Squid Game – Il record di Netflix che racconta la lotta di classe coreana


Nata dalla penna di Hwang Dong-hyuk, laSquid Game - Il record di Netflix che racconta la lotta di classe coreana serie sud coreana Squid Game è diventata, in tempo record, la più guardata in assoluto di Netflix. Prima di lei, il primato era sostenuto da Bridgerton, la serie statunitense basata sui romanzi di Julia Quinn con 82 milioni di spettatori raggiunti in 28 giorni, mentre i “giochi” distopici coreani hanno raggiunto 111 milioni di visualizzazioni in meno di un mese. È infatti davvero difficile trovare qualcuno che non abbia visto o non abbia perlomeno sentito parlare dello show.

Mentre è sui nostri schermi e all’interno delle nostre conversazioni da poco più di un mese, però, il creatore ha affermato di aver lavorato alla sceneggiatura per diversi anni. Hwang Dong-hyu è un nome noto nel mondo del cinema coreano per aver scritto e diretto alcuni film come “My father” e “Dogani” (“Silenced” in Occidente); quest’ultimo diventò un successo al botteghino, attirando 4,7 milioni di spettatori. È quindi lecito dire che Squid Game non è la prima opera importante dell’artista, ma è sicuramente la più conosciuta. Inizialmente pensata come film, l’idea nasce come ‘un’autobiografia’ dello stesso Hwang, che afferma di aver dovuto sostenere in tenera età le forti disparità di classe presenti all’interno della Corea del Sud. La sceneggiatura finale di quello che diventerà il suo più grande successo, poi, ha una storia molto lunga. Diventa un progetto di serie nel 2008 e servono mesi per scrivere ogni puntata; il tema diventa ricorrente per lo scrittore perché proprio in quel periodo è sommerso di debiti, incapace di vendere lo show perché considerato “poco familiare e violento”. Lui stesso ha affermato a Radio Times che al tempo temeva che gli addetti ai lavori l’avrebbero trovata troppo astratta per essere commercializzata ad un pubblico più ampio. Ufficialmente completata, impiega infine cinque anni per essere accolta dal colosso Netflix, che nel 2019 investe per espandere la propria offerta di programmazione straniera. Solo per la Corea del Sud Netflix ha infatti stanziato 645 milioni di euro lanciando circa 80 prodotti fra serie TV e film, e ha annunciato l’intenzione di spendere altri 500 milioni di dollari  in contenuti originali di questo paese.

Squid Game - Il record di Netflix che racconta la lotta di classe coreanaLa trama vede come protagonista assoluto Seong Gi-hun (Lee Jung-jae), ex marito e padre con il vizio del gioco che per problemi economici è tornato a vivere con la madre, anziana e instancabile lavoratrice. Messo alle strette dai creditori, Seong finisce per essere l’ultimo dei 456 giocatori dello Squid Game – tradotto “Il gioco del calamaro” – che consiste in una serie di sfide basate sulla rielaborazione di giochi per bambini della cultura coreana. L’obiettivo è semplice, vincere 45,6 miliardi di won (circa 33 milioni di euro) e risolvere o meglio cambiare la propria vita; tuttavia il prezzo da pagare si scopre molto presto essere alto, perché perdere uno dei giochi significa perdere la vita. Nella sua stessa situazione ci sono Kang Sae-byeok (Jung Ho-yeon) con il numero 067, una truffatrice fuggita dalla Nord Corea; Cho Sang-woo (Cho Sang-woo) un suo amico d’infanzia che se n’era andato per diventare il capo di una società d’investimenti; Oh Il-nam, il giocatore numero 001 e un anziano affetto da un tumore cerebrale, e Abdul Ali, un immigrato pakistano che si aggiunge ai giochi per provvedere alla sua famiglia, una moglie e una figlia, sfinito dallo sfruttamento del suo datore di lavoro. Questi cinque personaggi si troveranno ad avere a che fare l’uno con l’altro e spesso anche a collaborare: insieme agli altri giocatori sono pedine portate avanti dai soldati con le tute rosse, che li controllano e si assicurano che i giochi vengano rispettati e portati a termine; questi ultimi, a loro volta, sono comandati dal Front Man, l’uomo con la maschera nera leader dello Squid Game. 

