Con “Kamino Lost” si è chiusa la prima stagione di The Bad Batch, la serie Disney+ creata da Dave Filoni e guidata dai due sceneggiatori Brad Rau e Jennifer Corbett. Per la Clone Force 99, dopo un ottimo inizio con l’episodio pilota “Aftermath”, il cammino nelle restanti puntate è stato un po’ altalenante, nonostante l’interessantissimo periodo storico degli albori dell’Impero praticamente inesplorato nella saga e un comparto visivo mai così riuscito nel mondo dell’animazione di Star Wars.
L’idea di vedere dei cloni alle prese con la ricerca di un nuovo ruolo in una galassia in rapido cambiamento e che, molto presto, non avrà più bisogno di loro, è una premessa narrativa dall’enorme potenziale ma, almeno per il momento, non sempre sfruttata al meglio in The Bad Batch a causa dei personaggi principali. Per quanto Hunter, Tech, Wrecker e Echo funzionino molto bene insieme come squadra d’azione, il fatto che, se non per quel breve arco narrativo dell’ultima stagione di The Clone Wars, della loro esperienza nel corso del conflitto che precede l’arrivo dell’Impero si sappia pochissimo, fa sì che sul fronte emotivo e psicologico spesso si fatichi a creare un reale legame con loro.
Non è un caso che la serie è al meglio quando incontriamo cloni già visti in precedenza, come Rex, Cut e Gregor, i quali portano con sé un bagaglio pesantissimo dalle guerre dei cloni. A parte Echo, che ha avuto un vero e proprio arco narrativo in The Clone Wars chiusosi proprio quando ha trovato il suo posto nella galassia unendosi alla Clone Force 99, gli altri hanno praticamente vissuto ogni istante delle loro vite insieme, tre passati che sono alla fine identici e che rendono in fase di scrittura molto difficile dargli delle motivazioni in più al semplice “dobbiamo sopravvivere”, soprattutto se sono appunto inseparabili.
Pensiamo a Rebels, un’altra serie con un gruppo di persone alle prese con l’Impero. A differenza di The Bad Batch, l’eterogeneità della ciurma della Ghost offriva molti più spunti per un racconto variegato e interessante: Kanan con il suo passato da Jedi, Sabine e il suo legame con Mandalore, e ovviamente Ezra e il suo rapporto con Lothal. I membri della Clone Force 99, invece, non presentano nulla di tutto ciò, trasformandosi spesso e volentieri in meri spettatori degli eventi che stanno cambiando la galassia. Anche il legame che il gruppo ha con la loro casa, Tipoca City, non è minimamente comparabile a quello del protagonista di Rebels con Lothal. Per quanto spettacolare e toccante sia la distruzione dei centri di clonazione nel finale di stagione, è difficile sentire pienamente le emozioni della Clone Force 99 e, in particolare, di Omega, che a un certo punto della storia si è pure fatta promettere di non tornare mai più su Kamino.
Restando in tema Omega, colei che dovrebbe essere il cuore pulsante della storia, fatica a sua volta ad emergere in questa prima stagione. Si era speculato molto all’inizio su che cosa la rendesse così speciale; inevitabilmente si è parlato di Palpatine e di clonazione ma, alla fine di tutto, Omega è “semplicemente” una copia praticamente esatta di Jango – come Boba –, e quindi dotata di DNA non frammentato come quello dei cloni di ultima generazione. Si tratta però di un elemento che la rende sì importante per i kaminoani che attraverso lei sperano di riconquistare le grazie dell’Impero, ma alla fine è una linea narrativa che si risolve senza un reale epilogo, soprattutto considerando che gli imperiali stanno cercando di rimpiazzare i cloni. Il suo inguaribile ottimismo – che, fortunatamente, inizia a tentennare un pochino negli ultimi momenti della stagione – la rendono un personaggio con pochissime sfaccettature e sempre prigioniera delle stesse dinamiche. L’aspetto più interessante di Omega è il fatto che, piano piano, abbia preso sempre più le redini del gruppo diventando anche la loro bussola morale.
È difficile, soprattutto nelle prime puntate, non fare dei collegamenti con The Mandalorian, considerando la dinamica tra Hunter e Omega, ma quanto fatto per Din Djarin e Grogu è decine di parsek più avanti. Mando è una persona completamente diversa alla fine della prima stagione, mentre la Clone Force 99 mantiene tutte le caratteristiche iniziali (tolto qualche chip inibitore): un gruppo di cloni alla ricerca del loro posto nella galassia. Non basta qualche avvicinamento alla causa ribelle – che non si può ancora definire tale in quanto la nascita del movimento avviene molto più avanti –, perché resta comunque la sensazione che non si sia fatto abbastanza per dare un vero senso di cambiamento e crescita al gruppo. The Bad Batch è, come spesso accade in Star Wars, una storia sul trovare la propria famiglia, e la Clone Force 99 inizia e finisce allo stesso punto. Se non per il rapporto con Crosshair, raramente ci sono delle situazioni di conflitto nel gruppo, e nei momenti in cui avvengono si segue quasi sempre la formula che vede Hunter dire che non possono fare una cosa e Omega che invece pensa che debbano farlo perché è la cosa giusta.
Chi ne esce meglio del gruppo è sicuramente Crosshair, soprattutto nel momento in cui rivela di essersi liberato da tempo del chip inibitore e che quindi le sue azioni non sono opera di influenze esterne. Lo scontro ideologico che ne scaturisce diventa molto interessante, ed è soprattutto apprezzabile che nel finale di stagione non ci sia stata l’ennesima redenzione dell’ultimo secondo, diventata un marchio caratteristico di Star Wars nel bene e nel male. Questo scontro di idee all’interno di una famiglia è un altro esempio di cose che funzionano in The Bad Batch, un punto su cui costruire la prossima stagione e dare molto più spessore ai personaggi.
