
Una delle principali critiche che sono state portate finora alla serie, oltre al suo indugiare in una rappresentazione della violenza che a tratti è sembrata un po’ gratuita, è la frustrante ripetitività della narrazione, che sembra percorrere in loop sempre lo stesso schema: June in una situazione di prigionia, June liberata, June che scappa, June che viene catturata di nuovo, June che torna in una condizione di prigionia; il tutto, senza che ci sia mai una reale evoluzione della storia o dei suoi personaggi.
Ora che finalmente questo schema sembrava essere stato spezzato per sempre in seguito agli eventi della terza stagione, ci approcciavamo a questa quarta stagione chiedendoci se finalmente gli autori avessero imparato la lezione e il plot fosse pronto finalmente ad andare in una direzione differente. La risposta è no. Sebbene con un twist finale interessante, questi primi tre episodi servono di nuovo per riportare il tutto alla situazione di partenza per l’ennesima volta, e viene davvero da chiedersi ormai che senso abbia continuare a portare avanti una serie che ha evidentemente esaurito le idee e le cose da dire.
Il primo episodio ci trascina nel bel mezzo della fuga delle ancelle, introducendoci non solo un nuovo setting, ma anche la realtà del movimento di ribellione del MayDay. E pur conservando i toni dark e cupi delle precendenti stagioni, sembra davvero una boccata d’aria fresca per uno show che iniziava a odorare di stantio. Ora che June è diventata non solo un nome ma una vera e propria eroina (tanto nel movimento di ribellione, quanto nel Canada stesso), l’episodio ci presenta quello che sarà probabilmente il tema principale della stagione: il conflitto tra la sete di vendetta personale e il senso di responsabilità verso le persone che si decide di proteggere.

Le conseguenze di questo twist prendono infatti vita nel successivo episodio, quando il piano vendicativo di June nei confronti dei comandanti porta la protagonista a trascurare le altre ancelle, compromettendo irrimediabilmente la loro fuga. È proprio qui, però, che crolla tutto ciò che di nuovo e interessante questo inizio di stagione aveva costruito, con un terzo episodio disastroso che torna di nuovo a proporci una tortura fine a se stessa, riportando tutto al punto di partenza.
La serie è stata spesso criticata per avere indugiato nella violenza fisica e psicologica senza spesso nessuna ragione narrativa. La terza puntata è proprio la summa di tutte le cose che in questa serie non vanno: un infinitamente lungo torture porn (tra l’altro pieno di violenze già viste e straviste in altre decine di film o serie tv), che rimastica dinamiche già ampiamente esplorate (June e Lydia, June e Nichole), una direzione registica autocompiaciuta di Elisabeth Moss, che preferisce ammorbarci per un’ora con i suoi primi piani piuttosto che dare uno sguardo personale alla puntata, e la decisione di riportare poi l’intera storia in una situazione di ennesima prigionia (seppure in un nuovo setting, come anticipato dall’unico interessante twist della puntata).
Il ripetersi ossessivo di queste dinamiche fa diventare quasi più interessante la parte di storia ambientata in Canada, che per certi versi costituisce un orizzonte narrativo ancora inesplorato. Il problema di questi segmenti è che gli autori lanciano storyline potenzialmente interessanti (la paternità di Luke, il complicato rapporto tra Moira e il bambino di Gilead Asher), ma poi decidono di rifugiarsi negli abusi di Gilead, o nel continuo tira e molla tra i due coniugi Rutherford, pensando siano quelli gli elementi di maggior presa sul proprio pubblico.

The Handmaid’s Tale parte con il piede giusto, ma poi fa due, tre, quattro passi indietro, tralasciando gli spunti più interessanti per tornare a insistere sugli aspetti più gore, la tortura psicologica e fisica, i primi piani di Elisabeth Moss con la sua recitazione eccessiva ormai quasi caricaturale, e una mancanza di idee che tradisce l’assenza di una precisa direzione narrativa. Gli autori dicono di avere otto stagioni già programmate, l’impressione è che la serie abbia bisogno ora di un punto di arrivo vicino che dia l’idea al suo pubblico che la serie si stia muovendo davvero da qualche parte.
Voto 4×01 “Pigs”: 7
Voto 4×02 “Nightshade”: 6
Voto 4×03 “The Crossing”: 3

Pienamente d’accordo con la recensione Diego. Vogliamo parlare della scena finale della terza puntata? Urlava “non sappiamo che farcene di tutti sti personaggi, ciuf ciuf arriva il treno”. L’unica cosa che mi consola è che la stagione ha “solo” 10 episodi e dovrebbe essere la penultima (dovrebbero poi continuare con uno spin-off tratto da un altro libro di Atwood).
Verissimo, il racconto che non si evolve e che procede un passo avanti e due indietro alimenta il nervosismo, ma paradossalmente nel terzo episodio (che fa urlare di rabbia) mi sembra di scorgere una flebile luce in fondo. L’idea di June in fuga senza più le altre ancelle, ma solo con la più imprevedibile (Ofwarren), m’intriga e ho anche la sensazione che Luke farà qualcosa di eclatante…