Neil Gaiman è uno dei grandi scrittori del genere fantasy della contemporaneità e uno dei narratori più poliedrici del nostro tempo. A differenza di altri autori, Gaiman ha sempre partecipato attivamente e con grande entusiasmo alle produzioni che hanno portato le sue storie in giro per il mondo: dal fumetto al romanzo, passando per il cinema e le serie TV.
L’autore inglese è sempre stato coinvolto nella creazione di serie come American Gods per Starz e Good Omens per Amazon Prime Video, rispettivamente uno dei suoi romanzi più famosi e la storia scritta con il mai abbastanza compianto Terry Pratchett. Nonostante il suo nome sia tutt’altro che sconosciuto anche nella serialità, The Sandman è un’opera che evoca un profondo rispetto anche da chi ha solo sbirciato fra le pagine del fumetto omonimo, nel quale Gaiman ha riversato tutto sé stesso: speranze, filosofia, sogni, in cui innumerevoli lettori si sono rispecchiati.
La nuova serie Netflix è la versione finale di un adattamento rimaneggiato e rivisto più e più volte nell’arco di decenni. David S. Goyer (sceneggiatore di Da Vinci’s Demons e Foundation) ha proposto la trasposizione su grande schermo presso la Warner Bros. negli anni Novanta, ma, dopo due tentativi falliti nel 1991 e nel 2013, il colosso Warner ha spostato le sue mire sul piccolo schermo, firmando un accordo con Netflix nel 2019. Goyer ha il merito di aver tenuto duro nel ravvivare l’interesse per il progetto: ha ripreso contatti con Gaiman stesso durante la produzione di Good Omens e ha convinto un riluttante Allan Heinberg (Wonder Woman, Grey’s Anatomy) della fattibilità del progetto.
Il lavoro di adattamento comprende Preludes and Nocturnes e The Doll’s House, due fra le più importanti storie del variegato universo narrativo a fumetti creato da Neil Gaiman. Quest’ultimo, come si diceva, è stato coinvolto molto da vicino durante la produzione, vagliando la scrittura e i cambiamenti dal materiale d’origine (alcuni proposti da Gaiman stesso) e dando pareri sulle scenografie costruite da un reparto VFX davvero all’altezza. Uno dei cambiamenti che salta subito all’occhio è la distanza che il Sandman di Netflix prende dall’universo DC Comics, di cui il fumetto fa parte: una scelta spiegata da Gaiman stesso per evitare che gli spettatori si aspettassero collegamenti con l’attuale DCEU – il progetto narrativo multimediale in cui sono ambientati i prodotti DC/Warner Bros – e affinché questo rimanesse un prodotto a sé stante, in grado di reggersi in piedi da solo senza il bisogno del concetto di multiverso, così in voga in questo momento storico. Libero da questo peso, infatti, The Sandman dimostra che non c’è bisogno di appoggiarsi ad altri prodotti per puntare all’eccellenza.
Questa trasposizione ha vissuto circa trent’anni di development hell, ma nessuno di questi è andato sprecato: oltre a qualche cambiamento di superficie, infatti, il cuore dell’opera è rimasto intatto e fedele alle pagine più iconiche scritte da Gaiman. Lungi dall’avere una struttura lineare (se non nell’ultimo arco di episodi), la storia della prigionia del Signore dei Sogni e le conseguenze della sua assenza sono una lunga meditazione sulla dualità del Sogno; le immagini oniriche che emergono durante il sonno sono profondamente legate ai desideri che ci consumano da svegli. A partire da questo si capisce che The Sandman è un’opera profonda e sfaccettata, che non si limita a intrattenere chi guarda, ma che punta a stimolare una riflessione costante su ciò che è sepolto sotto la maschera che mostriamo al mondo, in un intreccio eterno fra sonno e veglia, che plasma i meandri della psiche umana sotto la patina della quotidianità.
