Se la season premiere è arrivata a soddisfare la nostra attesa dopo gli eventi che hanno caratterizzato la prima, brillante stagione di Game of Thrones, questo secondo episodio incarna totalmente il concetto di attesa, vista come quiete necessaria: ovviamente è una tranquillità solo apparente, è il momento in cui tutte le parti in gioco si riorganizzano e si scelgono i giusti alleati, mentre aspettano il momento adatto per utilizzarli.
I remember my brothers/I have a wife: storie di alleanze e di rapporti familiari discutibili
Avevamo lasciato Robb Stark impegnato su tre fronti e in questo episodio ne vediamo due in azione: la consegna delle richieste ai Lannister e il viaggio di Theon Greyjoy verso le Iron Islands alla ricerca di alleanze familiari contro Joffrey.
Se del primo caso vediamo davvero poco (oltre alla gentile e nobile arte dello strappo delle lettere), la parte dedicata al giovane cresciuto con gli Stark è sicuramente più interessante, non fosse altro perché le sue aspettative, raccontate ovviamente durante un amplesso sulla nave, vengono abbattute una dopo l’altra a colpi di umiliazione. L’ironia di quella frase (“I remember my brothers”), smentita ovviamente poco dopo quando Theon capisce di aver provato a portarsi a letto la sorella Yara, si somma alla doccia fredda di sapere che è lei a capo di tutto, proprio perché è stata cresciuta secondo le regole paterne (“She’s commanded men. She’s killed men. She knows who she is”) a differenza sua, che è stato tirato su dagli Stark e che proprio per questo ha imparato a ottenere le cose solo con l’oro. Il confronto con il padre è spiazzante, non solo per le parole – che sembrano provenire da un pazzo, ma che tutto sommato hanno un loro senso – ma anche per l’ambientazione, una splendida e freddissima Pyke che si oppone proprio per la sua durezza alla ben più rassicurante Winterfell.
L’alleanza che invece viene portata a termine è quella tra Stannis Baratheon e il pirata Salladhor Saan, personaggio al limite della caricatura per quanto riguarda le sue richieste (“You don’t know how persuasive I am”) ma che ha perlomeno il merito di mettere a tacere Matthos con il suo discorso sugli dèi.
Davos riesce a portare al suo re trenta navi, ma è interessante notare come nemmeno questo riesca a soddisfare le aspettative di Stannis: solo Melisandre riesce a cogliere il suo disagio – vedendolo chiaramente come un’opportunità per se stessa: non ha senso combattere una battaglia praticamente impossibile se non c’è un erede a cui passare con sicurezza tutto il potere. Ecco che quindi le resistenze di Stannis (“I have a wife”) cadono miseramente quando lei gli promette un erede: è così che, nella mappa della guerra da intraprendere, viene messo il carico più alto, la motivazione maggiore, ed è proprio per questo che simbolicamente la scena si chiude proprio su quel rapporto consumato sul tavolo da guerra.
Your discretion is legendary/I hate bad investments: storie di minacce subdole e malcelate
Tyrion, proclamato Hand of The King dal padre per tenere sotto controllo quella bella coppia formata da Joffrey e sua madre, si ritrova a vivere una sua personalissima guerra all’interno di King’s Landing per riuscire a mantenere la sua posizione. Molto significativamente, a parte un inizio dedicato ad Arya che prosegue il finale dello scorso episodio, ciò che vediamo subito è la posizione vulnerabile di Tyrion, che si ritrova a gestire un Varys sempre più viscido e interessato solo al suo tornaconto; la minaccia velata dell’eunuco scatena la reazione di Tyrion, che decide di aggiungere una pedina a suo favore mettendo Bronn al posto di Janos come comandante dei City Watch – spinto in questo anche dalla strage dei bambini, su cui non è d’accordo. Il personaggio di Tyrion, oltre ad essere interpretato da un superbo Peter Dinklage, subisce qui un approfondimento degno di nota e coerente con il suo percorso: proprio lui, che nella stagione scorsa dichiarava “I have a tender spot for cripples, bastards and broken things”, ribadisce qui la sua convinzione soprattutto nel confronto con Bronn, che si dichiara disposto a fare qualunque cosa che abbia un prezzo da lui ritenuto consono.
Questo “tender spot” da lui manifestato viene richiamato, in un gioco di specchi distorti, dalla sorella Cersei che, divisa dalla sua duplice posizione di madre di un cretino e madre di un re, non riesce a condannare la decisione di Joffrey e lo difende (“He did what needed to be done”); ma Tyrion, per quanto così diverso da lei, è suo fratello e ha portato a galla quello che, da madre di altrettanti bastardi per di più figli dell’incesto, non può che configurarsi come un senso di disagio e di colpa. Ecco che quindi il discorso viene ribaltato in modo vendicativo proprio su quel fratello che ha causato la morte della sua stessa madre: come a dire che certe volte è meglio che muoiano i figli, che siano strappate le erbacce direttamente alla radice, se questo permette agli altri di sopravvivere. Se Tyrion fosse morto o mai nato, la madre sarebbe ancora viva; se bisogna difendere Re Joffrey e lei stessa, meglio che muoiano tutti i bastardi del mondo; ma come non leggere tra le righe una terza interpretazione? Come non capire che sarebbe meglio strappare un’altra erbaccia, biondina e dispotica, prima che cominci a strozzare tutti, lei compresa?
