After Life – Quando non si parla di aldilà ma di “aldiquà” 4


After Life - Quando non si parla di aldilà ma di "aldiquà"L’elaborazione del lutto è un tema usato – e abusato – non solo dalla serialità televisiva, ma in generale da tutta la cultura, in particolare quella occidentale, perché è il topos letterario che più di ogni altro apre a sfide narrative potenzialmente infinite e soprattutto vicine a chiunque. La morte è, per forza di cose, l’unico grande mistero della nostra esistenza e la non conoscenza di ciò che c’è dopo la vita – after life, appunto – rappresenta per opposizione una fonte inesauribile di spunti creativi. 

Proprio la nostra ignoranza sull’argomento, unita a quel modo tutto occidentale di affrontare la morte come un tabù e il lutto come qualcosa di cui è bene non parlare troppo, permette da un punto di vista narrativo di elaborare strade diverse, che si avvicinino il più possibile ad una rappresentazione realistica di questo tipo di dolore e che siano al contempo originali e diverse da soluzioni già percorse.
Un esempio in questo senso è stata la serie di Facebook Sorry For Your Loss, in cui – in maniera molto simile ad After Life – viene indagato lo stato d’animo di chi perde una persona amata e in cui ad essere rappresentati troviamo, più che il dolore in quanto tale, la confusione, la perdita di punti di riferimento, lo smarrimento e il senso paradossale che prova chiunque rimanga in vita quando perde, per sempre, qualcuno che fino al giorno prima era lì e che ora, semplicemente ma inspiegabilmente, non c’è più.
Ma la serie Netflix di Ricky Gervais (ideatore, regista e attore dello show), pur nella brevità dei suoi primi sei episodi da mezz’ora, fa un passo ulteriore e va ad analizzare un momento ancora più ristretto, ancora più peculiare: After Life ci racconta infatti qualcosa di più specifico rispetto alla generale elaborazione del lutto e lo fa partendo proprio dal doppio significato del titolo, che rimanda sì alla traduzione corretta dell’aldilà, ma anche al senso etimologico del “dopo la vita”, che riguarda non tanto chi se ne va, bensì chi resta.

After Life - Quando non si parla di aldilà ma di "aldiquà"E la serie ci racconta proprio questo: il “dopo vita” di Tony, marito e persona di grande sensibilità, che dopo la morte della moglie Lisa perde completamente il senso della sua e della altrui esistenza, diventando un uomo del tutto privo di empatia e cinico perché si costringe a non provare più nulla per non sentire, troppo e tutto insieme, quel dolore insopportabile con cui non è ancora pronto a fare i conti. Quell’“after life” preso in esame con incredibile tatto e intelligenza emotiva da parte di Ricky Gervais non è semplicemente “la vita senza Lisa”, ma è un intervallo di tempo ancora più preciso che si trova tra la morte della persona amata e la ripresa anche solo dell’idea che possa esserci altra vita dopo quella vita. È un periodo in cui nulla ha più senso, in cui tutto appare ingiusto e privo di significato, in cui la rabbia per un mondo che continua ad andare avanti nonostante un dolore così grande prende il sopravvento fino a trasformare interamente il carattere della persona che sta vivendo quel lutto. Ed è così che troviamo Tony all’apertura della serie: si tratta di un uomo che non è “solo” in preda alla depressione, ma ad un nichilismo vero e proprio; un uomo le cui giornate sono scandite dai video lasciatigli dalla moglie quando era in fase terminale, unico appiglio al passato che gli è rimasto; ma soprattutto è un uomo che ha tentato di uccidersi proprio perché la sua unica ragione di vita è scomparsa, che è sopravvissuto perché ha un’unica responsabilità che lo tiene in vita (il cane che aveva regalato alla moglie) e per il quale ogni cosa, ogni giorno che arriva a seguito di questo evento è un “di più” il cui valore è per lui pari a poco più di zero.

After Life - Quando non si parla di aldilà ma di "aldiquà"Tony è un giornalista che lavora per il piccolo giornale locale del suo paese, “The Tambury Gazzette”, il cui direttore è proprio il fratello di Lisa, in una redazione costituita da personaggi caratterizzati nei minimi dettagli e nelle loro più folli stranezze – e del resto non possiamo dimenticare che è Gervais ad aver creato The Office, il cui remake americano da parte di Michael Schur ha avuto un successo planetario – con quello humour tipicamente british e quel cinismo caustico che caratterizzano gran parte della produzione di Gervais. Nell’arco di sei puntate osserviamo Tony vivere la sua vita tra la redazione – un universo a parte in cui ad arrivare in prima pagina sono notizie così bizzarre o al contrario senza alcuna attrattiva da renderle per assurdo esilaranti –, la casa di riposo in cui si trova suo padre (interpretato da David Bradley, Walder Frey in Game of Thrones) malato di Alzheimer e curato dall’infermiera Emma, le sedute di terapia con uno psicologo discutibile, il cimitero in cui va a trovare la moglie e dove conosce una signora vedova con cui nascerà un’amicizia profonda e sincera, e i suoi giri per il piccolo paese in cui abita, popolato di personaggi accuratamente descritti e che vanno dal realismo più sincero e brutale alla rappresentazione macchiettistica più strettamente al servizio della parte comica della serie – che tuttavia non rinuncia mai a mostrarci il lato più umano anche di questi personaggi, e non per forza nel senso buono del termine.