Un primo plauso va ai succitati artisti del VFX e alla colonna sonora composta da David Buckley. L’estetica e le musiche della serie non sono semplici contorni alla storia, ma la compenetrano e sono fra le colonne portanti di scene memorabili come per esempio il tentativo di ricostruire il palazzo delle Terre dei Sogni, il sacrificio della gargolla Gregory o ancora la lunga passeggiata di Sogno e Morte attraverso le strade della Terra della Veglia in “The Sound of Her Wings”, sesto episodio di questa prima stagione. In questo senso è indimenticabile anche la raffigurazione dell’oppressiva e maestosa San Pietro corrotta ai piedi del palazzo di Lucifer Morningstar in “A Hope in Hell” (il quarto episodio) dove troneggia l’interpretazione di Gwendoline Christie – diventata famosa soprattutto grazie a Game of Thrones. Tale scenario apocalittico è in diretta opposizione a uno dei temi fondamentali di questa prima stagione: la speranza.
Il concetto di speranza, infatti, unisce fra loro i vari archi narrativi e coinvolge tutti i personaggi. Tutto inizia con la speranza perversa del magus Roderick Burgess, passando per la visione distorta dei sogni di John Dee, fino alla ricerca del fratellino Jed da parte di Rose. Anche i Sogni, i sudditi di Morfeo, hanno speranze coltivate durante l’assenza del loro Re, che siano le smanie feroci del Corinthian (Boyd Holbrok, Narcos) o la placida dolcezza di Fiddler’s Green (Stephen Fry, The Dropout).
In Sandman, però, la speranza ha anche un secondo volto e cioè il cambiamento, simboleggiato nel finale dalle ali di Gault che si libra nel cielo di Dreamland, dopo la lezione importante che il suo creatore ha appreso durante i dieci e densissimi episodi di questa prima annata. Il cambiamento è rappresentato dai sogni che si avverano attraverso poteri e reliquie oltre l’umano.
Ciò non toglie nulla però alla forza di episodi come “24/7”, nel quale nel piccolo spazio di un diner John Dee sfoga attraverso il rubino una vita segnata dalle bugie della madre Ethel, ergendosi a signore e padrone di un piccolo universo. Lì vive il sogno di un mondo dove esiste solo la verità e gioca tanto con gli “abitanti” della tavola calda quanto con lo spettatore che può specchiarsi nelle loro vite, nei loro sogni e delusioni. L’arrivo di Morfeo non è solo una catarsi narrativa per il racconto racchiuso nel quinto episodio, ma quasi rompe la quarta parete. Il pubblico si ridesta dal desiderio perverso di John Dee attraverso le parole del Signore dei Sogni, che ci ricordano come l’umanità sia molto più di quanto il ladro del rubino voglia farci credere.
Si potrebbe dire che Sandman sia al limite dell’essere una serie antologica, ma gli intrecci della prima stagione sono tenuti insieme dagli effetti della secolare prigionia di Morfeo. Un eccellente primo episodio, per esempio, introduce la filosofia del racconto di Gaiman in una breve favola gotica, per poi dipanarsi in due importanti archi narrativi, dove Morfeo recupera gli Strumenti andati perduti e subito dopo scopre l’esistenza del Dream Vortex nella persona di Rose Walker (Vanesu Samunyai). Nel mezzo della stagione, il sesto episodio è un altro eccellente stand-alone tratto da due storie appartenenti a diversi numeri del fumetto (The Sound of Her Wings e Men of Good Fortune) e che affronta la concezione della Morte e della Vita. Questo potrebbe essere il perfetto episodio di The Sandman per come incapsula e sublima così tante tematiche, intrecci della trama e sviluppi dei personaggi nella durata di un’ora ed è anche un adattamento esemplare che unisce storie divise nel materiale di origine attraverso le possibilità offerte da un medium diverso, creando nuove chiavi di lettura passando dalla pagina allo schermo.
Alcuni critici hanno giudicato il ritmo del racconto troppo lento o confusionario, per via della trama apparentemente erratica; tuttavia, una narrazione lineare probabilmente non avrebbe reso affatto giustizia alla natura dell’opera di Gaiman. Sandman è una storia che evoca altre storie e il materiale originale sa essere ancora più “frammentario” perché è così che i sogni vengono partoriti: mai come una linea retta, ma come una serie di suggestioni da interpretare in un profondo momento di riflessione con noi stessi.
