Treme – 3×10 Tipitina


Treme - 3x10 TipitinaSiamo alla fine. Come negli ultimi due anni la conclusione della serie della HBO provoca in chi la segue un’emozione a metà tra la voglia di riempire il vuoto andando a New Orleans e la sensazione di una realtà magica presente solo sullo schermo e nelle teste dei creatori e degli spettatori.

Se nella prima stagione la portata innovativa dello show ha dovuto fare i conti con la fisiologica necessità di trasmettere tale spiazzamento stilistico/narrativo in maniera graduale, senza peraltro perdere in efficacia e vitalità, dalla seconda stagione in poi tante questioni di natura strettamente contestuale hanno perso il loro coefficiente di necessità venendo in questo modo relativizzate e dando così spazio allo sprigionarsi della potenza narrativa di Treme. Questa terza stagione è poi l’emblema della messa a punto definitiva di modalità narrative dinamiche e cangianti, caratterizzate dalla costante relazione tra i numerosi personaggi che riempiono la serie e la città che calpestano e al contempo rappresentano. Mai come in questo caso la parola rappresentazione è stata così adeguata: i protagonisti di Treme sono dei veri e propri testimoni del tempo e dello spazio, pardigmatici con le loro reciproche relazioni e dicotomie di un presente, un passato e un futuro inscindibile da New Orleans, come questo season finale ribadisce in modo netto e definitivo.

Treme - 3x10 TipitinaNever give up

Con “Tipitina” si chiudono i percorsi di quattro personaggi chiave di questa terza stagione: Toni, Sophia, LP e Terry. Se a New Orleans nulla è solo ciò che appare, in Treme tale concetto è elevato all’ennesima potenza e i personaggi sono sempre e comunque anche delle funzioni narrative oltre che dei portatori di vite, personalità e visioni del mondo. In questo caso il suddetto gruppo è esemplificativo della lotta arcigna e impari del Bene contro il Male e fuor di metafora della tenacia con cui alcuni individui, armati di sano donchisciottismo si battono contro la raggelante e indifferenziata corruzione delle istituzioni, la cui collusione con la criminalità è ben lontana da essere esclusa. Il viandante LP, portatore di energia positiva anche per il suo essere “straniero” (in questo caso la metafora musicale è perfetta: il giovane reporter non si strappa le vesti all’ascolto del traditional jazz di New Orleans, bensì è un grande amante del metal), porta finalmente a conclusione la sua inchiesta, che, tra le altre cose, è di grande aiuto alla causa di Toni. Quest’ultima riesce finalmente a trovare un po’ luce in fondo al tunnel, barlume reso sempre più grande per merito della partnership con il reporter. Il raggiungimento della serenità le consente di liberare finalmente ciò che prova per Terry, con il quale ha condiviso una storia d’amore e lotta fino a quel momento mai veramente intrecciata. Tutto ciò con la benedizione degli innocenti occhi della giovane Sophia.

Treme - 3x10 TipitinaBack to the origins

In principio erano due coppie: Davis e Janette da un parte, Sonny e Annie dall’altra. Successivamente queste sono scoppiate e i personaggi hanno preso a vivere di vita propria, intessendo relazioni nuove e dando vita a quattro tra i percorsi più originali della serie. Fermiamoci un attimo su Sonny e Janette. Questo episodio finale lascia un boccone dolce e rassicurante rispetto a questi due personaggi, grazie ad un percorso di rinascita che li ha accomunati e portati sino all’epilogo. La donna è riuscita finalmente a realizzare il proprio sogno di diventare chef di un rinomatissimo ristorante (seppur con l’aiuto a volte ricattatorio di un investitore), ma soprattutto l’ha fatto nella sua città e non nell’alienante New York dove pure non si era trovata male. Quanto a Sonny, il suo processo trasformativo è ancora più radicale e, passando attraverso una ricaduta nel tunnel della droga e della dissoluzione morale, riesce a trovare la strada della redenzione attraverso l’amore per una giovane vietnamita e la sua famiglia che lo spingerà sino al matrimonio. Ciò che però più accomuna Sonny e Janette è il fatto di essere riusciti a trovare la via giusta anche e soprattutto grazie alla scelta di rimanere a New Orleans, città che in questo modo acquista un ruolo indiscutibilmente salvifico.

