Dopo ben tredici stagioni e con la quattordicesima alle porte, la nuova serie di Doctor Who inaugurata nell’ormai lontano 2005 arriva a celebrare il sessantesimo anniversario dello show, andato in onda per la prima volta sulla BBC il 23 Novembre 1963; al timone di questo trittico di episodi speciali che faranno da ponte al nuovo corso del Dottore c’è lo stesso autore che aveva preso le redini della serie e l’aveva rilanciata nei primi anni duemila, ovvero Russell T Davies.
Il popolare autore gallese, infatti, aveva passato il testimone in qualità di showrunner al collega Steven Moffat nel 2010, dopo quattro stagioni e diversi episodi speciali che, nel frattempo, avevano visto succedersi due Dottori, ovvero due attori diversi a interpretare l’alieno protagonista della serie. Per il suo ritorno alla scrittura e alla supervisione dello show oggi, Davies sceglie di puntare in parte sull’effetto nostalgia e in parte sull’effetto sorpresa: da un lato riportare sulle scene uno dei Doctor più amati del New Who – parliamo ovviamente di quello interpretato da David Tennant – è un modo per cercare di recuperare pubblico dopo un calo di ascolti progressivo che ha iniziato a manifestarsi in modo evidente dalla decima stagione, l’ultima di Moffat, ma dall’altro è anche una trovata intelligente perché una novità assoluta per l’universo di Doctor Who. Non era mai successo, infatti, che il Dottore si rigenerasse in una sua precedente incarnazione, nonostante in passato fosse già capitato che alcuni attori tornassero a interpretare il Signore del Tempo anche dopo la rigenerazione – lo stesso David Tennant tornò come Ten in “The Day of the Doctor”, lo speciale per il cinquantesimo anniversario del 2013, sebbene in quel caso la sua apparizione fu spiegata come un paradosso temporale.
Russell T Davies si diverte, dunque, a sparigliare le carte con la continuity – che poi è quello che la tipologia di serie impone a tutti gli autori che vengono chiamati ad occuparsene – e lo fa ponendo sin da subito la domanda che tutti gli spettatori si stanno facendo da un anno a questa parte: perché il Doctor ha di nuovo questo volto? “The Star Beast” comincia proprio con Ten/Fourteen che si cruccia nel comprendere quale sia la ragione di questa sua nuova vecchia incarnazione e ciò sottolinea come Davies voglia che questo “mistero” ci accompagni per tutti e tre gli speciali – che usciranno uno alla settimana – e che sia il punto di arrivo per il viaggio del nuovo Doctor e della sua – anche qui – nuova vecchia companion: Donna Noble.
Donna è stata probabilmente la companion più amata della storia del New Who; in parte questo è dovuto alla bravura di Catherine Tate, un’attrice straordinaria che è diventata tutt’uno con il suo personaggio donandole un’ironia sferzante e un’espressività unica, ma anche e soprattutto alla scrittura degli autori che sono stati in grado di creare una chimica pazzesca tra lei e Tennant e un rapporto fantastico tra i personaggi. Donna è stata una delle poche companion a non sviluppare un’attrazione per il Doctor e anche ad avere un legame molto forte con la propria famiglia di origine, i cui componenti sono diventati personaggi di rilievo – in particolare il nonno Wilfred, interpretato da Bernard Cribbins purtroppo venuto a mancare lo scorso anno – nelle avventure con il Dottore. La sua popolarità è stato anche uno degli elementi che hanno reso più difficile la separazione con il Doctor e hanno reso più amaro il suo epilogo: in “Journey’s End”, infatti, Donna fu costretta ad assorbire parte dell’energia dei Signori del Tempo al fine di fermare il piano di Davros; questo tuttavia portò il Dottore ad essere costretto a cancellarle la memoria per evitare che la sua mente umana bruciasse letteralmente, incapace di contenere tutta quella conoscenza. La conseguenza di ciò fu che se mai Donna si fosse ricordata del Dottore e avesse recuperato i suoi ricordi sarebbe morta.
“The Star Beast” riprende, dunque, la storia di Donna proprio da dove l’avevamo lasciata e scopriamo che, tutto sommato, la sua vita in questi tredici anni è stata più normale di quanto ci si potesse aspettare: dopo il matrimonio con Shaun – interpretato da Karl Collins – i due hanno avuto una figlia di nome Rose – interpretata dall’attrice tansgender Yasmin Finney (Heartstopper) – e hanno continuato a vivere a Londra senza approfittare dell’enorme fortuna lasciata loro dal Dottore attraverso un biglietto della lotteria vincente in “The End of Time”.
L’incontro tra i personaggi di Tennant e Tate, in questo speciale, è quasi immediato: Davies non perde tempo nel rimettere subito in campo la coppia vincente, attraverso un imbarazzante scontro fortuito nelle strade affollate di Londra nei primi minuti dell’episodio. Non si può nascondere un certo sentimento nel rivedere due volti così amati tornare ad interagire nei panni di questi personaggi e l’effetto emotivo e nostalgico di Doctor Who – elemento fondamentale dello show e in particolar modo nel ciclo di questo autore – non può che prendere il sopravvento e soprassedere su tutta una serie di coincidenze e forzature di trama che ricorrono in questo “The Star Beast”.
