One Day at a Time – Stagione 3


One Day at a Time - Stagione 3One Day at a Time, reboot della serie di Norman Lear riportata sugli schermi nel 2017 da Gloria Calderón Kellet e Mike Royce, è tornata su Netflix quest’anno con la sua terza annata, pronta ad affrontare forse la sua prova più importante: a seguito di una prima stagione di grandissimo successo e di una seconda che, pur con qualche difetto, è riuscita a mantenere le alte aspettative, era proprio con la terza annata che la serie (come del resto ogni show a questo livello) doveva dimostrare la sua solidità, la capacità di rinnovarsi e di non ripetersi.

Non c’è bisogno di molte puntate per capire che questa stagione di One Day at a Time posiziona la sua asticella ancora più in alto che in passato, arrivando dopo tredici episodi a completare un percorso quasi perfetto: un risultato per nulla scontato visti i temi trattati quest’anno, che scendono ancora più in profondità nel solco tracciato dalle stagioni precedenti e che proprio per questo sarebbero potuti essere un’arma a doppio taglio, soprattutto visto il minutaggio breve che caratterizza lo show. Una preoccupazione del tutto infondata: ciò che ha da sempre costituito la natura della serie – eccellenti analisi della famiglia, della società e dell’attualità portate avanti senza mai dimenticarsi di far ridere – viene elevato all’ennesima potenza, creando un racconto ancor più coeso rispetto al passato, che scava dentro ai personaggi con una delicatezza e al contempo una potenza davvero difficili da trovare altrove.

Mami, you literally told Alex no means yes?

L’utilizzo di una famiglia sui generis con rapporti sia di sangue che creatisi col tempo (Schneider, Leslie e Syd) permette alla serie di affrontare i temi più classici della vita familiare attraverso dinamiche diverse, che viaggiano tra due poli uguali e opposti: i legami tradizionali da una parte e quelli di nuova formazione dall’altra, connessi dal comune denominatore dell’amore e, soprattutto, dello scegliersi costantemente come membri di una famiglia allargata, giorno dopo giorno.
Potendo contare sulla solidità di questi rapporti, e sul fatto che il pubblico sia ormai avvezzo a riconoscerli, non stupisce che questa stagione riesca ancor meglio delle altre a trattare tematiche sociali difficilissime in modo pressoché impeccabile: affidando infatti a ciascuno dei personaggi determinati comportamenti o istanze, la serie riesce, anche in soli venti minuti, a restituire tutta la complessità di un determinato problema, che viene così mostrato attraverso ogni sua sfumatura.

One Day at a Time - Stagione 3È il caso della seconda puntata, “Outside”, con cui One Day at a Time si concentra sul tema delle molestie e di tutti gli aspetti ad esso correlati. L’intelligenza della scrittura di Calderón Kellet e Royce si trova nell’intuizione di dare a ciascun componente della famiglia – eccezion fatta per Leslie – una voce mai completamente giusta e mai completamente sbagliata all’interno del dibattito. Questo consente di mettere in scena tutta la complessità dell’argomento, nella contemporaneità ma anche a livello diacronico: ecco che quindi Lydia risulta estremamente empatica e comprensiva con Penelope, Elena e Syd quando ascolta le loro storie, ma non può che configurarsi come figlia del suo tempo – un tempo in cui ogni no era “a yes in disguise”, un esempio di autentica mascolinità tossica che passa erroneamente ad Alex.
Ma non sono da meno gli altri: Elena è forse quella a cui vengono affidati più contributi condivisibili (“How about ‘Hey guys, don’t rape’?”) ma anche quella attraverso cui si manifesta come il consenso ideale rimanga spesso solo ideale, e come nella realtà le cose possano andare in modi molto diversi. Penelope ha brutte esperienze alle spalle, ma per qualche minuto tende a preoccuparsi di più per le conseguenze su Alex, come fatto notare da Elena; e Alex stesso, come Abuelita, reagisce solo nel momento in cui vede sua sorella come destinataria delle molestie, manifestando persino la volontà di punire il colpevole – atteggiamento inappropriato e immediatamente inquadrato da parte di Penelope come simbolo di un maschilismo tossico. E ce n’è anche per “gli alleati” come Schneider, che tuttavia a volte rimangono persino all’oscuro delle conseguenze dei loro stessi comportamenti.
Insomma, con una puntata che meriterebbe di essere trasmessa in ogni scuola, la serie riesce in soli venti minuti a rappresentare tutti i diversi gradi di confusione e consapevolezza che circolano sulla questione molestie: un obiettivo che non sarebbe mai stato raggiunto senza l’incredibile lavoro di cesello fatto finora sui personaggi e sui loro rapporti.

