Il 31 luglio 1991 Mikhail Gorbachev e George H.W. Bush firmano lo Strategic Arms Reduction Treaty (START), l’accordo internazionale che ha preceduto il crollo dell’Unione Sovietica cinque mesi dopo. Poco prima, il 31 gennaio 1990, il primo McDonald’s russo apre a Pushkin Square, a Mosca. Questo finale di serie è strettamente collegato con i due eventi, ma nessuno dei due viene mai nominato. Si parla solo ed esclusivamente delle vicende della famiglia Jennings, un microcosmo americano e russo allo stesso tempo, capace di parlare di mille cose senza mai perdere l’attenzione verso la propria piccola, importantissima storia.
Ed è così che la vicenda di Gorbachev tanto trattata nella stagione non viene mai conclusa, mai direttamente affrontata dal finale se non in qualche breve scambio. Ed anche in “Jennings, Elizabeth”, che lo precede, il focus rimane sempre indirizzato verso il mondo di Elizabeth, dando alla sua interferenza coi piani del KGB un significato solo in quanto passo finale dell’evoluzione del personaggio. Perché anche in una stagione in cui il contatto con la Storia è più invadente che mai, The Americans rimane fedele a se stessa e alla sua impostazione familiare, concludendo un racconto bellissimo nella maniera più coerente che avremmo mai potuto immaginare.
Prima di passare all’ultimo capitolo, è giusto soffermarsi sull’ora che lo ha preceduto e ne ha preparato perfettamente il terreno, insieme agli altri otto splendidi episodi. La penultima puntata dello show è, in un certo senso, la conclusione del ciclo stagionale in attesa della chiusura della serie stessa con “START”: il percorso di Elizabeth si chiude definitivamente con un ultimo omicidio, questa volta non in nome della Causa ma in segno di rottura verso di essa. Ad essere precisi, quello che la guida non è tanto il rifiuto dei principi quanto quello dell’istituzione che li dovrebbe incorporare, un’entità che anche alla sua seguace più fedele ha infine rivelato la sua natura strategica e doppiogiochista. Ed è proprio il raggiro personale che porta Elizabeth a farla finita, ad abbandonare quella vita che ha completamente assorbito e disintegrato tutto il resto – “What’s left for you now? Your house? Your American kids? Philip?” commenta scettica Claudia.
Una delle sequenze finali dell’episodio è la diretta prosecuzione di questo discorso. Il durissimo dialogo con Paige è la conferma che è troppo tardi per tornare indietro, per recuperare dei legami che sono ormai profondamente segnati dalle misure estreme a cui si è arrivati in questa annata. La tragedia più grande che gli autori potessero architettare comincia a materializzarsi: e non è un proiettile né una pillola di cianuro, ma la scoperta di voler cambiare le cose solo quando è troppo tardi per farlo. Una rivelazione che suona ancora più dura dopo aver appreso dell’arresto di Oleg, ennesima coincidenza fatalista che vanifica qualunque sforzo compiuto fino a quel momento.
I saw them out of their disguises once.
È su queste linee che si muove “START”, il maestoso e coraggiosissimo epilogo firmato dai due showrunner Fields e Weisberg. Un finale che si regge sulla costruzione delle sei stagioni precedenti, che segue l’escalation di violenza di una stagione sempre sull’orlo di esplodere disinnescando la bomba all’ultimo momento. Una puntata del tutto priva di violenza, ma che non si potrebbe mai definire in nessun modo anticlimatica, al contrario: il finale di serie di The Americans è lo show all’ennesima potenza, carico di tensione e di dramma, dolorosissimo ed intenso fino all’ultimo istante. Come per l’episodio precedente, i pugni nello stomaco arrivano da dove la serie ha sempre pescato, sorprendendo per la scelta degli autori di non cercare nessun compromesso a riguardo: ed è così che “START” vive di sguardi e dialoghi, di tragedie a volte dichiarate ed altre volte solo suggerite, ricordandoci dell’eleganza della serie con un ultimo grande capolavoro.
