A pochi mesi dalla conclusione della serie madre, The Good Wife, il mondo legal-drama creato dai coniugi King torna con The Good Fight, spin-off che sin dal nome si propone due obiettivi apparentemente opposti: cambiare tutto e non cambiare nulla.
.
Per lungo tempo, e ancora durante la trasmissione dello show che ha creato il personaggio di Alicia Florrick, si è parlato di diverse idee per degli spin-off; e se per molte altre serie del passato questo passaggio si è rivelato un tentativo, più o meno riuscito, di cavalcare la cresta dell’onda quando si aveva ancora successo, in questo nuovo progetto si parte da presupposti diversi: non si tratta infatti di un personaggio che crea un mondo a parte, ma della quasi totalità di quel mondo che va avanti senza Alicia.
E infatti, come si diceva in apertura, è già il titolo a spiegarci gran parte di quello che andremo a vedere: sparisce la “wife” della storica serie, e del resto non poteva essere altrimenti, ma permane la struttura del nome, a ricordare che togliendo Alicia lo show rimane comunque dotato di caratteristiche sue precipue, che ne hanno segnato il corso degli anni e che hanno fatto di The Good Wife un caso emblematico anche come nuovo tipo di legal drama.
Se la serie madre è sempre stata incentrata, per dirla con le parole dei coniugi King – autori di entrambi gli show e qui con Phil Alden Robinson –, sulla “education of Alicia Florrick”, ora che questo percorso è concluso è possibile accantonarlo e riservare quelle che sono le doti universalmente note dei due autori verso altri lidi, mantenendo un legame ma cambiando in modo deciso il mood del racconto.
And people I thought were saints… they, um, they weren’t.
La cosa più importante, nonché la più delicata, per il pilot di uno spin-off è mettere in piedi un progetto che sia in grado di attirare nuovo pubblico, ma che al contempo non rinunci ai collegamenti con la serie madre, che – soprattutto in casi come questo – sarebbe sciocco trattare in modo superficiale. The Good Fight è un fulgido esempio di come questa cosa sia possibile, soprattutto perché non sono pochi i personaggi del cast originale ad essere stati inseriti in questo nuovo racconto. A compensare l’assenza della Florrick troviamo infatti ben tre protagoniste: Diane Lockhart, storico e fondamentale personaggio della serie precedente, nonché centro della narrazione in questa; Lucca Quinn, inserita nell’ultima stagione di The Good Wife come pretesto per sostituire la vecchia amica di Alicia (Kalinda), ma rivelatasi poi un ottimo acquisto sul lungo termine; e infine Maia Rindell (Rose Leslie, Game of Thrones), figlioccia di Diane e soprattutto figlia di una coppia che getterà le basi per la trama orizzontale della stagione.
Anche in questa serie infatti troviamo una struttura simile a quella di The Good Wife: qui, alla vicenda privata e ben lontana dalla risoluzione che coinvolge Diane e Maia, si sovrappongono i casi legali di puntata, che vanno a toccare temi (la violenza della polizia in “Inauguration”, il maltrattamento dei dipendenti in “First Week”) apparentemente semplici, ma con un occhio sempre puntato a questioni tutt’altro che banali. Chi arriva a The Good Fight con sette anni di casi sulle spalle sa benissimo che possiamo chiedere molto di più, ma le premesse per un buon lavoro sotto il profilo legale ci sono tutte.
I riferimenti alla serie madre non si fermano qui e passano attraverso personaggi ricorrenti (il giudice Abernathy, un Denis O’Hare sempre meraviglioso, una foto di Josh Charles, indimenticato Will Gardner), pedine fondamentali nella costruzione della storia (David Lee e il suo fastidio per l’umanità, per dirne uno), ma anche attraverso frasi, riferimenti, accenni al passato che sono sufficienti allo spettatore di vecchia data per ricollegarsi ai personaggi, ma non troppo invadenti da rappresentare un limite per chi dovesse approcciarsi a questa serie senza aver visto l’altra.
Ad esempio, non è chiaramente un caso che la serie inizi con l’arrivo di Maia al suo primo giorno di lavoro e che ben presto la sua “fama” la metta in una condizione di profonda difficoltà: e tuttavia il parallelo viene sottolineato perfettamente proprio da un vecchio personaggio, Lucca, che pur senza nominare mai Alicia rende questo paragone qualcosa di più di una mera “operazione ricordo”.
E lo stesso si può dire di quel travolgente inizio, in cui una Diane attonita ascolta il discorso di insediamento di Trump (pare che i King abbiano dovuto modificare più di una scena a seguito delle elezioni) e la cosa riesce ad avere senso anche se non si conosce il passato della donna. Perché ciò a cui assistiamo – e questo è uno dei più grandi pregi di The Good Fight – è lo sgretolamento della vita di una protagonista che è oltre i 60 anni, in un’epoca televisiva in cui una cosa del genere non si vede in giro con grande frequenza; una persona che anche ad una prima occhiata appare come una donna caratterizzata da forti idee, e che se si ritrova a decidere di andare in pensione per ritirarsi in una casa in Francia ha le sue più che valide motivazioni – tra cui, appunto, l’idea che in quest’epoca non sia più lei a dover combattere le giuste battaglie.