One Day at a Time - Stagione 3Un altro esempio simile, sebbene con risultati leggermente inferiori, è costituito da “Anxiety”, episodio incentrato sugli attacchi d’ansia che fa il paio con “Hello, Penelope” della seconda annata, dedicato alla depressione. In questo caso, esattamente come allora, il minutaggio non lavora a favore dell’argomento, che risulta costretto in dinamiche parzialmente forzate (la coincidenza dell’attacco d’ansia di Elena poco dopo la seduta di terapia di Penelope); ciononostante, la puntata colpisce perfettamente nel segno, di nuovo, inquadrando tutte le sfumature di un problema sociale innegabile sia per portata che per diffusione. Non solo si riesce visivamente a rendere il senso di smarrimento, con l’uso del bianco e nero ad evidenziare quanto un attacco d’ansia sia in grado di distorcere completamente la percezione del reale di una persona, ma si lavora di fino nel far passare i concetti giusti e i metodi migliori per stare vicini ad una persona in difficoltà. All’aspetto didattico (come funziona il fenomeno, la sua natura genetica, perché sia necessario parlarne non solo per se stessi ma anche a livello comunitario) si somma quindi un approccio narrativo che arricchisce i personaggi, portando un insospettabile Schneider ad essere la persona più capace di aiutare Penelope e quest’ultima a fare passi avanti per se stessa e al contempo per i suoi figli, che impareranno a loro volta quegli stessi strumenti per il futuro (come si vedrà con Elena e Alex nella dodicesima puntata).

Don’t quit before the miracle happens.

Andando oltre i temi a largo impatto sociale, è nell’analisi dei rapporti genitori-figli che si trova il nucleo della narrazione, che quest’anno porta il discorso su livelli ancora più alti rispetto al passato toccando tutti i personaggi della serie. Nel caso di Penelope, la prima volta di Elena e la storia del fumo di Alex costituiscono i momenti più riusciti nell’evoluzione del loro rapporto, con una particolare attenzione alle difficoltà intrinseche della genitorialità quando si ha a che fare con degli adolescenti.
One Day at a Time - Stagione 3“The First Time”, con la sua costruzione temporale invertita, permette allo spettatore di mettersi sia nei panni della madre – pervasa da dubbi e da paure perché non sa cosa sia successo – che della figlia, una Elena che in questa stagione più che mai viene messa alla prova nelle sue certezze e che ciononostante riesce a superarle proprio perché supportata da persone come sua madre e la sua “Syd-nificant other”. Al di là di un errore piuttosto grave (l’affermazione di Ramona per cui ci sono pochissimi rischi di malattie sessualmente trasmissibili in rapporti tra donne, cosa non vera e peraltro smentita dalla stessa Syd che dichiara di aver fatto gli esami dopo essere stata con Selene), la puntata si configura come una delle più convincenti della stagione, anche per il riuscitissimo parallelo, sempre a costruzione invertita, con la storia di Abuelita e le scarpe di Alex.
L’analisi del rapporto tra Penelope e Alex risulta forse un po’ più complessa, sia per il genere di problema trattato, sia per le conseguenze che ne scaturiscono: “Nip It In The Bud” fa un buon lavoro nel non demonizzare la marijuana in quanto tale, ma nell’evidenziarne comunque la pericolosità sia fisiologica su soggetti in crescita, sia sociale per quanto riguarda il trattamento diverso che la polizia riserva ai non bianchi. Il vero ruolo di questa storyline, tuttavia, diventa più chiaro solo col passare delle puntate, che permettono di capire come una punizione di mesi e un sottile lavoro sul concetto di fiducia siano fondamentali per un problema di dipendenza ben più grave di quello del giovane Papito.

