Miracle Workers – Stagione 1


Miracle Workers – Stagione 1Mondi soprannaturali che trascendono la vita e la morte, il formato agevole della comedy da venti minuti, un cast con attori di fama internazionale e un autore che ha già saputo farsi un nome nel panorama televisivo. No, non si parla di The Good Place, sebbene tutti gli indizi portino la mente al capolavoro creato da Micheal Schur. Miracle Workers si pone, tuttavia, sulla scia di un genere improvvisamente di tendenza: una generale comunanza di elementi tra show diversi spaventosamente vicina all’imitazione dell’uno o dell’altro.

Decostruiamo subito questa affermazione: la serie di TBS non è The Good Place, ma nemmeno Foreveraltra serie recente che si colloca in questo filone. Il livello qualitativo dello show di Simon Rich (creatore e scrittore del romanzo da cui ha direttamente tratto la serie, già noto in tv per Man Seeking Woman) è nettamente inferiore ai due ottimi prodotti appena nominati; è tuttavia innegabile la sua derivazione artistica e commerciale da essi. Questo fa capire come esso non punti minimamente sull’originalità delle proprie premesse per fare breccia nei cuori degli spettatori ma su ben altri elementi. Miracle Workers è ambientato in una società fittizia ultraterrena gestita dal Creatore in persona, interpretato da uno Steve Buscemi impacciato e fuori controllo (il ruolo in origine avrebbe dovuto essere di Owen Wilson), dove ogni processo naturale e religioso è re-immaginato in un sistema burocratico composto da uffici e impiegati super stressati. Più precisamente la Terra è un’azienda in profonda crisi, nella quale l’essere umano – il prodotto più imperfetto che ha realizzato – è stato il fallimento più grande, capace di portare il pianeta alla deriva con il suo comportamento dissoluto. Questo problema porterà Dio ad optare per lo smantellamento definitivo del pianeta e la fine dell’umanità.

Miracle Workers – Stagione 1Se il pilot della serie non aveva convinto del tutto e non eccelleva di certo per brillantezza, dal secondo episodio in avanti per fortuna le cose migliorano e Miracle Workers diventa una serie sicuramente godibile, con dei buoni momenti comici e con qualche spunto originale, a fronte però di una realizzazione complessiva di poco al di sopra della mediocrità.

Uno dei punti critici più importanti sui quali si può discutere è la brevità della serie: Miracle Workers, infatti, consta di soli sette episodi che, considerata la loro lunghezza, corrispondono a poco più di due ore complessive di visione. Una compattezza che può essere vista come un pregio, se si considera la tendenza dei drama contemporanei più blasonati ad estendere oltremodo e ingiustificatamente la durata dei loro episodi di punta, ma che potrebbe rivelarsi un difetto non indifferente se questo dovesse tradursi nella mancanza di tempo effettivo per sviluppare al meglio la narrazione. Da questo punto di vista la serie di Rich si pone nel mezzo: da un lato la storia è perfettamente sviluppata nell’arco delle sette puntate e ne giovano il ritmo forsennato e la rapida successione di momenti comici; dall’altro al termine della visione si ha la sensazione che i personaggi escano leggermente indeboliti da questo format, che non ha lasciato loro il tempo per esprimersi al meglio. Tenendo da parte il personaggio di Dio, il meno interessante di tutto il pacchetto nonostante la buona interpretazione di Buscemi, sarebbe difatti stato stimolante vedere per più tempo il team completo in azione, quello formato da Craig, Eliza, Rosie e Sanjay, che però non dura più di due puntate.

