Dietland – Stagione 1 2


Dietland - Stagione 1L’arrivo di una serie come Dietland in questo periodo storico si preannunciava da subito come un appuntamento da non perdere; anche se il progetto si basava su un romanzo del 2015, era impossibile non pensare ai collegamenti che determinati temi – fat-shaming, percezione del proprio corpo, movimenti di stampo femminista, ruolo della donna sul posto di lavoro – avrebbero avuto con il nostro presente, in piena era #MeToo. È quindi con un po’ di delusione che si arriva alla fine di questa annata, in cui, a fronte di ottimi spunti su certi versanti, troviamo non poche problematiche, sia da un punto di vista narrativo che di prospettiva.

Chiariamo subito due cose importanti: è vero che la serie è tratta da un libro, e che dunque molte delle scelte relative alla storia sono imputabili più alla fonte d’origine che alla serie stessa. È tuttavia altrettanto vero che, davanti ad un materiale che ha il potenziale per risuonare in maniera fortemente costruttiva in un periodo come il nostro, non era impossibile pensare ad alcune modifiche che rendessero, ad esempio, più attuali certe questioni, le quali hanno invece subito il peso di essere un po’ datate, considerando la velocità con cui è cambiato l’approccio a determinati temi negli ultimi anni.
Non era impossibile farlo soprattutto pensando a chi è alla guida di questo progetto: Marti Noxon aveva infatti tutte le carte in regola – sia per il suo passato (basti pensare a Buffy The Vampire Slayer), sia per il suo presente (Sharp Objects) – per prendere quello che era il materiale di partenza, salvarne le parti più positive e modificarne altre, andando ad asciugare la trama laddove si faceva fin troppo tentacolare e ad apportare piccole ma significative modifiche che avrebbero reso questa stagione vincente in tempi come i nostri.

So many of us live with the idea that a thing, a person or a place will fix us but it never happens.

Partiamo quindi dalle sezioni più riuscite, che in buona sostanza possono racchiudersi in due grandi sottocategorie: il rapporto della protagonista con il suo corpo (influenzato dal mondo circostante) e la conseguente evoluzione nel corso della stagione, e la rappresentazione di modalità diverse con cui combattere il sistema patriarcale che ancora domina in moltissimi ambiti, come quello lavorativo e quello relazionale.
Dietland - Stagione 1Alicia “Plum” Kettle, interpretata da una eccellente e convincente Joy Nash, ci viene presentata a partire dal pilot come una donna incastrata in una routine di lavoro e di vita, ma soprattutto in una dicotomia lacerante che, oltre a Plum – la ghost-writer sovrappeso in lista per un by-pass gastrico –, presenta un’altra identità, quella di Alicia: la ragazza magra dentro di lei, quella a cui aspira, l’obiettivo da raggiungere per essere finalmente felice, rispettata e soprattutto non definita e caratterizzata solo dal suo peso. È tremendamente realistico osservarla mentre attraversa le sue giornate senza ingerire quasi nulla, mentre cucina le sue torte sapendo di non poterle nemmeno assaggiare; ma ciò che è ancora peggio è vedere come deve sopravvivere ogni giorno ai commenti degli altri, persone che conosce a lavoro ma anche sconosciuti che si sentono nella posizione di poter commentare, insultare, fissare una persona solo perché non risponde ai canoni corporei comunemente accettati.

Dietland - Stagione 1L’analisi di un fenomeno come quello del fat-shaming da parte delle persone comuni è probabilmente la parte in cui Dietland colpisce nel segno, soprattutto grazie ai momenti di soliloquio di Plum, in cui si porta avanti il suo percorso di presa d’atto del vero problema: il non sentirsi a proprio agio con se stessi è in realtà un riflesso della visione degli altri e degli impossibili criteri di valutazione corporea a cui siamo sottoposti tutti, ma in particolare coloro che considerano il raggiungimento di quegli standard come la chiave della felicità. In questo la stagione compie un viaggio forse un po’ troppo accelerato ma coerente, in grado di far uscire Plum dal circolo vizioso che trasforma il fat-shaming degli altri in fat-shaming riflesso su se stessa, per arrivare alla presa d’atto che non è quello ciò di cui ha bisogno; ma soprattutto, che non sarà raggiungendo l’obiettivo di essere la magra Alicia che verrà rispettata, perché nessuna donna, in fondo, lo è davvero.