One Day at a Time - Stagione 3È il personaggio di Schneider, infatti, una delle sorprese di questa stagione. Era immaginabile che la sua quasi decennale sobrietà potesse prima o poi essere messa in discussione, e proprio per questo non era facile trovare il modo giusto per rappresentare sia le cause della caduta che la gestione successiva da parte della famiglia Alvarez.
Inserire anche questa storia nel filone genitori-figli poteva sembrare una scelta scontata, ma la raffinata scrittura della serie, volta sempre ad amplificare la rete dei legami costituiti, impedisce qualunque scivolone grazie ad una preparazione ottimale. Ecco che quindi i tantissimi elementi sparsi nella serie e in questa stagione (l’approvazione paterna da parte di Leslie; il ruolo di Schneider nella storia del fumo di Alex, come supporto fermo ma comprensivo a Penelope; il loro rapporto di mutuo aiuto) vanno ad unirsi rendendo ancor più potente una rivelazione tutto sommato prevedibile.
Non solo: la scelta di non far vedere nemmeno allo spettatore se Schneider abbia effettivamente bevuto lo mette nella stessa posizione di Penelope e Lydia, che vivono il dubbio lacerante provocato dalle bugie dell’amico. Il pubblico assiste quindi in prima persona alle stesse dolorose mezze verità dell’uomo, alla stessa vulnerabilità mostrata ad arte (l’ammissione della volontà di bere dopo l’arrivo di suo padre) solo per tentare di convincere e manipolare le persone che in quel momento vogliono cercare di aiutarlo. Rare volte si è vista in televisione una rappresentazione così precisa dei meccanismi che portano una persona con una dipendenza a trasformarsi sotto gli occhi di chi le è più vicino, ed è nello scontro con Alex che il tutto si eleva all’ennesima potenza: la negazione, l’ammissione e poi le aggressioni, fisiche e verbali, si alternano alla manipolazione, al tentativo di portare il ragazzo dalla propria parte usando qualunque mezzo pur di cavarsela – fosse anche mettere un figlio contro la madre. La maturazione di Alex nel compiere una scelta difficilissima per la sua età va quindi di pari passo alla risalita di Schneider, un fratello/zio/figura paterna che in quel momento diventa semplicemente una persona che ha bisogno di aiuto più che di un segreto da condividere. E la reazione di Penelope non è altro che il riflesso dell’aiuto che Schneider ha saputo dare a lei, suggellato dalla frase sul miracolo, che ritorna al mittente come autentico simbolo di amore fraterno.

I told you, I don’t hate you. I mean, sometimes I wanna kill you, but just like in the normal way.

One Day at a Time - Stagione 3È anche sui rapporti tra fratelli – di sangue o meno – che questa stagione lavora, partendo dalla splendida season premiere con il legame tra Lydia e Mirtha (Gloria Estefan), ma anche tra Penelope ed Estrellita (Melissa Fumero, direttamente da Brooklyn Nine-Nine insieme a Stephanie Beatriz). Il lavoro però si fa più profondo in due casi particolari: se per quanto riguarda Elena e Alex il rapporto viene analizzato lungo tutta la stagione fino alla conclusione con il discorso del matrimonio, a Penelope e Tito (Danny Pino, Mayans MC) viene dedicata un’intera puntata, “Hermanos”, che prende le mosse dal terribile ictus che colpì Abuelita alla fine della seconda stagione. L’invecchiamento di un genitore colpisce i figli in modo diverso, e lo fa ancor di più se questo vive con uno di loro: One Day at a Time, pare scontato dirlo giunti a questo punto, si rivela nuovamente impeccabile nell’analisi di un fenomeno che è più che noto a qualunque famiglia abbia attraversato un evento simile, e come sempre riesce a mettere in scena ogni singolo fattore astenendosi da un’attribuzione sommaria di colpe.
È forse questa la vera forza della serie: la capacità di individuare dei punti problematici nella vita di ognuno di noi e svelarli senza vergogna, sfogliandone ogni strato per portarlo alla luce e permettere a chiunque di rispecchiarcisi senza dover per forza parteggiare per qualcuno, ma individuando le ragioni e i torti di tutte le parti in un clima di distesa comprensione. Ecco che quindi l’allontanamento di Tito dalla madre in pericolo di vita assume un significato preciso, e questo senza privare Penelope delle sue ragioni.