Un altro elemento che ha funzionato molto bene, come spesso accade nelle serie animate ma anche in The Mandalorian, è stato il lavoro fatto per creare collegamenti con il racconto più ampio. Pensiamo al terzo episodio, “Cut and run”, in cui si vede l’orgine (e la spiegazione) del chain code, un elemento menzionato per la prima volta proprio nella serie su Din Djarin. C’è anche tutta la questione legata al passaggio dai cloni alle truppe normali, dettata dai costi più accessibili ma anche da una motivazione più forte: avere un esercito guidato dal credo in un’ideologia sia molto più utile agli scopi imperiali. Con l’ultimissima scena della stagione, invece, si aprono scenari interessanti per gli amanti delle teorie. Nala Se nelle mani degli scienziati dell’Impero non può non far pensare al ritorno di Palpatine in The Rise of Skywalker e alla caccia a Grogu in The Mandalorian. Se questa linea narrativa fosse legata all’Imperatore, però, si tratterebbe di un ulteriore elemento che rende Omega non importante per la questione clonazione.
Tra le cose migliori di The Bad Batch, c’è anche sicuramente il ritorno di tanti volti conosciuti e amati apparsi in The Clone Wars e Rebels e, come detto prima, gli episodi migliori sono proprio quelli che vedono la presenza di vecchie conoscenze. L’esempio più lampante del problema legato a quanto, per ora, sia poco memorabile la Clone Force 99, emerge nell’undicesima puntata, “Devil’s Deal”, in cui i cloni appaiono brevemente e l’attenzione è tutta sui Twi’lek e quello che vivono con l’occupazione imperiale. Rivede Hera e, soprattutto il mitico Chopper, è uno dei momenti più belli della stagione. Pensiamo al lavoro fatto nell’episodio sulla futura generale Syndulla per caratterizzarla: la ragazza sogna di volare e molto del suo percorso nel mini arco narrativo di due puntate ruota attorno a questo. Elementi di questo tipo, invece, raramente vengono sfruttati con la Clone Force 99.
Forse l’ostacolo più grande di The Bad Batch, oltre all’essere uno spin-off di un gruppo di personaggi non proprio amatissimi, è l’aver avuto sulle spalle per quasi tre mesi il peso di essere l’unico prodotto audiovisivo di Star Wars. Quando si parla della galassia lontana lontana le aspettative sono molto alte e forse la seconda stagione, in arrivo l’anno prossimo quando non mancheranno di certo i prodotti ambientati in questo universo narrativo, riuscirà finalmente a sviluppare quelli che sono i punti di forza della serie. Le prime stagioni nelle serie animate di Star Wars non sono mai state l’apice dei loro percorsi, e fortunatamente The Bad Batch si colloca sopra al poco riuscito Resistance. La serie resta comunque godibile se non in alcune puntate decisamente dimenticabili (“Infested”), e ci sono sufficienti elementi per concedere il beneficio del dubbio e dare meno peso alle evidenti problematiche di questa prima stagione. La speranza è che si faccia molto di più per far emergere Omega e la Clone Force 99 in una galassia che vede alcuni dei personaggi più iconici e sfaccettati della cultura pop.
Voto Stagione: 6 ½
Ciao Ivan, grazie per la recensione, che condivido totalmente. La mia sensazione è che, dopo il fallimento di Resistance, hanno tentato di nuovo a mirare a un target più giovane col personaggio di Omega, ma facendolo senza la minima originalità 3 ricorrendo alla trita e ritrita formula del “Hunter dice a Omega di restare indietro – Omega disobbedisce e salva tutti”. Magari i più giovani saranno riusciti ad immedesimarsi in lei, ma il tentativo di dare un colpo al cerchio e uno qllq botte farcendo la stagione di facce conosciute per me non ha funzionato (e a volte ormai si ha un po’la sensazione che la galassia lontana lontana sia praticamente un condominio dove si conoscono tutti).
Ciao, Terst. Grazie a te per aver letto la recensione. 🙂 Alla fine, con le serie animate ma anche i film – Lucas ha sempre detto che Star Wars è pensato per i più giovani -, il target è sempre stato quello. Sono le tematiche universali che hanno reso questa saga così accessibile per ogni età, e il lavoro di caratterizzazione fatto con Omega, come hai percepito tu, ha lasciato parecchio a desiderare. A me non dispiace che appaiano altri personaggi se però questo viene fatto con una reale funzione narrativa. Mi incuriosisce la questione della clonazione che probabilmente si ricollegherà a Palpatine, però alla stesso tempo lascia una sensazione strana perché è comunque legata a quella ferita ancora aperta chiamata Episodio IX. In compenso devo dire che la serie di libri di The High Republic mi sta piacendo davvero parecchio.
Di libri recenti ho letto solo Ahsoka, magari gli do un’occhiata. Devo dire che un’altra cosa che mi ha alquanto infastidito sono gli accenti, perché Omega aveva quell’accento british che non hanno né gli altri cloni né i Kaminoans? E perché la mamma di Hera parla in modo diverso da qualsiasi altro Twi’lek? Al contrario, il livello delle animazioni è sempre più incredibile, in genere non mi piace la CG ma qua il livello è davvero unico.
Omega ha quell’accento perché è lo stesso di Boba e Jango, mentre la madre di Hera parla come gli altri Twi’lek ma forse in modo più marcato. La stessa Hera, nella seconda stagione di Rebels nella puntata “Homecoming”, quando torna su Ryloth e si confronta col padre riprende quell’accento.