Ed è qui che si introduce il discorso sul femminismo e sui modi con cui è possibile combattere certi schemi, talmente radicati nelle menti di uomini (e donne) da consentire il perpetuarsi di veri e propri atti di sessismo senza che nessuno se ne accorga. Come si risvegliano le menti delle masse, se vengono dati per assodati e accettati interi sistemi che si basano sulla discriminazione delle donne in quanto tali? Dietland ci presenta una duplice risposta, che divide in maniera abbastanza semplicistica ma tutto sommato esaustiva le due “soluzioni” possibili: da una parte quella violenta e di massa (Jennifer), dall’altra quella pacifica e che punta a salvare le donne una alla volta (Calliope House). Nessuno dei due sistemi è, ovviamente, perfetto: se nel primo caso il motivo è intuibile sin da subito a causa degli omicidi perpetrati dal gruppo, nel secondo la questione è più sottile. “Calliope House” ci viene presentata subito con il dubbio che possa trattarsi di una specie di setta, di qualcosa di pericoloso per cui bisogna guardarsi bene alle spalle; con l’andare delle puntate veniamo trascinati all’interno di quel punto di vista, nel modo con cui Verena Baptist cerca di rimediare agli errori di sua madre attraverso un lungo lavoro di terapia (e di shock-therapy) su singole persone, ed è solo quando siamo quasi completamente dalla sua parte che scopriamo che forse non è tutto così roseo.
Dietland - Stagione 1Il confronto tra Sana e Verena in “Bedwomb” fa emergere tutte le ombre che si erano accumulate nel corso delle puntate, soprattutto quelle legate al “mono-pensiero” instillato in modo subdolo da Verena, che dà sempre l’illusione alle ragazze di essere in controllo di quanto sta accadendo, ma che è in realtà molto più manipolatrice di quanto non sembri. Il fatto stesso che nel finale sia lei a denunciare Julia è un atto molto più stratificato di quello che si può pensare, come sottolinea il suo sorriso liberatorio: non si può pensare che non ci sia qualche responsabilità della stessa Verena nell’aver “innescato” qualcosa in Julia; eppure l’unico modo per disfarsi di quel fardello si trova proprio nel denunciare l’amica e prenderne le distanze in maniera netta, ristabilendo così il suo ruolo autoritario.
Emerge così come né Jennifer né Calliope House siano sistemi “giusti”, ma come entrambi abbiano al loro interno degli strumenti necessari per portare avanti la causa femminista: nessuno giustifica gli omicidi delle prime, ma in moltissimi ne condividono il Manifesto e soprattutto l’idea che per ribaltare lo status quo serva una rivoluzione; nessuno può sopportare troppo a lungo la tendenza accentratrice di Verena, ma è innegabile che il lavoro sulla riacquisizione della percezione di sé attraverso un processo di auto-aiuto sia fondamentale per ogni donna in difficoltà. È indubbio che, seppur con qualche momento di superficialità, Dietland sia riuscita a mostrare pregi e difetti di entrambi gli approcci.

Around here, you start looking like somebody’s grandmother… you’re out.