After Life - Quando non si parla di aldilà ma di "aldiquà"After Life nella sua prima stagione (la seconda verrà rilasciata su Netflix proprio questa settimana) si concentra quindi sulla primissima fase del lutto, una fase in cui per assurdo il lutto vero e proprio non è ancora iniziato: è un periodo in cui saltano tutte le norme conosciute fino a quel momento e in cui a dominare sono regole astratte e senza senso che scandiscono giornate nelle quali sopravvivere è l’obiettivo massimo, perché il dolore della perdita e l’incapacità di comprendere l’ineffabile che caratterizza il più grande mistero della vita si intersecano, creando un mix potenzialmente letale. After Life non si occupa di parlare di accettazione del lutto e nemmeno di ritrovare la gioia di vivere: ci racconta come sia possibile sopravvivere a quell’interregno che segue l’immediata morte di chi amiamo; come si affronta, rimanendo sani di mente, una cosa che se analizziamo con razionalità non può che farci impazzire; come ci si muove in un territorio da cui tutti siamo destinati a passare ma per cui non esiste un manuale di spiegazioni – non esistono consigli, regole, istruzioni per il periodo più difficile della nostra esistenza e che tutti prima o poi dovremo vivere: se non è paradossale questo, cosa lo è davvero?

After Life - Quando non si parla di aldilà ma di "aldiquà"E quindi torniamo al titolo, che proprio grazie alla sua doppia valenza inglese permette un’analisi più profonda: l’unico vero “after life” di cui dovremmo parlare non è l’aldilà, che nessuno conosce, ma l’“aldiquà” di chi rimane e quanto sia in grado di cambiarci per sempre, soprattutto in modo devastante appena veniamo investiti da un lutto di questa portata.
Il contrasto è reso evidente da ciò che vediamo e da ciò che ci viene raccontato: se nelle puntate osserviamo Tony comportarsi malissimo praticamente con chiunque (bambini, anziani, colleghi: nessuno viene risparmiato), dai video di Lisa scopriamo un Tony che facciamo davvero fatica ad immaginarci. Onesto, gentile, leale, divertente: un uomo pieno di voglia di vivere e soprattutto di amore per sua moglie, la sua anima gemella, la sua compagna di giochi e di scherzi. È in questa discrepanza che si trova tutta la delicatezza di Ricky Gervais, un uomo che sappiamo poter essere perfino brutale nella sua comicità ma che (come i veri comici di talento) possiede un’interiorità di un’umanità rara e che trapela non solo dalla scrittura di queste puntate, ma anche dalla regia con cui ci regala momenti di toccante sensibilità che appaiono quasi rubati – occhi lucidi per un breve istante, sguardi persi per lunghi momenti, una generale sensazione di routine priva di qualunque vitalità quando filtrata dagli occhi del protagonista.

After Life - Quando non si parla di aldilà ma di "aldiquà"Ciononostante, Gervais non perde occasione per farci ridere pur all’interno di quella che è una tragedia, ed è questo che ci mette costantemente a disagio: del resto è il compito di un comico quello di metterci sempre in una situazione non confortevole per poi farci rilasciare la tensione attraverso la risata, che è lì solo per precedere un altro momento di disagio. Non c’era probabilmente nessun altro modo per raccontare l’interregno del “dopo vita” nella sua più accecante brutalità se non questo, con questa alternanza tra momenti che sarebbero impossibili persino da descrivere – è il caso dell’amicizia di Tony con il fattorino del giornale, forse tra i segmenti più difficili a cui assistere –, altri in cui il cinismo con cui Tony tratta chiunque gli stia vicino strappa più di una risata (anche e soprattutto perché sono scene che attingono a piene mani dal repertorio comico di Gervais) e altri ancora in cui l’autore non rinuncia a manifestare le sue prese di posizione verso temi sociali importanti, come ad esempio il trattamento di deumanizzazione che la società riserva alle prostitute (in After Life uno dei personaggi fondamentali nel percorso di Tony è proprio Daphne/Roxy, sex worker locale) e l’importanza del legame tra esseri umani e animali (Ricky Gervais è vegetariano e attivista animalista).

