrorizza Maya ogni qual volta desidera darsi piacere.

In un’età in cui la reputazione ha un ruolo fondamentale, il riconoscimento esterno (che arrivi dalla famiglia, dagli amici o da altre figure che rappresentano l’autorità) può diventare una vera e propria ossessione, come mostrato in maniera emblematica dagli episodi 4 e 5. Nel primo caso è la musica ad essere usata come termine di paragone per definire gerarchicamente la bravura delle protagoniste, ma al contempo le autrici scelgono il momento dell’assolo per riflettere sulla possibilità di poter esprimere realmente il proprio io, tirando fuori qualità in genere nascoste, operazione possibile solo se scevra da qualsiasi blocco psicologico, come dimostrato dal surreale momento di Maya alle percussioni.
Nell’episodio successivo viene messa al centro la scoperta dagli effetti propria sensualità sugli altri. L’escamotage consiste nel furto di un tanga a una delle compagne di classe che permette alle protagoniste di conoscere il potere che hanno sullo sguardo e sul desiderio maschile, ma allo stesso tempo anche la pericolosità di una sessualizzazione così precoce. Il tanga è quell’oggetto magico perfetto sia per sentirsi donne nella propria cameretta (e qui parliamo di altre scene che non sarebbero state possibili con attrici di 13 anni), sia per sentirsi desiderate dall’esterno. Le autrici però, facendo fare ai personaggi un percorso di presa di coscienza che passa attraverso il senso di colpa per il furto e l’assunzione di responsabilità, infine, concludono il discorso con un tenero quanto imprescindibile messaggio:
– Um, do I look OK?
– Yeah. Do I?
– Yeah, but it’s what’s inside that counts, so…
– Oh, yeah, I almost forgot.

PEN15 – Stagione 1Nel cuore della stagione PEN15 affronta a viso aperto la questione razzismo, mettendo in scena quanto possa essere crudele anche a quell’età: utilizzando le Spice Girls come oggetto di culto di un’epoca per una precisa fascia anagrafica, Anna e Maya insieme alle altre amiche sono protagoniste di un teatro della crudeltà che vede la giovane nippo-americana essere violentemente discriminata (soprannominata the scary one) e addirittura messa a recitare la parte della schiava solo perché diversa da tutte le altre (che a differenza sua sono tutte bianche).
Si tratta di un segmento narrativo molto complesso perché una volta resasi conto dell’oppressione e della violenza subita dalla sua migliore amica Anna cerca di fare qualcosa, ma, non trovando ascolto nei vertici della scuola, decide di mettere in scena un episodio di razzismo per dimostrare a tutti le sue ragioni; tuttavia, così facendo utilizza la sua migliore amica come cavia, rendendola nuovamente vittima delle cattiverie altrui. È davvero commovente vedere con quale intensità e sincerità le due attrici, e in particolare Erskin, si calino nella parte, soprattutto considerando le esperienze vissute in prima persona e quindi anche la rievocazione di traumi sepolti nella loro memoria. Sarà ancora una volta l’amicizia a proteggerle dalla crudeltà che le circonda, soprattutto grazie a una sensibilità comune costruita a partire dalla fantasia (il finto combattimento) che le trasporta in un mondo magico e tutto loro.

Subito prima del finale, le autrici azzardano una riflessione sulla trasgressione che chiama in causa anche gli adulti, o meglio, che ragiona sulle conseguenze di alcune peculiarità dell’età adulta sulle ragazzine di quell’età. L’episodio 7 introduce, con un’esilarante sequenza incentrata sull’indimenticabile musica del modem 56K, l’arrivo di internet e la scoperta da parte delle protagoniste della messaggistica instantanea. Attraverso questa nuova medialità, che porta con sé un’esperienza relazionale del tutto inedita, le protagoniste si trovano di fronte a tentazioni sconosciute ma anche a rischi verso i quali non sono assolutamente pronte. La serie utilizza questo espediente per fare un discorso molto lucido sulla pedofilia, mettendo a fuoco con precisione e dovizia di particolari come da individui di quest’età non si possa pretendere alcuna assunzione di responsabilità, perché il turbinio di tentazioni è irresistibile e la maturità necessaria è ancora lontana. Erskine e Konkle ci dicono senza mezzi termini (e il disgusto che si prova nel vedere Maya alla ricerca dello sguardo complice di diversi signori al bowling è emblematico) quanto in questi casi, quelli che ruotano in maniera più o meno diretta attorno alla pedofilia e agli abusi sui minori, la responsabilità stia solo da una parte: quella degli adulti.