Il cuore dell’episodio – ma anche dell’intera serie – è facilmente individuabile nella lunga e tesissima sequenza del garage, un confronto che è stato anticipato 74 episodi prima e che si nutre della lunga e complessa evoluzione del rapporto tra Stan e la famiglia Jennings. In particolare, quello che si è costruito negli anni è un rapporto, quello tra Philip e Stan, sì ambiguo e pericoloso, ma soprattutto sincero nel solido legame che ha creato tra i due uomini. Non è un caso che a guidare la scena siano Matthew Rhys e Noah Emmerich, i due veri protagonisti di questo finale, perfetti nell’incanalare le contraddizioni e la connessione che li ha guidati finora: perché soprattutto in quest’ultima annata, Philip si è trovato a far fronte al fallimento della sua vita americana, ennesima condanna dopo la prolungata sofferenza nel KGB. E in un’annata in cui lo spettro degli orrori della vita che ha lasciato indietro continuava a farsi vivo (gli omicidi di Elizabeth annunciati da Stan, il rapporto con Kimmy) mentre quella che ha scelto rischiava di compromettere il futuro di Henry, l’unica consolazione è stato proprio il rapporto con l’agente dell’FBI che si è trasferito vicino casa. Allo stesso modo, la rivelazione di Stan è arrivata così tardi anche e soprattutto per l’onestà del rapporto che ha stabilito con i Jennings, un legame che consolidandosi negli anni come àncora tra i suoi disastri personali non poteva essere messo in discussione; e poco importa, arrivati a questo punto, che siano stati proprio Philip ed Elizabeth ad innescare tante delle tragedie professionali che hanno colpito Stan.
È esattamente per questo che il confronto non poteva che chiudersi in questo modo. Una risoluzione violenta in qualunque modo era l’ipotesi che sembrava più probabile, ma a pensarci bene è un’opzione che pareva coerente nel primissimo episodio e che è cominciata a svanire con la costruzione di quelli che l’hanno seguito. Fields e Weisberg, in questo senso, giocano con l’ambiguità e l’ironia della serie trasformando Stan da condanna a via d’uscita per la famiglia Jennings, puntando sulle relazioni umane che si sono stabilite negli anni piuttosto che sulla soluzione che le avrebbe annullate del tutto.
Questo, ovviamente, non significa che la rivelazione non abbia delle conseguenze devastanti per entrambe le parti. In molti davano la morte di Stan come scenario più probabile ed in linea con l’anima tragica della serie, ma la punizione che gli viene riservata è, in un certo senso, ben più velenosa. Dopo aver abbandonato la vita in counterintelligence per gli effetti che aveva sulla sua ossessione, il colpo di coda che gli viene riservato è il peggiore possibile: come il passato di Philip tornava e tornerà sempre a tormentarlo nonostante la scelta di distaccarsene, la fiducia di Stan non sarà mai recuperabile del tutto. Ed è crudele come proprio il dialogo con Philip si chiuda con la rivelazione su Renee, che porta a galla un sospetto prima deliberatamente ignorato che, a prescindere dal fatto che sia vero oppure no, sa di condanna definitiva ed irreversibile. In un percorso che ha visto Stan combattere costantemente con le relazioni ambigue che gli si presentavano (si pensi a Nina, a Martha e recentemente ad Oleg), la conclusione amara e fatalista – in linea con la filosofia di questo finale – non poteva che essere questa; un epilogo che mima e giustifica, inevitabilmente, l’impossibilità di scacciare quel sentimento di sospetto che ancora aleggia negli Stati Uniti in tempi recenti.
I don’t want a kid anyway.
Per la famiglia Jennings, la prima grande tragedia si realizza nell’abbandono di Henry. Ancora una volta, gli autori lasciano da parte l’idea della violenza fisica per concentrarsi su scelte narrative ben più significative, e il primo colpo arriva in due parti: nella primissima sequenza con la realizzazione di dover lasciare indietro il figlio più giovane, e in seguito con la necessità di dirgli addio senza potergli rivelare nulla di quello che sta accadendo. Ed è perfetto che sia Philip a proporre l’idea in quanto membro della famiglia più vicino ad Henry, ma sia Elizabeth ad accusare di più il colpo, presa più alla sprovvista da una scelta che era inevitabile fin dal trasferimento in New Hampshire della scorsa annata. In questo senso, le conversazioni tra Elizabeth ed Henry che hanno punteggiato l’annata (la telefonata da Chicago in “Rififi”, il breve scambio quando lui torna a casa) sono state coerentissime nel mostrare un rapporto che si disgrega ma rimane allo stesso tempo significativo per via della sua natura familiare, lasciando Henry amareggiato nella sua incomprensione dei fatti ed Elizabeth distrutta dalla sua incapacità di migliorare le cose. Per tanti versi The Americans trova la sua forza in queste vicende, nella capacità di costruire un fortissimo dramma in una manciata di linee di dialogo.