Treme - 3x10 TipitinaSooner or Later One of Us Must Know

Per gli altri due vertici di questo ipotetico quadrangolo lo scenario è notevolmente più sfumato. Sin dalla scorsa stagione la coppia Annie/Davis ha rappresentato la massima rappresentazione di che cos’è l’amore in televisione e nello specifico in Treme. La dicotomia attraverso la quale filtrare la loro relazione, ora che la cronologia possiede anche un suo punto terminale, è quella che pone la realizzazione personale e quella sentimentale allo specchio, consentendo l’emersione di significati profondi dall’incrocio di due personalità così particolari. In origine Annie e Davis hanno trovato enorme compatibilità perché bisognosi di aria pulita dopo le rispettive relazioni precedenti che li avevano avvelenati. Successivamente la sintonia si è trasformata in amore, fatto di gesti di rara dolcezza e consolidato dalla volontà di entrambi di realizzare i propri sogni musicali. Il tremendo contrappasso del finale di stagione è di quelli più dolorosi. Nel mostrare la brillante realizzazione di entrambi, l’approdo a quell’obiettivo artistico (e nel caso di Davis anche politico), da tanto tempo desiderato, presenta anche l’insidacabilità di un sentimento ormai terminato. In questo caso la focalizzazione su Davis da parte degli autori è palese e la sua sofferenza traspare in ogni suo sguardo, in ogni inquadratura che lo vede protagonista, squarciando così il cuore di chi nei suoi occhi non può che leggere l’universalità della perdita, l’irreversibilità di un sogno svanito.

Treme - 3x10 TipitinaRunning through the music

Treme ci lascia con una cavalcata finale di oltre venti minuti, una lunghissima sequenza dominata dal Jazz Festival e capace di raccogliere tutte le storie, tutte le vite e tutte le differenti umanità del microcosmo della Lousiana. C’è LaDonna che, dopo aver aperto l’episodio nel suo Gigi’s bruciato, può mostrare un sorriso carico di gioia ed energia, tenace e grintosa come la città che ama e incarna. C’è Sonny che con la sua dolce metà può finalmente condividere il mondo che ama senza imbarazzi e problemi di sorta. C’è Antoine che, suonando con Delmond, riesce finalmente a fare ciò che vuole e non solo ciò che è giusto. C’è John Butte, autore della sigla della serie e musicista di New Orleans, che canta una struggente canzone d’amore con un’intensità senza precedenti, una serenata dedicata ai personaggi della serie e in seconda istanza al pubblico che li guarda e li ama.

Più di ogni altra cosa però c’è Albert “The Big Chief” Lambreaux, probabilmente il personaggio maggiormente rappresentativo di una certa New Orleans, ormai senza capelli e alle prese con la chemioterapia, malato come la sua città e come lei inossidabile. Un uomo i cui sorrisi riescono ad essere ancora i più vivi, i più commoventi, nonostante il presagio di morte che porta con sé. Non è un caso se la cavalcata musicale finale è innescata dal lettore di mp3 nelle sue orecchie e che tutto ciò a cui assistiamo negli ultimi minuti può leggersi anche come una sua proiezione, un suo desiderio, una sua immaginazione: Albert è in questo senso il demiurgo dell’opera, colui che inietta lo spirito generativo, la voglia di vivere al massimo la propria esistenza proprio a causa della sua precarietà e finitezza. Albert è New Orleans.

Potrebbe finire tutto qui, ma è solo un arrivederci. La prossima stagione sarà quella conclusiva, in formato ridotto, una sorta di appendice, un regalo ai fan e alla storiografia futura da parte di una serie inimitabile.

Voto episodio: 10

Voto stagione: 9

Condividi l'articolo
 

Informazioni su Attilio Palmieri

Di nascita (e fede) partenopea, si diploma nel 2007 con una tesina su Ecce Bombo e l'incomunicabilità, senza però alcun riferimento ad Alvaro Rissa. Alla fine dello stesso anno, sull'onda di una fervida passione per il cinema e una cronica cinefilia, si trasferisce a Torino per studiare al DAMS. La New Hollywood prima e la serialità americana poi caratterizzano la laurea triennale e magistrale. Attualmente dottorando all'Università di Bologna, cerca di far diventare un lavoro la sua dipendenza incurabile dalle serie televisive, soprattutto americane e britanniche. Pensa che, oggetti mediali a parte, il tè, il whisky e il Napoli siano le "cose per cui vale la pena vivere".

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.