One Day at a Time - Stagione 3Allo stesso modo viene toccato un altro delicato argomento, che è appunto la salute di Lydia osservata sia da un punto di vista interno, il suo, che esterno, in questo caso di Elena. È facile capire come la nipote e in generale tutti i componenti della famiglia abbiano ragione a preoccuparsi per Abuelita, ed è altrettanto normale che non possano capire cosa voglia dire per lei smettere di essere quello che è sempre stata. L’accettazione dei limiti imposti dalla vecchiaia o più in generale da problemi di salute non risolvibili è un processo privato dolorosissimo, fatto di negazioni, rabbia, frustrazioni e contrattazioni, in cui smettere di indossare delle banali scarpe col tacco conserva in sé molti più significati di quelli percepibili dagli altri, e la grandezza dello show sta proprio nel dare spazio ad entrambe le posizioni – quella della diretta interessata e quella di chi la circonda – con tatto e comprensione. La natura della serie, poi, fa il resto: ecco che quindi, ad attraversare l’intera stagione fino a chiuderla con la scena finale a Cuba, troviamo la “bouquet list” di Lydia, una lista di “ultime cose da fare” affrontata con il sorriso e l’entusiasmo che solo Rita Moreno sa regalare.

“No, Mami, it doesn’t go without saying. You have to say it.”
“Okay. Okay. You… are enough. You are more than enough.”

One Day at a Time - Stagione 3E per concludere troviamo il rapporto madre-figlia di Lydia e Penelope, un confronto-scontro che è spesso indice di un discorso più ampio, in cui ad incontrarsi – a volte capendosi, a volte no – sono due diversissime visioni del mondo, ciascuna figlia del proprio tempo e del proprio vissuto.
Lupe, in particolare, è in una fase della vita in cui scoprire dove si trovi la felicità è ancora una ricerca in atto: l’idea che la risposta sia obbligatoriamente la tradizionale vita coniugale non è quella giusta, ma non è nemmeno semplice accettare che non lo sia. Ecco perché la donna deve passare attraverso diverse fasi per comprendere che la sua vita potrebbe essere abbastanza anche così, e questo indipendentemente dalla presenza di un uomo al suo fianco: ma per farlo è necessario lasciarsi alle spalle dei pesi, tra i quali spiccano l’accettazione da parte di sua madre e il fare i conti con l’ideale perfezione del matrimonio dei suoi genitori. È per questo che i due punti cruciali della sua crescita si trovano proprio nei confronti con queste due figure: con Lydia in “She drives Me Crazy” e con il fantasma del padre in “Ghosts”.

One Day at a Time - Stagione 3Il secondo matrimonio di Victor con una donna identica a lei (interpretata alla perfezione proprio da Gloria Calderón Kellett) arriva a conclusione di un percorso che nasce molto prima – dal rapporto con Max, finito per obiettivi di vita diversi, e da quello con Mateo, mai davvero iniziato – e che porta Penelope alla presa d’atto di quello che vuole davvero dalla vita: una felicità che potrà, forse, includere un altro grande amore, ma che non dovrà dipendere da questo per la sua realizzazione. La chiusura – con il diploma e un sogno raggiunto senza essersi fermati “prima che il miracolo avvenisse” – potrebbe davvero idealmente costituire un finale di serie, qualora lo show terminasse qui: sarebbe il percorso perfetto per la storia di una donna dalla vita non facile, che ha imparato a superare gli ostacoli della vita e soprattutto a volersi bene grazie all’affetto incondizionato della famiglia che la circonda. Non solo: il collegamento con i due precedenti finali (la felice chiusura della storia della quinceañera per la prima stagione, la ricomparsa del fantasma di Berto per la seconda) si unisce ad un lieto fine che riguarda tutti, persino Schneider con Avery ma anche la strana coppia Lydia-Leslie in fuga – nonostante spicchi l’assenza di Syd proprio nell’ultimo episodio.

Ovviamente, visti i risultati, la speranza che la serie venga rinnovata per una quarta stagione rimane alta: non è facile trovare prodotti audiovisivi in grado di essere così contemporanei nei temi, così universali e così aperti a qualunque genere di legame. One Day at a Time ci riesce, con un connubio di commozione e risate continuo, portato avanti con intelligenza ma soprattutto con evidente e grande amore.

Voto: 9

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.

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