E proprio in questo senso, è emblematico che la sequenza forse più logorante dell’episodio arrivi senza che sia pronunciata una singola parola, senza che la scelta di Paige di scendere da quel treno abbia bisogno di una spiegazione articolata di qualunque tipo. È una scelta che rende la scena un po’ la prova del nove per la serie: se davvero la crescita di Paige, uno dei personaggi più delicati e più accuratamente costruiti nella serie, è stata gestita coerentemente, le parole non possono che essere superflue. È una filosofia che la serie ha seguito in diverse occasioni (le sequenze nel seminterrato di “Open House” e nel garage di “Harvest” sono già storia della televisione) e che in questo finale trova a maggior ragione la sua forza, dato l’incessante lavoro svolto nelle sei stagioni a cui abbiamo assistito.
Per Elizabeth, l’elaborazione della tragedia assume una dimensione ciclica. Il flashback con Gregory, in un momento in cui l’ostilità per l’America e il marito fasullo che le era stato assegnato erano ancora forti, è un momento perfetto per fare il punto della situazione sull’evoluzione della donna: ora si ritrova a dire addio alla figlia che ha dato un senso alla sua vita negli ultimi anni, e l’unica consolazione viene dalla possibilità di avere di fianco, incurante del rischio di essere catturati, proprio il marito con cui era stata obbligata a vivere. Per quanto il percorso di Philip sia stato tra i più struggenti a memoria d’uomo nella serialità televisiva degli ultimi anni, quello di Elizabeth è sicuramente tra i più complessi: dato il suo idealismo molto più marcato e feroce, era difficilissimo gestire la transizione che è culminata nel penultimo episodio. Eppure, non c’è neanche bisogno di dirlo, Fields e Weisberg sono riusciti nell’ennesimo miracolo, e i richiami simbolici nel sogno di Elizabeth (il quadro che aveva bruciato, tassello fondamentale per l’ultima svolta nella sua evoluzione) sono lì a ricordarcelo.
With or without you
Come si è detto più volte, la grande forza di questa conclusione sta nella sua capacità di trovare il dramma dove la serie sa colpire meglio, evitando lo scioglimento più canonico e violento dell’intreccio per privilegiare una tragedia che è più introspettiva e, per questo, molto più forte e personale. Ma non è tutto scuro quello che vediamo. Parte della forza di The Americans, è giusto ricordarlo, sta nella sua immensa capacità di camminare sul filo sottile dell’ambiguità, muovendosi sempre su una scala di grigi ed evitando a tutti i costi la divisione tra bianco e nero. Questo finale, in questo senso, non fa eccezione: dal punto di vista narrativo, lascia il destino di tutti i personaggi senza un futuro ben delineato, rifiutandosi di sciogliere dei nodi fondamentali (Renee su tutti, su cui una risposta di qualunque tipo avrebbe senz’altro stonato) e concentrandosi sulle possibilità che vengono create, piuttosto che su quello che effettivamente succederà in futuro – come se ci fosse bisogno dell’ennesimo punto di contatto con Mad Men e The Sopranos.
Ma soprattutto, quello che “START” incredibilmente mette in scena è un quadro dove ci sono ancora degli spiragli a cui aggrapparsi. E così è vero che la famiglia Jennings viene definitivamente distrutta e separata, ma Philip ed Elizabeth – cuore pulsante del racconto – rimangono insieme, segnati dall’accaduto ma, proprio per questo, ancora più fortemente uniti di prima. E Paige ed Henry rimangono da soli, certo, ma quello che i loro genitori hanno costruito per loro non è destinato a crollare del tutto, lasciando ancora qualche speranza per il futuro. Perché è vero che questo finale cristallizza una serie di catastrofi che sarebbe stupido ignorare, ma riesce anche a sostenersi su una certa dolcezza e malinconia, aggrappandosi ai legami tra i personaggi e all’affetto che il racconto ha inevitabilmente sviluppato verso di essi. È un episodio complesso e sfaccettato, teso ed emozionante, la sintesi perfetta di dov’è arrivata la serie in questi sei bellissimi anni.
