Quando si costruisce un nuovo palazzo a partire dalle fondamenta di quello precedente occorre saper innovare senza tradire, sull’onda di un instabile equilibrio capace di indirizzare il risultato in mille direzioni diverse. Better Call Saul pare muoversi proprio all’interno di questo filo sottile: l’eco di Breaking Bad – ancora percettibile – comincia a modularsi intorno ad una cifra stilistica autonoma.
In prima analisi, questo processo si configura attraverso una dilatazione temporale non del tutto lineare: l’ombra del futuro condiziona la ricezione del presente, a sua volta complicato da frammenti di un passato che si staglia sulla narrazione come possibile elemento unificante. La messa in scena di una dimensione temporale gestita su più livelli è la base su cui si poggia un meticoloso lavoro di caratterizzazione che non coinvolge soltanto i personaggi, ma anche i luoghi e le storie. Questi primi episodi si dilatano infatti all’interno di un processo definitorio che assume talvolta un carattere introduttivo, approfondendo gli attanti coinvolti nel tentativo di conferirgli una particolare specificità. “Hero”, da questo punto di vista, rappresenta una sosta importante: le trame orizzontali tirate in ballo finora – i Kettleman e Nacho – subiscono un arresto diegetico a favore dell’approfondimento del personaggio di Saul/James, vero centro propulsore dell’azione. Ogni carattere entra nell’economia del racconto solo in funzione definitoria del futuro Saul, che comincia a dotarsi di elementi qualificanti una personalità molto più stratificata rispetto a quella recepita ed archiviata con Breaking Bad.
“S’all good, man”
Essere già a conoscenza della meta che si andrà a raggiungere pone come obbligo narrativo quello di variare e articolare il “viaggio” attraverso un intreccio capace di generare imprevedibili conseguenze. Il tragitto è ancora lungo, ma in questi primi episodi lo show mostra già di aver compreso tale necessità: la caratterizzazione di McGill sgorga direttamente da una particolare articolazione narrativa degli eventi, divenendo il reale fulcro tematico dell’episodio. La struttura dell’intreccio del flashback si ripete pedissequamente nell’azione eroica di James con una naturale consequenzialità che riesce a chiarire uno dei punti cardine del personaggio: l’ingenuità falsata, esibita nelle due truffe, trae la sua efficacia da quella spinta positiva che pervade la vita di McGill senza però riuscire a prendere il sopravvento. Rispetto al suo celebre antecedente, Saul non sembra avere un arco di trasformazione che rompe un’esistenza tacita e accorta per finire in un contesto peggiore rispetto a quello originario. Qui siamo di fronte ad un procedimento quasi inverso: è la parte corrotta che si cerca di eliminare senza successo. Nell’intrecciarsi di presente (la truffa dell’eroe) e passato (il traffico dei falsi rolex), narrati attraverso una costruzione diegetica simile, si condensa la linea programmatica dello show: l’imponderabile deriva di un’endemica tendenza a falsare gli eventi in modo da ottenere il maggiore vantaggio possibile.
Upon this rock, I will build my church
Nella sottile ironia con cui si dipana lo scontro con Hamlin si racchiude un altro elemento importante su cui si stratifica la caratterizzazione di James McGill: il ferreo attaccamento all’utilizzo del proprio nome. L’assetto espositivo dell’episodio gioca molto su questo elemento, forte della consapevolezza che i più sono già a conoscenza di come tale attaccamento finirà con il cambio in Goodman. La battuta – S’all good, man – esibita nel flashback distoglie l’attenzione dal fatto che il nome “truffaldino” di James sia in effetti proprio Saul, dando un ulteriore spunto sul metaforico significato che potrebbe celarsi dietro il cambio di nome: l’identità posticcia con cui il nostro protagonista toccherà l’apice può certamente essere nata come una sorta di mantra con cui rassicurare i clienti, ma può anche ergersi a simbolo di un forte legame con quel passato a Cicero in cui, fingendo di essere ciò che vorrebbe, James raggiunge l’essenza del suo vero io.