Miracle Workers – Stagione 1È proprio il gruppo che ha il compito di impedire la distruzione della Terra uno dei punti di forza di Miracle Workers. La caratterizzazione dei personaggi è essenziale – sono pochissime le occasioni di scoperta del background dei protagonisti, come per esempio il quarto episodio, nel quale viene mostrato il passato “terreno” di alcuni di loro – ma soddisfacente per il genere e contraddistinta perlopiù da atteggiamenti e dialoghi tra loro in generale ben scritti e gestiti. Da questo punto di vista è interessante la – seppur minima – evoluzione che riguarda i personaggi di Rosie e Sanjay. La prima si mette in luce nel quinto episodio, nel quale viene mostrata la condizione di frustrazione e irrilevanza pratica che un’impiegata qualificata come lei non si meriterebbe; il secondo entra in gioco ben prima, quando scopriamo come il suo orgoglio per aver raggiunto un così alto livello di carriera si traduce nell’essere trattato alla stregua di un dipendente qualunque, essendo relegato da un Dio incapace ai compiti più infimi e svilenti. Entrambi vedono le loro potenzialità non riconosciute e, nonostante il prestigio delle loro posizioni, desiderano avere un ruolo effettivo più gratificante, sentimento che li spingerà a scendere in campo al fianco di Eliza e Craig. Questi ultimi si trovano un po’ assimilati nel sistema e singolarmente funzionano meno, anche se il personaggio impacciato e goffo interpretato da Daniel Radcliffe riesce a brillare in qualche occasione; inoltre il rapporto tra i due, che dovrebbe idealmente essere lo specchio di quello tra Sam e Laura, soffre di superficialità di scrittura e viene crudelmente inglobato dalla trama principale senza regalare particolari emozioni.

Accertato il buon livello dei personaggi, però, non si può essere del tutto positivi sugli altri elementi cardine di Miracle Workers.
La mitologia della serie, costruita perlopiù intorno alla religione cristiana, è decisamente povera di idee davvero originali; gli ambienti e le situazioni che si creano all’interno degli uffici non sono altro che riedizioni di parodie simili presenti in grande quantità nella cultura cinematografica e televisiva (da Una settimana da Dio in avanti) e dal punto di vista puramente creativo aggiungono davvero poco. C’è qualche spunto che funziona bene dal punto di vista comico – il rapporto tra Dio e un profeta gestito come una relazione amorosa per esempio – ma sempre brevi acuti in una sinfonia che regala al massimo qualche sorriso. Il mix calcolato di grottesco e assurdo che ben aveva funzionato in Man Seeking Woman risulta qui appannato e sempre, in qualche modo, costretto entro binari troppo rigidi.

Miracle Workers – Stagione 1Il tema principale della serie e la conclusione della vicenda evidenziano, inoltre, qualche altro punto debole dell’operazione, soprattutto a livello concettuale.
L’obiettivo dei protagonisti è quello di convincere Dio a risparmiare l’umanità a fronte di una scommessa secondo la quale devono riuscire ad esaudire una preghiera catalogata come “impossibile”, che in questo caso si traduce nella missione di far innamorare due persone e far sì che si scambino il loro primo bacio. Il sottotesto piuttosto esplicito di Simon Rich è quello di destrutturare il mito romantico dell’amore a prima vista e dell’illusione del destino che porta due persone a trovarsi attraverso chiari segni dell’universo: la vita umana è in realtà un grande gioco virtuale nel quale impiegati di basso livello scelgono arbitrariamente come intervenire sul mondo per perseguire i propri fini. Critica aperta a tutti i tipi di credenze – non solo religiose – che viene portata avanti in modo un po’ didascalico ma funzionante almeno fino agli ultimi episodi, quando si decide di chiudere con un lieto fine antitetico che riporta una grande ventata di fiducia nell’umanità e nella possibilità di essere migliori, lasciando più di un dubbio sulla coerenza del discorso generale.

Miracle Workers si chiude con uno strano senso di insoddisfazione, come se si avesse avuto tra le mani un prodotto sì derivativo fino alla nausea, ma con delle potenzialità intrinseche evidenti non sfruttate a pieno. La nuova serie di Simon Rich mette in scena un intrattenimento molto leggero che si rischia di dimenticare fin troppo facilmente nella ricchezza della produzione contemporanea dove,  soprattutto nell’universo delle comedy, la concorrenza è spietata .

Voto stagione: 6+

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Informazioni su Davide Tuccella

Tutto quello che c'è da sapere su di lui sta nella frase: "Man of science, Man of Faith". Ed è per risolvere questo dubbio d'identità che divora storie su storie: da libri e fumetti a serie tv e film.

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