E così tra i Dire Straits, gli U2 e Tchaikosvky, Joel Fields e Joe Weisberg chiudono definitivamente quello che è rimasto della Golden Age della TV americana, firmando per ultimi quell’era che già si era defilata 3 anni fa con la fine della storia di Don Draper. The Americans si è posta in questi anni come un’àncora a cui aggrapparsi per la ricerca del prestige drama che altri non vogliono (e, altre volte, non riescono) più fare, viaggiando su binari già consolidati da altri ma innovando tantissimo nella gestione della complessità del dramma familiare. Come sempre accade, il merito si divide equamente tra le interpretazioni di un cast perfetto e una scrittura e una messa in scena che non hanno mai perso la loro eleganza, privilegiando sempre e comunque (come accaduto per la discussa quinta annata) la coerenza del racconto e dei personaggi che ne stanno al centro. Questa sesta stagione chiude il cerchio con dieci episodi che mantengono la qualità su un livello che sembrava insostenibile, confermando una volta per tutte che, sì, la famiglia Jennings sarà una di quelle da ricordare quando si parla della grande televisione del secolo in cui viviamo.
Voto 6×09: 8/9
Voto 6×10: 10
Voto stagione: 9½
Voto serie: 9+
Capolavoro !
L’ultima puntata è stupenda!!
Capolavoro, questa serie è un Capolavoro! Penso sia il miglior series finale della storia televisiva.
I Jennings mi mancheranno davvero tanto.
Davvero un finale sorprente e superlativo, per personaggi a cui ci si affeziona senza poterne fare a meno..
Io sono turbatissa da Oleg. Trovo amara, davvero fredda se non gelida, la sua fine. A mio avviso il personaggio con la vicenda più tragica.
Un grandissimo finale per il quale è difficile trovare le parole. Una vera lezione di televisione.
Recensione magnifica per una serie capolavoro che ho amato come poche altre! Forse solo Penny Dreadful era arrivata a toccare questi livelli di eleganza, perfezione, arte nella recitazione e nella sceneggiatura… per poi crollare miseramente con l’imprevisto finale di stagione. Temevo fortemente di essere delusa ancora, ma più ci avvicinavamo al finale di serie per The Americans, più mi rendevo conto che la delusione non era contemplata stavolta… gli sceneggiatori sono stati impeccabili, gli attori qualcosa di unico, una serie tv da ricordare a vita e da rivedere, senza stancarsi mai. Il finale è dannatamente perfetto, coerente ma allo stesso tempo sorprendente… mi aspettavo, abbassando le mie pretese, una decima puntata più d’azione, con violenza e qualche inevitabile morte. Invece hanno compiuto davvero il miracolo: mi sono sorpresa a capire quanto mi sia piaciuta di più questa scelta in mille toni di grigio, ad apprezzare la libertà mentale che gli sceneggiatori ci hanno regalato non risolvendo tutti i nodi, ad elogiare l’estremo rispetto per come hanno trattato questa serie, i suoi personaggi e noi spettatori, fino all’ultimo secondo. Forse Philip ed Elizabeth “si abitueranno”… ma noi no, ci vorrà tempo per abituarsi a una tv senza più The Americans. Applausi e standing ovation!
Ho aspettato l’ultimo episodio per commentare questo capolavoro. In pochi mesi mi son tuffato nell’universo di “The Americans” e ne son uscito sicuramente stupito ed estasiato da una serie fantastica. E senza dubbio ho potuto godere all’ennesima potenza grazie alle vostre recensioni che mi hanno fatto apprezzare tutte le più piccole sfumature che da semplice fan non avrei visto. Quindi grazie a voi e grazie a The Americans. Un’ultima puntata magistrale e gestita benissimo. La scena si Philip e Stan, da lacrime, così come la fine di Oleg che probabilmente non se la meritava. Grazie ancora Seriangolo!
Una grande serie conclusa da un episodio scritto e girato in modo magistrale. Quanto al cast, sempre bravo, ma alla, fine addirittura sublime.
Con colpevole ritardo arrivo a concludere questa meravigliosa esperienza che è stato The Americans.
Una serie mollata all’inizio “perchè non succede niente”, senza capire che proprio in quel niente ci fosse la forza e la bellezza di questa storia e dei suoi personaggi. Ho recuperato questi 5 anni di ritardo anche grazie alle vostre preziose e perfette recensioni (talmente perfette che, ad esempio, proprio quest’ultima l’ho ritrovata parzialmente copiata sul web su un altro sito ?).