After Life - Quando non si parla di aldilà ma di "aldiquà"Una menzione speciale va infine alle scelte musicali, che includono autori inglesi e americani (da Cat Stevens a Elton John, da Billy Joel a Bill Withers) e che riescono a catturare l’essenza di ogni scena, in particolare dei montaggi. Come ha dichiarato lo stesso Gervais in un’intervista a Smooth Radio, di solito il budget riservato alla musica è molto ridotto, mentre in questo caso ha avuto possibilità maggiori e quindi “ha scelto i più grandi artisti e le sue canzoni preferite di sempre”. Il fatto di poter metterle a budget sin da subito gli ha consentito di inserirle nello script ed è questo ciò che rende i montaggi particolarmente azzeccati ed emotivamente centrati: “I’ve tried to always do that, but usually I can’t afford so many. And I even scripted it, because we got it sorted out in advance. So the montages work with the tunes, and they’re really poignant tunes to what’s happening. So that was an absolute joy. I think that really brings it alive like nothing else.” (“Ho sempre cercato di farlo, ma di solito non posso permettermene così tante [di canzoni, ndr]. E le ho anche messe nello script, perché abbiamo potuto selezionarle in anticipo. Quindi i montaggi funzionano in accordo con le melodie, e sono canzoni molto toccanti rispetto a ciò che sta accadendo. Quindi è stata una vera gioia. Penso davvero che questo sia in grado di dare vita [alle scene, ndr] come nient’altro.”)

La seconda stagione, come dicevamo, partirà proprio questa settimana e presumibilmente si concentrerà su una nuova fase del lutto di Tony, che è con molta difficoltà sopravvissuto alla prima, folle parte del suo dolore e che ora dovrà aprirsi ad un nuovo capitolo della sua vita. Il consiglio è di recuperare subito la prima stagione, perché difficilmente troverete un connubio così perfetto tra dark comedy e british drama come quello offerto da Ricky Gervais, e di proseguire con gli altri sei episodi a partire dal 24 aprile.

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.


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4 commenti su “After Life – Quando non si parla di aldilà ma di “aldiquà”

  • Genio in bottiglia

    Come sempre grazie, Federica, per la segnalazione – sei una garanzia ormai. Un solo dubbio su quello che dici, relativo a sopravvivenza o accettazione del lutto. Io ho trovato che l’autore abbia espresso un suo modo di elaborare/accettare il lutto. La prima fase consiste proprio nel sopravvivere al lutto: Tony non lo fa, il protagonista sí. Lui ha voglia di vivere, e la rabbia che esprime deriva proprio dal fatto che non vuole morire.

     
    • Federica Barbera L'autore dell'articolo

      Ciao Genio, innanzitutto grazie! Non mi è molto chiaro il tuo commento, intanto quando dici “Tony non lo fa, il protagonista sì” dato che Tony è il protagonista! Per quanto riguarda il resto, se ho capito bene cosa scrivi, in realtà non è che lo dico io che lui arriva a questa prima fase del lutto in cui l’obiettivo è sopravvivere, lo dice proprio Tony nella chiusura della prima stagione quando parla col cognato. Se ti ricordi fa pure l’esempio del topo incastrato nella trappola, e il cognato ribadisce come abbia cercato a tutti i costi di mantenerlo in vita per farlo arrivare a questa prima consapevolezza di non voler davvero morire.
      Non so se quindi ho risposto bene alla questione che hai posto, se mi son persa qualcosa dimmi pure!

       
      • Genio in bottiglia

        Sí, mi riferivo a Tim 🙁
        Riguardo al resto, mi era parso che tu avessi inteso il sopravvivere come in contrapposizione con l’elaborare il lutto, mentre io l’ho visto come una prima fondamentale fase.
        Comunque davvero una bella serie, per ora.
        Grazie ancora.

         
        • Federica Barbera L'autore dell'articolo

          Nono, assolutamente! Parlo infatti di analisi di un “momento ancora più ristretto” dell’elaborazione del lutto, che per me in un certo senso la anticipa perché (parlo anche per mia esperienza personale) c’è una fase subito dopo il lutto in cui non si capisce per nulla la situazione, c’è una sorta di scollamento tra sé e la realtà e tutto sembra insensato, ma proprio a livello cerebrale. È un momento di perdita del sé che poi lentamente torna e da lì comincia, diciamo, l’elaborazione “canonica” del lutto, con tutte quelle che sono le fasi conosciute (se a quelle vogliamo riferirci). Quel periodo prima è chiaro che faccia parte dell’elaborazione del lutto, ma trovo che sia al contempo un piccolo mondo a parte, una sorta di limbo (che secondo la letteratura fa parte dell’aldilà, ma che appunto sappiamo essere un’entità a sé).
          Non so se sono riuscita a spiegarmi!
          Grazie a te per il chiarimento 😊