La trama dell’episodio è basata su una storia a fumetti con protagonista il Quarto Dottore pubblicata su Doctor Who Magazine del 1979, scritta da Pat Mills e illustrata da Dave Gibbons e intitolata proprio “Doctor Who and the Star Beast”; è una storia abbastanza lineare e non troppo originale, ma ha il pregio di riportarci ai classici episodi dalla trama verticale che tanto hanno fatto la fortuna della serie. Davies, inoltre, dimostra di essere legatissimo allo show e alla sua mitologia poiché riporta in scena personaggi che appartengono all’universo di Doctor Who ma che non avevano mai avuto il privilegio di apparire nella serie live action: Beep the Meep, per esempio, è un alieno già apparso sulle pagine dello stesso Doctor Who Magazine citato in precedenza, mentre i Wrarth Warrior sono stati solo menzionati dal Quarto Dottore durante una delle sue avventure.
La sequenza di avvenimenti funziona come un classico episodio di Doctor Who, nel senso buono del termine: le svolte di trama relative all’avventura della settimana pur essendo vagamente prevedibili riescono a tenere alta l’attenzione e a divertire, lasciando spazio a quello che è il vero focus di questo speciale, ovvero i personaggi.
Da questo punto di vista “The Star Beast” aveva il compito non facile di riportare in scena uno dei Dottori più amati e di riuscire a caratterizzarlo in modo tale da non tradire tutta la storia del personaggio tra la quinta e la tredicesima stagione – nel frattempo, infatti, sono passate ben tre rigenerazioni. Da questo primo speciale, tuttavia, non è ancora chiaro quanto questo Quattordicesimo Dottore sia simile al Decimo in quanto a carattere e peculiarità e quanto gli avvenimenti delle ultime stagioni abbiano influito su di lui – non si può banalmente ignorare tutto il ciclo di Chibnall, per dire –, quel che è certo è che Davies dovrà impegnarsi parecchio a dare un senso al ritorno eccezionale di questo volto del Time Lord visto e considerato il pochissimo tempo a disposizione prima che a interpretare il personaggio sia il giovane Ncuti Gatwa.
Molto meglio la caratterizzazione degli altri protagonisti, a partire da una Donna in splendida forma e, soprattutto, la grande new entry Rose Noble. Quest’ultima assume sì una grande importanza in virtù della rivelazione di fine episodio – un colpo di scena degno dei migliori episodi della serie – ma in generale la prova attoriale di Yasmin Finney e la sua presenza scenica stupiscono in positivo e la ragazza non ha nulla da invidiare alla scrittura riservata ai companion storici del Dottore. La sua trama si basa sulla ricerca di un’identità, con il parallelo molto chiaro tra la transessualità del personaggio/attrice e il fatto che la sua mente, come quella della madre, sia da sempre stata influenzata dal Doctor, seppur inconsapevolmente, portandola a trasferire nella sua arte il suo inconscio. Per il potenziale intrinseco al personaggio è quasi un peccato non poter vedere il personaggio di Rose come una presenza fissa al fianco del Doctor, anche solo per un intero ciclo di episodi.
Se il colpo di scena riservato a Rose è il punto più alto dell’episodio, purtroppo andando verso il finale la qualità della scrittura cala vertiginosamente. Molto poco coraggiosa, per esempio, la scelta di Davies di privare subito Donna e sua figlia dell’energia dei Signori del Tempo che avrebbe potuto essere un grande elemento di novità per questi speciali – ci si immagina solo cosa si sarebbe potuto inventare lo showrunner con tre personaggi intelligenti come il Doctor a viaggiare sul TARDIS. Allo stesso modo risulta abbastanza goffo e poco ispirato il cliffhanger che chiude “The Star Beast” e che dovrebbe, in teoria, funzionare come pretesto per far continuare ancora per un po’ il viaggio di Donna al fianco del Dottore: la companion che rovescia inavvertitamente il caffè sulla plancia dei comandi non è certo una delle uscite più brillati che ci ha regalato Russell T Davies.
Insomma, questo primo dei tre episodi speciali previsti per il sessantesimo anniversario della serie fa il suo dovere nel cercare di ricreare un’ambientazione allo stesso tempo nostalgica per i vecchi fan ma che offra anche qualcosa di nuovo. In tal senso è interessante il tema del rapporto tra le diverse generazioni: non per niente Doctor Who nasce come serie per famiglie e non ha mai nascosto il suo lato prettamente didattico; Davies, tra l’altro, è sempre stato un maestro nel combinare questo particolare aspetto dello show con tutte le sue altre componenti – l’azione, l’avventura, i paradossi temporali, i rapporti tra i personaggi, ecc. In questo episodio sono interessanti gli scambi tra le tre donne della famiglia – nonna, figlia, nipote – e lo sono ancora di più alla luce della persona di Rose e della sua unicità.
“The Star Beast” è, quindi, un episodio che omaggia in tutto e per tutto la storia della serie – e non potrebbe essere altrimenti essendo uno speciale celebrativo – e che porta in seno i pregi e i difetti già elencati che sono in un certo senso tipici dello show. La cosa più importante, però, è che non dimentica la componente più importante che ogni buona avventura di Doctor Who deve avere: il cuore, quel fascino unico che ha conquistato milioni di spettatori dal 1963 ad oggi e che continua ad intrattenere ed emozionare le nuove generazioni.
Voto: 7