Dear White People – Stagione 2


Dear White People – Stagione 2Com’era già successo nel caso di un altro acclamato prodotto originale Netflix, Stranger Things, la seconda annata di Dear White People fa apertamente della stagione che la precede un capitolo introduttivo e compie un felice lavoro di ampliamento ed approfondimento dell’universo narrativo e tematico che già ci aveva presentato. Una volta  scrollatasi di dosso tutte le preoccupazioni della scorsa annata relative all’impostazione del racconto, al rapporto con l’omonimo film da cui la serie si era sviluppata, ai toni da usare, all’introduzione dei personaggi, alla creazione di un universo narrativo convincente ed originale e via dicendo, la penna di Justin Simien guadagna in sicurezza e consapevolezza, si prende il suo tempo, non ha paura di soffermarsi più lungamente su alcune questioni o di lasciarne aperte altre.


Ritroviamo allora la Winchester University così come l’avevamo lasciata, con i personaggi che si accingono a fare i conti con la serie di eventi che aveva sconvolto il campus lo scorso anno: lo scandalo giornalistico, l’esplosione della protesta, la rottura fra Sam e Gabe, l’aggressione di Reggie da parte di un poliziotto razzista. I nostri protagonisti, in questa seconda stagione, si trovano a dover far fronte alle più classiche situazioni del racconto formativo (la morte di un genitore, la metabolizzazione di un trauma subito, il post-coming out, la gravidanza inaspettata – una menzione speciale al meraviglioso episodio dedicato al personaggio di Coco che la ritrae con una delicatezza e forza di carattere davvero rare –, il riavvicinamento di due innamorati dopo la rottura), situazioni che vengono, tutte, filtrate dalla questione razziale, vero punto di focalizzazione della serie. Ritrarre dei personaggi neri significa, infatti, ritrarre una cultura che viene fatta sentire ancora oggi come subalterna ad un’altra e costretta a definirsi sempre in opposizione ad un’oppressione. I toni che lo show prende sono, per forza di cose, argomentativi; l’intera serie potrebbe, anzi, sembrare un grande argument contro la discriminazione camuffato da racconto televisivo. Ma Dear White People non è solo questo. Ciò che ne fa uno degli show a tematica black più stimolanti in circolazione (insieme, senza dubbio, ad Atlanta di Donald Glover) è sicuramente la capacità di porre in modo così complesso e stratificato la questione razziale e la consapevolezza con cui, nel farlo, sfrutta tutto il potenziale del mezzo televisivo.

Dear White People – Stagione 2Se è vero che la struttura a episodi monoprospettici, vale a dire ad episodi che si concentrano di volta in volta su un personaggio particolare, potrebbe sembrare una diretta conseguenza delle intenzioni argomentative dello show, un escamotage per fare dello strumento televisivo l’arena del dibattito, è anche vero che i personaggi che escono dalla penna di Justin Simien non sono meri “casi dimostrativi” ma anche e soprattutto persone e corpi: hanno, tutti, caratteri, desideri e vissuti. In questo senso, la maggior parte delle volte (eccezion fatta, forse, per l’episodio dedicato a Joelle, la cui storia è parsa, in definitiva, più che altro un pretesto per introdurre una riflessione sul fenomeno Hotep), Dear White People riesce a trovare un equilibrio fra le due tendenze, riesce, cioè, a sviscerare in modo sorprendentemente acuto una questione che poteva sembrare “semplice” ai più e a sviluppare, in parallelo, personaggi personalissimi e onestissimi. In questa seconda stagione, in particolare, la serie si è dimostrata capace di appoggiarsi, invece di nasconderle, sulle proprie contraddizioni interne e strutturali per riuscire a dire qualcosa di più sul dibattito attuale: il personaggio di turno che sfonda la quarta parete alla fine di ogni episodio sembra quasi volerci ricordare, ulteriormente, che una persona non si riduce mai ad un’opinione o ad una posizione politica. Più realisticamente, ognuno dei protagonisti cresce, fa esperienza, cambia posizione sulle cose e comprende, man mano, il mondo in modo sempre più complesso.

L’anima citazionista e fortemente metanarrativa (apprezzabile, in questo senso, il dialogo fra Logan Browning e Tessa Thompson che interpretava Sam nella versione cinematografica) dello show gli permette, infatti, di instaurare senza difficoltà un dialogo aperto con l’attualità, di reinventarsi di capitolo in capitolo. La distinzione fra opinione e corpo di cui sopra si ricollega infatti ad un’altra distinzione fondamentale nel panorama politico contemporaneo, quella fra argomento razionale ed argomento emotivo. La situazione in cui si ritrova Sam, ad esempio, nell’episodio a lei dedicato, viene ritratta sottolineando tutta l’ambivalenza di un confronto in cui ragione e logica non giocano più una parte determinante: la figura del “Troll”, il dibattito all’epoca di internet e dei social network vedono slittare la conversazione su un altro piano, quello del sentimento. È sicuramente grazie a tutta una serie di riflessioni e attenzioni di questo tipo che Dear White People riesce a regalarci scene così dense e stimolanti come lo scambio fra Sam e Gabe nel “Chapter VIII” che è, allo stesso tempo, uno smascheramento del white savior complex di lui ed un onesto e delicato duetto sulla loro relazione di coppia.

Dear White People – Stagione 2Una nota particolare va, infine, riservata alla colonna sonora che, sempre distintiva ma mai superflua o eccessiva, alterna i motivi jazz delle composizioni di Kris Bowers, ai classici dell’hip hop come A Tribe Called Quest, ad alcuni dei nomi più importanti del panorama musicale black contemporaneo (dall’hip hop, al soul, al contemporary r&b) quali Future, Tyler, The Creator, Childish Gambino o BROCKHAMPTON.

Dear White People ha dimostrato, insomma, con questa seconda stagione, di avere l’intenzione di evolvere ed arricchire il proprio discorso senza paura, per farlo, di riflettere su se stessa, di reinventarsi o di proporre percorsi completamente nuovi. È il caso del plot-twist finale dove quella che finora era stata solo una voce narrante (un Giancarlo Esposito davvero perfetto nel ruolo) entra a far parte del racconto come personaggio attivo insieme ad un intreccio, quello sulle società segrete all’interno della Winchester University, che potrebbe rivelarsi davvero interessante anche, ma non solo, per un tipo di approfondimento più storico sulla questione razziale, che già nel corso di questa stagione, pur a piccole dosi, aveva trovato senza difficoltà la sua ragion d’essere.

Voto: 8+.

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Informazioni su Irene De Togni

Nata a Verona, ha studiato Filosofia a Padova e Teoria letteraria a Parigi. Non simpatizza per le persone che si prendono troppo sul serio ma le piacerebbe che le serie TV venissero prese un po’ più sul serio (e ora che ha usato due volte l’espressione “prendersi sul serio” non è più sicura di quello che significhi).

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