The Americans entra di diritto nella mia top 5, esperienza stupenda e coinvolgente. Al punto da lasciare senza parole alla visione di un finale perfetto e al punto da trovarmi quasi “sognante” a pensare che con la caduta del muro dopo soli due anni, in una innevata Alexander Platz Paige potesse rivedere i genitori. Magie della grande TV, magie dei grandi romanzi e delle grandi storie, come difficilmente rivedremo ancora di questa (costante su tutto l’arco narrativo) qualità.
So che verrò massacrato da molti per quello che sto per dire, ma a me il finale ha lasciato parecchio amaro in bocca. Perché nel mio immaginario tra un finale “happy ending” ed un finale catastrofico, si è fermato a metà.
Prima di essere travisato del tutto: la serie è davvero fatta bene, è proprio della “Golden Era” delle serie televisive e in confronto alla mediocrità che esce adesso è da standing ovation.
Ma le critiche che mi sento di muovere al finale di The Americans sono per me troppo rilevanti per sentirmi in questo momento soddisfatto.
Andando in ordine sparso:
1) Paige. Stan sa (scena del garage) che lei sa e che lei è coinvolta (altrimenti non starebbe per scappare con Philip ed Elizabeth). Come può essere il suo finale completo? Come fa a vivere tranquillamente negli Stati Uniti? Capisco il voler lasciare molte cose in sospeso ma un conto è non farci vedere se Philip incontrerà o meno Martha e/o suo figlio a Mosca (irrilevanti), un modo è farci capire se il colpo di scena di Paige ha un senso pratico o meno
2) Philip e i dubbi su Renee. All’inizio sembrava uno scherzo, una paranoia di Philip che rappresentava una forma di apprensione per quello che al di là di tutto riteneva davvero un suo amico. Non è mai stata approfondita, se non quando lo ha chiesto a Gabriel. E, per come non c’è stato più un seguito dopo che aveva risposto a Philip, ho pensato che fosse finita lì. Arrivati all’ultima stagione e quindi passati tre anni uno rafforza anche questa tesi (ossia che fosse una fantasia di Philip) visto che non aveva trovato mezza prova che fosse una spia del KGB. Che senso che lo dica a Stan nel garage per lasciarlo nel dubbio/agonia senza che ci sia una prova concreta che abbia ragione? Dobbiamo quindi concludere che Philip ha ragione e che Renee sia una spia, altrimenti gli autori non gli avrebbero fatto dire quella frase. Credo che la questione Philip-Renee non sia stata gestita proprio bene
3) La redenzione repentina di Elizabeth. Che Elizabeth abbi un cambio di idee e di pensiero è comprensibilissimo e apparecchia bene il finale. Però, se c’è una cosa che ho amato di The Americans è il cucinarmi le cose per tempi lunghissimi. In sostanza la storia di Nina è andata avanti per episodi senza che portasse a niente, il rapporto tra Paige e il Pastore Tim si è protratto anche fin troppo… E il cambio di idee di Elizabeth si consuma in pratica in due episodi? Per il ritmo della serie sembra quasi forzato…!
Strano caso anche quello di Elizabeth anche perché ha fatto le peggio cose nell’ultima stagione ma ha la stessa fine di Philip, che ha pagato molto di più della moglie. Come se tutte le atrocità che ha commesso non avessero manco una ritorsione nei suoi confronti
4) Epilogo. Sappiamo tutti come sono andate le cose tra Stati Uniti e Unione Sovietica dal 1989 in poi, ossia solo due anni dopo il finale della sesta stagione. Sappiamo che Gorbaciov è riuscito a mantenere il potere, che è caduta la cortina tra i due stati, che il KGB è stato sciolto nel 1991, che il mondo è cambiato drasticamente… Perché allora non far vedere come sono finiti i vari intrecci con un epilogo? Fossimo in un universo parallelo non ambientato in ciò che è realmente successo potrei capire maggiormente il lasciare un finale aperto a “pensa quello che vuoi su come è proseguita la vita di tutti” MA dato che non è così perché non fare vedere niente? Perché se non c’è un epilogo io penso che tutto sia andato seguendo il flusso degli eventi storici: Oleg liberato, Philip ed Elizabeth che si ricongiungono coi figli quando vogliono, Stan che finalmente può vivere tranquillo, Renee che può smetterla di stare con Stan, Martha che può tornare a vedere i suoi genitori etc etc.
Insomma secondo me il finale poteva essere gestito meglio, ma nulla toglie la straordinaria bontà di questa serie tv.