Con il finale della quinta stagione salutiamo per sempre Broad City, un pezzo di storia della comedy ma anche e soprattutto della rappresentazione femminile e millennial in tv. Partito nel 2014 dopo tre anni da web serie indipendente, lo show di Abbi Jacobson e Ilana Glazer si è conquistato la meritata fama di commedia rivoluzionaria in pochissimo tempo e il vuoto che lascia sarà davvero difficile da colmare (come sa bene Comedy Central, che non ha ancora trovato un degno sostituto).
Non c’era, tuttavia, momento migliore per concludere la serie: le due autrici hanno confezionato una stagione finale di altissimo livello, coerente rispetto al percorso delle protagoniste – e dunque evoluta – ma allo stesso tempo ancora freschissima.
Come suggerito dall’episodio “Shenanigans”, che è un po’ un meta-commento della serie stessa, Broad City poteva essere – ed è stata – di più di quello che ci ha mostrato nelle sue prime stagioni. Questo, però, non nel senso accondiscendente del “fa ridere ma fa anche riflettere”, ovvero quell’idea che una commedia debba avvicinarsi al drama per poter essere legittimata. Broad City è stata ed è rimasta fino alla fine una comedy purissima, pur dedicando del tempo, giustamente guadagnato e dovuto, all’elaborazione emotiva legata alla crescita dei personaggi e poi al “lutto” per la fine della versione newyorkese dell’amicizia tra le due protagoniste. Quel “di più”, quindi, non è una concessione al drama e al dramma, ma lo spazio dato ad Abbi ed Ilana per cambiare, per prendere in mano le proprie vite che fino a quel momento sembravano aver più che altro subito, in maniera sempre assertiva e libera, ma comunque ingabbiate loro malgrado nella condizione di millenial squattrinate.
La quinta stagione si prende, perciò, tutto il tempo necessario a esplorare questa crescita ormai inevitabile, raccontandola per gradi attraverso gli impulsi esterni che le due ragazze ricevono – la possibilità di investire sul sogno imprenditoriale di Ilana, l’addio di Lincoln e Jaime, la relazione e la rottura di Abbi con una donna più matura e realizzata di lei.
Il vero fulcro della narrazione resta in ogni caso il modo in cui le ragazze reagiscono a questi cambiamenti: se al cuore le scelte di Abbi e Ilana per il loro futuro (trasferimento, iscrizione all’università) sono piuttosto convenzionali, Jacobson e Glazer ce le presentano senza mai allontanarsi dallo stile della serie e soprattutto le sfruttano al meglio per definire il rapporto che lega le due donne.
Gli ultimi tre episodi sono, infatti, focalizzati sulla relazione tra Abbi e Ilana, vera protagonista dello show, e la celebrano in modo perfetto. “Sleep No More” affronta in maniera contemporaneamente esilarante e straniante il conflitto tra realizzazione individuale e cura dei rapporti “familiari” nel senso più ampio del termine, mettendo l’amicizia tra donne per la prima volta sullo stesso piano – in termini di definizione della propria quotidianità e del proprio futuro – di una relazione romantica/ un nucleo familiare. “Along Came Molly” è il day after della notizia shock, il momento per elaborarla, e ovviamente le autrici lo fanno a modo loro: buttando le due ragazze nell’ennesima avventura, tra musica, droghe e divani da recuperare. L’ectasy è la versione Broad City dei potentissimi antidolorifici nelle sitcom più classiche: completamente fatte, Abbi e Ilana realizzano finalmente che la loro è una relazione di co-dipendenza, e riescono a trovare la forza per accettare di separarsi. Come è giusto che sia, qualche ora dopo vomiteranno anche l’anima.
Il series finale, poi, celebra un’ultima volta questo percorso concentrandosi e indulgendo senza remore sui sentimenti delle ragazze. La nostalgia la fa da padrona, prima nel vedere le ragazze inseguire l’ultima avventura fallimentare, poi osservandole gestire maldestramente il loro addio. Jacobson, Glazer e la regista Lucia Aniello ce la mettono tutta per raccontare, ancora una volta, l’amicizia tra queste due donne come una storia d’amore, servendosi, sempre sui generis, degli stilemi dei film romantici: la festa d’addio in terrazza, i momenti di intimità, i post-it e l’addio davanti al taxi. Il risultato è tenero e commovente, oltre che assolutamente sensato per i personaggi e per la serie.
Ma il momento forse più riuscito della puntata, e tra i migliori di sempre dell’intera serie, è proprio la sequenza finale, che mostra tutte le altre “Abbi e Ilana” di New York e potenzialmente del mondo. Una scena che celebra alla perfezione i due temi portanti della serie: la sorellanza e la queerness. Come dicevamo più su, Broad City ha raccontato l’amicizia femminile in maniera rivoluzionaria; al contrario, ad esempio, di un’altra grande serie millennial e newyorkese come Girls, qui le protagoniste si amano e si accettano incondizionatamente, non ci sono rivalità o rancori da elaborare ma soltanto grande stima e affetto reciproci. Le loro personalità ed identità sono molto lontane da quelle dei personaggi costruiti da Lena Dunham, che rappresentavano un altro modo di essere generazione y pur con tutte le somiglianze del caso. L’approccio, nello specifico, era molto diverso: in Girls ridevamo DELLE ragazze, in Broad City ridiamo CON loro, oltre a farlo con molto più gusto.
Ed è qui che entra in gioco l’altro aspetto principale della serie: la queerness. Per lo show di Abbi Jacobson e Ilana Glazer questo concetto non è soltanto riferito alla sessualità libera e fluida che pure le protagoniste dimostrano di saper gestire, ma un vero e proprio approccio alla vita, la celebrazione della diversità, dell’allontanarsi da concetti di successo e felicità standardidazzati e perciò limitanti, finti. Il girl power di Broad City, quindi, non è femminismo pop, nonostante a tratti possa sembrarlo, ma la pura libertà di essere se stesse – e dunque spesso disgustose, ridicole, anche ignoranti ma sempre curiose – prima ancora che essere donne (qualunque cosa voglia dire).
Ecco perché non c’è contraddizione in un’Ilana dal fortissimo spirito e desiderio imprenditoriale e la sua natura anti-sistema, giusto per fare un esempio: le due protagoniste sono personaggi sfaccettati ma soprattutto liberi, non convenzionali nel modo più autentico possibile e capaci di trovare la propria versione di una narrazione sul femminile che invece è spesso asfissiante.
Broad City è quindi una serie autenticamente femminista nella sua accezione più inclusiva, intersezionale e libera. È proprio grazie a questo, e non a dispetto di, che ci ha fatto ridere così tanto, in maniera sguaiata e liberatoria, e che ha cambiato per sempre il modo di fare comicità al femminile.
Yas kween(s), ci mancherete tantissimo.
Voto stagione: 9
Voto serie: 9
Serie davvero divertente, finale toccante, avevo i lucciconi.