Le cose ovviamente prenderanno un’altra piega, come accennato prima, e nell’arco di pochissimo tempo le tre protagoniste si troveranno dalla stessa parte della barricata, per affrontare – ognuna a modo suo – le sfide giornaliere della loro vita professionale (ed è interessante come siano in tre fasi molto diverse della carriera) e quelle della vita privata, che si configura come molto più complicata di quanto possa sembrare.
You could be… our diversity hire.
I fattori positivi legati a stretto filo alla serie sono più d’uno. Innanzitutto quello di poter trattare in modo diverso alcune tematiche, partendo dal fatto che sono passati molti anni dal pilot di The Good Wife e che certi temi sono diventati ancor più importanti con il passare del tempo. Se già allora, infatti, la questione delle opportunità di lavoro tra bianchi e afro-americani costituiva un tema scottante, tanto da essere trattato in un lungo segmento narrativo con accuse rivolte proprio alla stessa Diane, ora parlarne risulta ancor più inevitabile ed è con un mirabile ribaltamento dei ruoli che si porta avanti il discorso, proprio quando sembrava che non ci fosse più nulla da poter dire a riguardo.
Allo stesso modo, il cambiamento e l’inasprimento del linguaggio comportano una modifica sostanziale e molto interessante, che dipende tuttavia da una scelta i cui esiti hanno diversi potenziali risvolti. Ad eccezione del pilot, infatti, la serie non andrà in onda su CBS come la precedente, ma sulla piattaforma on demand CBS All Access, dunque a pagamento; questa scelta, che di sicuro può garantire una maggiore libertà creativa non più limitata dalle imposizioni del network in chiaro, d’altro canto rischia di minacciare la vita stessa della serie. Se infatti per questa stagione sono previsti 10 episodi, in linea con l’ottica sempre più attuale di stagioni più brevi, non si sa ancora nulla di eventuali rinnovi, e non sono pochi gli spettatori ad essersi lamentati (e i critici ad averlo puntualizzato) di una spesa mensile che non garantirebbe abbastanza per essere intrapresa – non in un’epoca in cui tra Netflix, Amazon e Hulu la scelta è molto diversificata. CBS All Access non ha un alto numero di contenuti originali, e la scelta di far partire qui The Good Fight andava di pari passo con quella di Star Trek: Discovery, che è stata invece spostata più volte.
Quale sarà il destino di questa serie è difficile a dirsi: non aiutano i tiepidi ascolti del pilot su CBS e in generale i discorsi sulla piattaforma, ma al contempo abbiamo uno show che poggia le sue basi su un passato solido, i cui personaggi sono in maggioranza presenti nella serie, e il cui format non intravede tracce di invecchiamento. I due episodi di apertura confermano questa sensazione: benché non tutto fili liscio e qualche rischio di eccesso drammatico possa essere nell’aria, The Good Fight rappresenta quello che di buono la serie madre aveva da raccontare e che è stato un po’ perso nell’ultima stagione.
Non resta che attendere per vedere se, tra cambiamenti importanti, conferme indispensabili e le immancabili risate di Diane, riusciremo a parlare di spin-off di successo e soprattutto in grado di prendere una propria strada, che non rinneghi il passato ma che sappia crearsi un proprio solco in un’epoca televisiva che non è più quella di sette anni fa.
Voto 1×01: 7/8
Voto 1×02: 7½
Seguite The Good Fight Italia su Facebook per novità e aggiornamenti sulla serie!
Lasciare The Good Fight senza commenti mi pareva brutto 🙂 .
Che dire? A me piace proprio tanto,tanto 🙂
Per il futuro,non so se prossimo o meno, vedo “love” tra Lucca e Maya .
ahah grazie per il pensiero 🙂
Anche a me sta piacendo, bisogna vedere se nella lunga distanza riuscirà appunto a sviluppare ancora di più una strada tutta sua, speriamo di avere il tempo di vederlo! Su Lucca e Maya non so, vedremo 😉
Guardando i primi due episodi di The Good Fight l’unica cosa che mi viene in mente è “quanto avrei voluto vedere tutte le stagioni di TGW per non perdermi neanche un riferimento al passato!!”. Io faccio parte del nuovo pubblico che si approccia a questo universo e il tuo discorso sull’abilità di gestire due pubblici diversi (quello nuovo e quello vecchio) è assolutamente vero e forse è anche per questo che ho adorato i primi due episodi. Essendo completamente a digiuno di legal drama (Scandal non è più un legal da anni), ho trovato una serie che possa colmare questo vuoto. Plauso per le tre protagoniste femminili (Maia leggermente stereotipata nella sua insicurezza in tribunale, però ci sta).
Mi fa piacere che questa cosa venga confermata anche da chi non ha visto the good wife 😉 se sei a digiuno da legal drama, vedrai che con questo ti si aprirà un mondo di casi pazzeschi, lontani dai classici cliché da tribunale, molto molto calati nella realtà contemporanea e nelle pieghe più ambigue della legge (sempre basandomi sul fatto che questa cosa non cambi rispetto a tgw, ovviamente)