Squid Game - Il record di Netflix che racconta la lotta di classe coreanaI tasselli che singolarmente compongono questa serie non hanno nulla di particolarmente originale, si rifanno alle regole del capolavoro “Battle Royale” o al più vicino “Hunger Games”, ma ci raccontano con una precisione e un realismo disarmante uno spaccato imponente della società contemporanea sudcoreana, simile a quello fatto presente in “Parasite” – primo film vincitore per la Corea del Sud agli Oscar 2020. Nella serie vengono infatti affrontati temi spesso lontani dal mondo occidentale ma imponenti e pericolosi in quella orientale, come ad esempio la vendita degli organi utilizzata dal mercato nero come pagamento dei propri debiti e la dichiarazione di totale uguaglianza fra individui che – come spesso succede in una società in cui si parte con gli stessi doveri ma non con gli stessi privilegi – crea un tessuto con una spessa disparità fra ricchi e poveri. All’interno della narrazione e della messa in scena queste tematiche vengono riportate a volte grazie a personaggi specifici e altre volte utilizzando linee orizzontali che coinvolgono lo sviluppo della storia in generale. Nella serie i giochi sono sì mortali ma la via più crudele, quella più difficile, è in realtà quella della società esterna dove Seong Gi-hun e gli altri sono abbandonati a loro stessi; in questo panorama i soldi acquistano e rappresentano il ruolo del carnefice, sia che se ne abbia troppi che troppo pochi e il circolo vizioso appare come inevitabile.

Le nove puntate non hanno un ritmo spedito, come ci si aspetterebbe da un game show, ma lento, spesso scandito e incentrato sui personaggi, sulla lotta che affrontano per continuare a vivere, all’interno e soprattutto fuori dai giochi. Un fattore che ha reso questa storia così tanto apprezzata è l’accuratezza dei dettagli, che non si perdono mai in estetismi inutili ma anzi restano sempre tematici, aggiungendo uno spessore che forse non si riesce a notare ad un primo sguardo, ma che permettono ad una seconda visione di cogliere dettagli che arricchiscono la serie stessa.

Squid Game - Il record di Netflix che racconta la lotta di classe coreanaAl di là di un giudizio largamente positivo sulla struttura generale della serie – sorvolando su qualche difetto riscontrabile nella scrittura di alcuni personaggi e storyline secondarie, che nelle prime puntate sembrano avere una ragion d’essere più profonda e analizzata di quella che viene successivamente sviluppata –, il finale si pone in parziale antitesi con il resto a causa della gestione dei suoi personaggi principali. Il problema, infatti, non si colloca nella costruzione del finale in generale ma nella scrittura out of character che va a colpire uno dei protagonisti e quindi una delle colonne portanti della serie. Nonostante sia infatti oggetto di dibattito e quindi ci siano delle opinioni divisive a riguardo, è innegabile che in questo finale si percepisca una sorta di climax discendente, per cui tutta la tensione che era stata costruita per arrivarci si sgonfia, lasciandoci con un po’ d’amaro in bocca.

Al netto di ciò, i motivi per il quale consigliare questa serie tv sono numerosi e non resta difficile immaginare come abbia fatto a raggiungere un record così esteso. Squid Game conquista anche chi preferisce nettamente le produzioni cinematografiche a quelle seriali, distaccandosi dai suoi ‘rivali’ Bridgerton e La casa de Papel, per l’accuratezza e la bellezza di un prodotto studiato e perfezionato, ma mai pesante agli occhi di chi invece dell’arte della cinematografia non è amante. La pesantezza, in questo caso, risiede completamente nella tematica cruda e violenta, una violenza sempre necessaria e spesso rivelatrice.

 

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