All’importanza del “nome” si lega anche l’esigenza di emergere come avvocato, di volersi staccare di dosso quell’etichetta con cui i Kettleman l’hanno subito inquadrato: il classico difensore delle persone colpevoli. Da qui parte l’edificazione di un brand che, come sottolinea Kim, è invece una dichiarazione di guerra troppo estesa nel bisogno di avere una rivalsa personale. Ancora una volta, ogni tentativo con cui James cerca di elevarsi finisce per allontanarlo sempre di più dal proposito originario: la pietra su cui edificherà la sua chiesa è il frutto di una corruzione, e la lotta contro Hamlin è lo spunto attraverso cui diventare un eroe con l’inganno. Jimmy è come teso a doppio filo tra ciò che gli viene naturale e ciò che invece vorrebbe far accadere: la scena con cui crea una giustificazione professionale per il denaro dei Kettleman è quasi l’esplicitazione di un desiderio forte quanto la volontà di poter esibire con orgoglio il suo nome. Il fatto che la maggior parte degli spettatori sappia già come entrambi i desideri verranno disattesi carica il tutto di un’ironia così tagliente da risultare un efficace stilema espositivo attraverso cui consolidare quella necessaria spinta all’autonomia rispetto allo “scomodo” materiale di partenza.
It’s just showmanship, Chuck.
Tra tutti i personaggi entrati in contatto con McGill, Chuck è certamente quello più interessante: fratello e mentore, ma ancora di più unica vera fonte di quella carica positiva a cui James non riesce a cedere. Perso nelle sue inquietanti fobie, McGill senior conserva una dose di incoraggiamento per il più piccolo la cui veemenza è spesso mista alla paura di nutrire vane speranze. Infatti, James teme lo sguardo intimidatorio del fratello, così come quella sua lucida capacità di riuscire sempre a riconoscere nelle sue azioni l’emergere di quel “Jimmy lo scivolone” che batteva cassa sulla pericolosità del ghiaccio di Cicero. Chuck è l’esempio che Jimmy non riesce a seguire, è l’essenza di quel nome da cui non vuole separarsi, ma soprattutto è la vera e propria personificazione di quell’istinto alla correttezza che schiera James contro Saul. Conosciamo già il nome del vincitore, ma il percorso fatto fin qui riesce a creare quel filo di suspense per come si articolerà la battaglia.
In definitiva, “Hero” è un episodio di transizione: un altro elemento atto a comporre una sorta di mosaico illustrativo della specifica autonomia dello show. Per quanto si cominci a sentire la mancanza di una solida trama orizzontale, il grado di caratterizzazione del protagonista, messo a punto nella puntata, crea un punto di ripristino da cui poter iniziare a ingranare la marcia.
Voto: 7 ½
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Finalmente la recensione 🙂
“You’re the kind of lawyer guilty people hire”: parole durissime, che probabilmente determineranno l’intero futuro di Saul. Lui
vorrebbe anche restare nei confini dell’onesta’ e della legalita’ (simboleggiate dal fratello Chuck), ma la sua integrita’ morale viene messa cosi’ a dura prova che alla fine e’ “costretto” a piegarsi, anche se facendo un passo alla volta e suo malgrado (mentre Walter White, oppresso dal cancro, prende gia’ nel pilot una decisione radicale senza guardarsi troppo indietro, varcando fin da subito il punto di non ritorno).
D’altronde la vita non ha ancora logorato Jimmy come aveva logorato Walt, ma di certo lo mette cosi’ alle strette al punto di fargli prendere decisioni (per quanto consapevoli) tanto discutibili quanto fruttuose (la mazzetta, il publicity stunt).
Nascondere il giornale al fratello Chuck e’ un segno di vergogna e pudore non indifferente, caratteristiche decisamente inedite per il Saul che conoscevamo. Molto interessante scoprire pian piano questo personaggio.
P.S. La foto in quel cartellone e’ orrenda xD , ma dovrebbe rappresentare Jimmy/Saul? Lol…
Episodio diciamo più “debole” rispetto ai primi tre ma che fa ancora il suo lavoro egregio di costruzione delle fondamenta dello show (cosa necessaria al fine di poter “iniziare a ingranare la marcia”); la qualità comunque rimane altissima e la serie si segue che è un vero piacere.
Debole o no questo episodio fila liscio come sempre, i 50 minuti volano e nonostante tutti conosciamo Saul alla perfezione o almeno pensiamo, in questo episodio lui riesce a fregarci ben 2 volte prima nel flashback iniziale e poi nella scena del “salvataggio” eroico. L’approfondimento del protagonista ne esce consolidato, Chuck viene destabilizzato nel finale, Hamlin sembra ormai irrimediabilmente accecato dalla rabbia verso il futuro goodman e le dinamiche accessorie restano sullo sfondo ma non si arrestano a mero abbellimento della trama o del minutaggio. Direi bene, o forse benissimo.