Allo stesso modo, la strage dei bambini e la minaccia si legano in un’altra parte della storia, quella di Ros e Littlefinger. Molto si discute sull’esigenza o meno di scene sessualmente così esplicite come quelle che si vedono costantemente e soprattutto al bordello di Baelish: personalmente credo che, toccate le vette dell’inutilità comparsa nella puntata 1×07 You Win or You Die, sia difficile fare di peggio. Certo, magari non sono proprio necessarie, però vedere tutti questi Lord o presunti tali che si osservano a vicenda senza sapere che c’è chi guarda proprio loro ed è pronto a carpire qualunque segreto siano disposti a dichiarare a braghe calate, manifesta un’ingenuità ridicola, interessantissima e ben più imbarazzante delle scene stesse.
Forse nell’economia della puntata non si sentiva il bisogno di vedere le ennesime malefatte di Littlefinger, però il parallelo con la situazione precedente è sicuramente un buon appiglio e in ogni caso ci dimostra – non che ne avessimo bisogno, ma ricordarlo non fa mai male – quanto sia un uomo mellifluo, subdolo e di difficile interpretazione. Quelle che sembrano delle frasi di comprensione si rivelano solo parole cariche di una violenza ancora maggiore e quella che appare come una frase di supporto (“Better be happy. That makes me happy”) si rivela niente meno che una minaccia.
The boy has more courage than sense
La frase, rivolta ad Arya nelle prime battute della puntata, potrebbe in realtà rivolgersi a tutti e tre i ragazzi di cui continuiamo a sapere sempre troppo poco rispetto alle aspettative.
La piccola degli Stark, costretta a scappare, si adatta come prevedibile alla sua vita da momentanea nomade e stringe amicizia con Gendry, figlio illegittimo di King Robert e anch’egli in fuga. Il momento in cui rivela di essere la figlia di Ned, con quel misto di orgoglio (“He was never a traitor!”) e di vergogna (“Do not call me milady”) tipico della sua età e del suo temperamento, ci ricorda con pochi ma basilari tratti di che pasta sia fatta la ragazza e prefigura all’orizzonte un’alleanza (non di guerra, ma di umanità) che potrà sicuramente farle comodo.
Daenerys e la vicenda del suo Khalasar subiscono purtroppo il peso di un minutaggio ridicolo, a fronte del quale posso capire le lamentele di chi vorrebbe più Khaleesi e meno “scene da HBO”: in effetti, con questo trattamento, vanno a perdersi momenti importanti come la morte di Rakharo e soprattutto la posizione che contrappone lei e Yara; se infatti la prima non viene accettata come donna a comando di un Khalasar ed è costretta a patirne le conseguenze, la sorella di Theon risulta la prima scelta del padre indipendentemente dal suo genere – con grande disappunto del fratello.
Infine, arriviamo a Jon Snow. Se all’inizio si comporta in modo saggio (soprattutto dopo la sfuriata di Mormont) rifiutandosi di aiutare Sam, alla fine della puntata non può semplicemente ignorare quello che sta succedendo: ecco che quindi il coraggio prende il sopravvento e lo porta a scoprire che fine fanno i maschi generati da Craster. A quale scopo li consegna ai White Walkers? Cosa se ne fanno loro? Il finale mostra le conseguenze del coraggio usato senza il senso (anche se la scelta di Jon appare giustificabilissima) e non ci aspetta che sapere cosa gli sia accaduto.
Un’ottima seconda puntata, dunque, che tesse in modo complesso eppure chiarissimo le trame e le sottotrame prima della miccia che accenderà tutte le ostilità fino a qui evidenziate; qualche errore di struttura (le vicende di Daenerys meritano più spazio, tanto valeva spostarla in un’altra puntata) abbassa di un po’ il voto raggiunto con la season premiere, ma stiamo sempre parlando di Game Of Thrones: scendere sotto un certo livello è praticamente impossibile.
Voto: 8 ½
brrrrrrr… che freddo
A me dispiacerebbe molto che Daenerys venisse relegata ad un ruolo marginale, dato che invece è un personaggo importante nel corso della storia.
L’impressione di queste due puntate è che la storia abbia subito un’accelerazione spaventosa; credo che chi non abbia letto il libro si trovi abbastanza in difficoltà a districarsi tra tutti questi personaggi nuovi (e con tanti altri in arrivo) dato che anche le dinamiche, le motivazioni e i collegamenti tra loro non sono così lampanti…..speriamo bene!
ti posso dire che io, che non ho letto i libri, ci ho messo un bel po’ a tirare le fila di tutto, però ad essere onesti credo che l’abbiano rappresentato al meglio: chi non li ha letti fa un po’ di fatica in più, certo, ma perlomeno non corrono il rischio di essere eccessivamente didascalici.
Daenerys mi era piaciuta molto l’anno scorso, speriamo che le venga resa giustizia anche in questa…