La costruzione dei personaggi di The Sandman ha rappresentato un’ulteriore sfida per gli sceneggiatori e per il cast: una sfida che, a conti fatti, possiamo decretare assolutamente vinta. Il protagonista è uno dei Sogni degli Eterni, fra le entità più potenti del nostro e degli altri mondi, un personaggio molto difficile da interpretare e scrivere: renderlo troppo umano l’avrebbe snaturato, dargli connotati assolutamente divini avrebbe ritratto un protagonista stagnante come centro della prima stagione. L’equilibrio raggiunto con Morfeo è in gran parte merito dell’interpretazione trasognata di Tom Sturridge, che interpreta un sovrano di Dreamland spietato con chi mette in discussione la sua autorità, ma si rivela presto un’entità potente quanto profondamente sola che trova nella vicinanza degli umani come Hob Gadling un qualcosa che il suo regno non può davvero dargli.
Della medesima attenzione godono anche gli altri personaggi: per citarne solo alcuni, Kirby Howell-Baptiste (The Good Place) impersona una Death che riprende quasi a menadito ogni battuta delle pagine del fumetto, dando vita a una sorella maggiore bizzarra, saggia, che ama di un amore diverso ogni vita che coglie nel suo lavoro; un ottimo David Thewlis (Harry Potter, Fargo) interpreta John Dee nella sua distorta e ossessiva ricerca della verità a tutti i costi e nella sua incapacità di vedere l’umanità con occhi diversi dai propri.
Se questa prima stagione ha qualche piccolo difetto, è sicuramente da ricercare negli ultimi episodi. Un racconto più lineare e meno particolareggiato zavorra la pur accattivante storia di Rose Walker, che non è parca di elementi onirici e fuori dall’ordinario, ma è decisamente meno brillante perché spoglia di quel gusto quasi espressionista degli episodi precedenti. Anche i dialoghi faticano a mantenere lo stesso livello, indugiando in spiegazioni più prosaiche sulla natura del Dream Vortex. Tuttavia, si parla semplicemente della parte più debole di un debutto eccellente, la quale risulta essere un arco narrativo comunque ben scritto e soddisfacente con importanti picchi di qualità negli intrecci del piccolo Jed e Gault, del determinato Corinzio e il suo fan club di ‘collezionisti’, nella romantica figura di Fiddler’s Green e nell’onnipresenza del Sandman che continua ad amministrare i sogni e i desideri anche dei peggiori esseri umani.
Dalla lunga avventura della sua produzione fino alla matrioska di storie di questi dieci episodi, The Sandman perpetua il testamento del suo autore sui sogni che tutti noi possiamo tenere stretti e il cambiamento che questi portano una volta avveratisi. Siamo senza dubbio di fronte a una delle serie migliori di questo 2022, che avrà i suoi difetti e che per come è strutturata non piacerà a tutti, ma che presenta e rappresenta qualcosa di profondamente diverso rispetto a quanto siamo abituati.
Voto: 9
La definivano l’opera “infilmabile” per un motivo… Ero scettico sul fatto che si potesse rendere su schermo e con i tempi televisivi la frammentarietà di un fumetto così particolare e storico come Sandman e, sebbene a tratti sia riuscito, per altri versi non sono rimasto totalmente convinto… Non credo si potesse fare di meglio comunque…
Anche io ho trovato gli ultimi episodi meno belli, soprattutto dopo gli splendidi capitoli 5 e 6, ma poi arriva il bonus/ciliegina (pubblicato postumo) e tutto torna in riga. Nel complesso, una gran bella sorpresa.
Ho atteso questa serie per 30 anni. Non riesco sinceramente a trovarvi un difetto. La lentezza iniziale c’era anche nel fumetto ma ben presto la slavina degli eventi si metterà un moto. Per certi versi li ha già fatto.