PEN15 – Stagione 1L’ottavo episodio affronta un classico trope del coming of age, ovvero quello del film a casa con gli amici, quello in cui si vedono insieme cose trasgressive (che si tratti di horror o film erotici) e nel buio della sala si spera che si facciano cose che altrimenti non si avrebbe il coraggio di fare. Le autrici rievocano sin nei minimi dettagli quell’atmosfera un po’ magica in cui sapevi che stava per concretizzarsi una delle tue “prime volte” e che in questo caso è il primo bacio di Anna. Il loro discorso è però molto più complesso di cosi, perché utilizzando Wild Things non solo riportano a galla un cult dell’epoca, ma ragionano anche sulle conseguenze dell’ipersessualizzazione femminile sulle giovani ragazze: nel momento in cui Anna vede le donne del film ritratte come semplici oggetti del desiderio del protagonista, si sente ella stessa una preda e si pente di aver baciato Brendan, sottolineando che da quel momento non riuscirà più guardarlo con gli occhi di prima.

Erskine e Konkle chiudono la riflessione e il cerchio riportando il discorso sull’amicizia tra le due protagoniste, mostrandole per un attimo sotto lo stesso tetto, come se fossero sorelle (grazie alla separazione dei genitori di Anna) e protagoniste di un montaggio musicale sulle note di Dreams dei Cranberries in cui emerge con chiarezza l’importanza della loro amicizia, lo speciale sapore di quelle piccole cose fatte insieme che mattoncino dopo mattoncino hanno contribuito all’edificazione di uno schermo magico che le protegge dal mondo esterno, metaforizzato in maniera perfetta dall’immagine di entrambe all’interno della stessa maglietta.
Vivere nella stessa casa significa però sperimentare sulla propria pelle i difetti l’una dell’altra e soprattutto fare i conti con i propri non detti e imparare a provare per la prima volta vera empatia, come dimostra il contrasto tra la dolcezza della madre di Maya nei confronti di un’Anna in preda alle ferite provocate dalla separazione dei genitori e la gelosia di Maya che non riesce (almeno in un primo momento) a capire le ragioni del double standard materno.
La serie si conclude in maniera dolcemente poetica lì dove era cominciata, sulle due ragazzine fianco a fianco a riflettere, ad alta voce e con il pensiero, sulla cosa più importante che hanno, la loro amicizia, mentre vivono con indecisione e un brivido di paura una delle loro tanta “prime volte”.

PEN15 – Stagione 1PEN15 è una serie perfettamente centrata, che rischia molto e ricava altrettanto da scelte coraggiose, forse non unanimemente apprezzate ma gestite alla perfezione, mostrando un significativo controllo della narrazione e un’efficacia comunicativa eccezionale grazie ad attrici che restituiscono in maniera perfetta tutte le inquietudini di quell’età.
Anna Konkle e Maya Erskine costruiscono un viaggio all’interno di un mondo dai contorni orrorifici in cui la paura ha un ruolo centrale, sia sotto forma di ansia di fare qualcosa per la prima volta sotto gli occhi di tutti, sia come inevitabile sentimento che si prova quando si vivono relazioni che spesso si basano sul terrore inflitto con totale e per questo crudelissima leggerezza.
L’amicizia tra le due protagoniste costituisce una reale scialuppa di salvataggio e la rappresentazione di questo rapporto prende spunto sia dal cinema di Todd Solondz, sia dalla sincerità fuori dagli schemi di Broad City, per poi percorrere un cammino originale e personale, trattando la fase della vita al centro del discorso con inedita serietà e con una sensibilità tutta personale, tutta femminile e in grado di suscitare particolare empatia.

Voto: 8½

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Informazioni su Attilio Palmieri

Di nascita (e fede) partenopea, si diploma nel 2007 con una tesina su Ecce Bombo e l'incomunicabilità, senza però alcun riferimento ad Alvaro Rissa. Alla fine dello stesso anno, sull'onda di una fervida passione per il cinema e una cronica cinefilia, si trasferisce a Torino per studiare al DAMS. La New Hollywood prima e la serialità americana poi caratterizzano la laurea triennale e magistrale. Attualmente dottorando all'Università di Bologna, cerca di far diventare un lavoro la sua dipendenza incurabile dalle serie televisive, soprattutto americane e britanniche. Pensa che, oggetti mediali a parte, il tè, il whisky e il Napoli siano le "cose per cui vale la pena vivere".

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