Nel tentativo di raccontare ogni singola sfumatura delle problematiche che ciascuna donna affronta nel corso della vita, Dietland si trova incastrata in uno stato di quasi perenne confusione, in cui, al moltiplicarsi delle tematiche trattate, corrisponde un aumento continuo delle sottotrame (troppe per soli dieci episodi) ma anche degli stili utilizzati – un esempio su tutti è “Y Not”, la puntata in cui Plum ha le allucinazioni, ma anche gli inserti cartooneschi, che hanno senso di esistere fino ad un certo punto, o i momenti in cui la donna immagina di parlare con Leeta. Questo è solo uno dei motivi per cui guardando Dietland si ha una continua sensazione di frustrazione: è una serie che tratta temi attuali, con una protagonista ben scritta e obiettivi necessari oltre che interessanti, quindi perché non conquista? Perché, con questo potenziale di base, finisce con l’essere una serie che “si lascia guardare” e non lo show rivoluzionario che poteva essere?

Dietland - Stagione 1La confusione e il “troppo che stroppia” sono di certo una spiegazione, ma non le uniche.
Possiamo dire, come accennato sopra, che Dietland sia una “serie che tratta temi attuali”, ma, se grattiamo la superficie di “show femminista in epoca #MeToo”, possiamo davvero dire che sia così attuale? Siamo sicuri che scegliere come “nemesi” culturale una rivista adolescenziale, con una rubrica di lettere all’editrice, sia qualcosa di centrato nel 2018? O che sia così scioccante pensare che dietro all’editrice ci sia una ghost-writer?
Un personaggio come Kitty Montgomery, seppur interpretato da una Julianna Margulies perfetta, non è un personaggio di per sé scritto male, ma semplicemente fuori dal tempo; di pochi anni, certo, ma ad oggi anche quei pochi anni contano – ed è qui, ad esempio, che si sarebbero potute apportare delle modifiche importanti rispetto al libro, che non avrebbero certo impedito di parlare di temi necessari, ma che avrebbero reso più contemporanea una serie semplicemente fuori dal suo tempo.
Il modo con cui Kitty si pone nei confronti di Plum è cattivo in un modo che ad oggi pare non avere più molto senso, al punto che in alcuni momenti sfiora persino la caricatura; ma il danno peggiore viene fatto proprio con quelle azioni che più di tutte avrebbero dovuto essere diverse.
Pensiamo a ciò che Kitty ha subito e subisce in ambito lavorativo nonostante sia una donna di potere; se c’era un settore su cui si poteva indagare molto di più ed essere davvero “sul pezzo” era quello dell’abuso sul luogo di lavoro, che invece si risolve in un modo che puzza di vecchio stile da ogni poro: Kitty prende informazioni su tutti i pezzi grossi della Austen Media – tutti uomini – e li ricatta per diventare CEO dell’azienda, in cambio del silenzio sulle loro azioni riprovevoli. Poco importa che alla fine decida di diventare un’alleata esterna di Jennifer affinché la minaccia nei confronti degli uomini di Austen Media non si perda: è e rimane una pessima scelta narrativa, vecchia e che non rende giustizia al nostro mondo, che, seppur lentamente, sta cominciando a cambiare per far sì che le donne parlino degli abusi subiti e non stiano più in silenzio, per nessun motivo.

Dietland - Stagione 1Per quello che riguarda gli aspetti negativi della serie, purtroppo vanno considerate anche alcune scelte narrative riguardo a Plum, soprattutto in relazione a Jennifer ma anche ad un livello più profondo. Partendo da quest’ultimo punto, anche se, come si è detto, il suo percorso personale è stato gestito con attenzione e discreta cura, la scelta di farle vivere uno stupro proprio quando si stava finalmente riappropriando di se stessa, in un lento ma costante processo di miglioramento, non può che far storcere il naso. Il fatto che per raccontare la storia di una donna si debba passare spesso attraverso la violenza e l’abuso – come se non ci fosse altro modo di farla evolvere o farle intraprendere scelte radicali – è riprovevole di per sé, ma lo è ancora di più in questo caso, in cui lo stupro diventa lo strumento per portare Plum una volta per tutte dalla parte di Jennifer.

E qui si inserisce la seconda problematica, ossia proprio il modo con cui la donna passa in soli dieci episodi ad essere una parte attiva del gruppo. Un minimo di sospensione dell’incredulità quando la protagonista di una serie finisce con l’essere inevitabilmente protagonista delle storyline più importanti è ovviamente sempre da tenere in considerazione, ma qui si raggiungono vette un po’ troppo in-credibili: il gruppo terroristico più ricercato d’America decide di selezionare come persona che scriva per loro una donna conosciuta per aver in sostanza smascherato Kitty Montgomery e la sua rubrica su Daisy Chain (cosa che, come già detto, non è esattamente considerabile come uno scandalo), aver fatto una intervista ed essere diventata vagamente nota per aver disegnato una immagine di sé sulla pubblicità di uno studio medico. Anche qui, se si fosse evitato di perdere tempo con troppe sottotrame e si fosse concentrata l’attenzione su questo percorso, invece di far compiere fin troppe svolte a Plum – quella artistica, che aveva un ottimo potenziale, è durata forse meno di una puntata nel complesso –, il suo avvicinamento a Jennifer avrebbe potuto essere più credibile.

Dietland - Stagione 1Così non è stato, e le cose non sono certo migliorate nel season finale: senza alcuna ragione plausibile lei (ultima arrivata) durante la fuga si ritrova nel gruppo di testa con Soledad, cosa che dà quindi per scontata una sua importanza in realtà mai dimostrata, visto che non ha attivamente fatto ancora nulla per il gruppo; al contempo, però, viene vessata anche qui per il suo peso, colpevole, in maniera piuttosto didascalica, di ostacolarla nella corsa e quindi di essere potenzialmente dannoso per tutte quante. Mettere Plum in una condizione perennemente svantaggiata (e per questo basterebbe anche solo nominare Dominic) è una forzatura che, lungi dal creare empatia nel pubblico, finisce col danneggiare anche tutto il buono che è stato costruito nella sua storia, rendendo eccessive e poco credibili molte delle sue svolte nella strada che la porta da persona ordinaria a partecipante di un gruppo terroristico.

È difficile quindi dare un giudizio unitario su Dietland, che, a fronte di pregi innegabili, si è persa nelle maglie di una narrazione confusa, nel tentativo di parlare di tutto e finendo col parlare di tante cose ma in modo spesso discutibile. Non ci sono dubbi riguardo ai nobili intenti che fanno da base a questo show, ma un po’ più di attenzione durante la trasposizione e un occhio più accorto rispetto ai legami col presente avrebbero di certo giovato all’intero progetto.

Voto: 6½

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.


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2 commenti su “Dietland – Stagione 1

  • Genio in bottiglia

    Serie divertente. Magari non perfetta, ma comunque godibile. Con il 33% di obesi ed il 33% di sovrappeso, negli USA, ho faticato a comprendere il fenomeno del “fat shaming” ma, magari aspettandomi di meno rispetto a te, gli avrei dato un voto in più. Nonostante, in vari momenti, abbia dovuto sospendere l’incredulità, per seguirla. Le tue recensioni sono comunque sempre da 9 😉

     
    • Federica Barbera L'autore dell'articolo

      Troppo buono! Grazie mille 😊 mi fa piacere perché questa recensione è stata meno facile di quanto possa sembrare, ho faticato per discernere i motivi per cui mi piaceva da quelli per cui sentivo un enorme distacco, e ci sono arrivata a seguito di ore di brainstorming con le altre mie due o tre identità XD
      Io credo molto semplicemente che se la stessa identica serie fosse uscita due, tre anni fa, sarebbe stata molto più apprezzabile. Certo, di sicuro comunque confusa, ma meno “vecchia” di come appare oggi. Dopo tutto quello che è successo nell’ultimo anno, non può che apparire, a mio avviso, fuori tempo massimo.

      Sul fat shaming, è vero che in America la percentuale di persone sovrappeso è molto alta, ma è anche vero che è proprio da lì, dall’immaginario americano che arrivano quegli standard impossibili da seguire. Sono incastrati in un dualismo potentissimo, che rende il fat-shaming un fenomeno molto diffuso nonostante le percentuali siano qui a dirci altre cose.