Vida – Stagione 3


Vida – Stagione 3La produzione televisiva è ormai arrivata da anni a un livello di crescita altissimo che ha rapidamente ridefinito il panorama seriale non solo statunitense ma mondiale, fino a cambiare alcuni equilibri che si erano consolidati negli anni. Uno dei risultati positivi, ad esempio, è la diversificazione della produzione e la possibilità di trovare tante storie che prima facevano fatica a emergere. Non è sempre facile scovarle e per tante ragioni alcune di queste produzioni vengono sottovalutate e non coperte con l’attenzione che meritano. Vida è senza dubbio una di queste, una serie che salvo diverse eccezioni (tra cui proprio Seriangolo) non è stata mai abbastanza considerata.

Naturalmente bisogna distinguere le riviste specializzate, a volte iper specializzate e composte da persone che studiano la televisione da anni e guardano diverse decine di show a stagione, e la copertura mediatica generalista, ovvero un contesto nel quale uno show come Vida fa particolarmente fatica ad entrare. E purtroppo gli elogi sperticati ricevuti dagli spazi specializzati contano fino a un certo punto perché è attraverso i media di massa che la maggior parte delle persone conosce i prodotti che poi decide di guardare ed è anche per questo che lo show di Tanya Saracho non ha la popolarità che meriterebbe.
C’è anche una questione che non va elusa e che c’entra intimamente con la serie e con le sue straordinarie qualità: Vida non si conforma ai canoni della media della televisione contemporanea e sia dal punto di vista produttivo che da quello creativo rappresenta un passo concreto verso modelli di riferimento differenti, un progetto esplicitamente militante e per certi versi anti-sistema e che in quanto tale viene respinto da parte del sistema. Perché stiamo parlando di una serie che parla direttamente di lotta di classe dal punto di vista di una minoranza etnica e lo fa a partire dalla rappresentazione di un contesto queer che non ha nessuna voglia di adattarsi ai canoni di una cultura bianca ed eteronormata.

Vida – Stagione 3Come abbiamo detto più volte sin dal consiglio della prima stagione, Vida è uno show che intende cambiare il modo di raccontare in televisione a partire dalla radice, proponendo una writers’ room completamente latinx e con un’importante presenza LGBTQ+, forte della convinzione che le storie che si raccontano vengono modellate dalle prospettive che si adottano per narrarle e che non esistono sguardi neutri. Pertanto, secondo questo ragionamento, ogni volta che abbiamo visto rappresentata la comunità ispanica e quella queer da persone bianche ed etero non si è trattato di un punto di vista universale, ma di uno altrettanto parziale di quello di Vida, solamente meno autentico e meno competente.
Dopo una stagione di altissimo livello, che è riuscita a bissare l’elevata qualità dell’annata d’esordio senza problemi, dimostrando l’enorme fertilità di questo tipo di storie, Vida ha rischiato di essere cancellata prematuramente da Starz, salvo poi accordarsi per una stagione dal budget ridotto e dal formato contratto (sono solo sei episodi); una modalità produttiva che ha messo a dura prova tutta la crew, che però ha reagito dimostrando concretamente l’affiatamento tra tutti i membri e la voglia di raccontare questa storia in maniera così sentita e partecipata.

Vida – Stagione 3L’evoluzione più interessante dello show è stata forse quella del personaggio di Lyn, non tanto perché le altre figure abbiano avuto un arco meno stimolante quanto perché forse il suo, in linea con il finale della scorsa stagione, è stato il ruolo che è cresciuto maggiormente rispetto all’inizio della serie. La sua consapevolezza delle questioni legate alla gentrificazione, il rapporto con la propria identità latinx e con il mondo queer locale sono cresciute in maniera sempre più fitta, portando Lyn a maturare notevolmente come persona e come imprenditrice.
Se inizialmente era schiava di un certo tipo di conformismo etero, grazie anche a un corpo che non ha scelto ma che tutti i giorni la oggettifica senza scampo, con il procedere degli episodi e in particolare in questa terza stagione Lyn diventa sempre più padrona della propria esistenza e capace di autodeterminarsi, imparando a riconoscere il maschilismo e il paternalismo con cui viene trattata dagli uomini e adottando un atteggiamento sempre meno passivo in tutte le situazioni, da quelle sentimentali a quelle professionali.

Nonostante Tanya Saracho e il resto della squadra siano riusciti a costruire dei personaggi molto complessi, soprattutto in questi sei episodi conclusivi, non risiede nei singoli la forza della serie ma nell’ensemble che viene fuori dalla loro giustapposizione e dal rapporto con il contesto circostante.
Le quattro donne al centro della scena rappresentano altrettante facce di un mosaico sulla femminilità molto complesso e sfaccettato, ma anche una prospettiva poliedrica sul mondo latinx che, a seconda dei singoli percorsi, dimostra quanto non si possa parlare di questi fenomeni per slogan o senza specificare che si tratta di realtà complesse e impossibili da incasellare.
Vida – Stagione 3A questo proposito, il lascito più importante che ci lascia Vida è forse la sua intersezionalità: poche altre produzioni riescono a trasformare un punto di vista sul mondo così militante e così specifico in una storia che riesce a essere comunque estremamente interessante e avvincente. Il cuore pulsante dello show raccontato da Tanya Saracho, infatti, consiste nella costruzione di un discorso sistemico e nel ritrarlo attraverso una storia che fa emergere una serie di oppressioni che coesistono e che spesso si sovrappongono (come abbiamo raccontato anche in questo approfondimento). Vida in questo senso non ha mai un punto di vista semplicemente descrittivo, ma pur non evitando di evidenziarne le eventuali contraddizioni è sempre inconfutabilmente dalla parte degli oppressi. Grazie a una squadra di autrici particolarmente dotate e capaci, tra le altre cose, di dare voce a tante artiste musicali latinx, la serie entra nelle pieghe più problematiche della gentrificazione adottando il punto di vista della comunità messicano-americana di Boyle Heights, sommando il discorso economico a quello culturale, riuscendo anche a ritrarre nel dettaglio la vitalissima comunità queer che anima il mondo latinx losangelino.

Dopo tre annate meravigliose, emozionanti e impregnate di un fortissimo impegno politico, Vida ci consegna un’autrice, Tanya Saracho, capace di rivoluzionare il mondo della produzione televisiva rappresentando un esempio che magari non si imporrà sul resto dell’industria ma che senza dubbio costituirà un punto di riferimento fondamentale, nonché la dimostrazione concreta che un altro modo di fare le cose è possibile.

Voto Stagione: 8 ½
Voto Serie: 8 ½

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Informazioni su Attilio Palmieri

Di nascita (e fede) partenopea, si diploma nel 2007 con una tesina su Ecce Bombo e l'incomunicabilità, senza però alcun riferimento ad Alvaro Rissa. Alla fine dello stesso anno, sull'onda di una fervida passione per il cinema e una cronica cinefilia, si trasferisce a Torino per studiare al DAMS. La New Hollywood prima e la serialità americana poi caratterizzano la laurea triennale e magistrale. Attualmente dottorando all'Università di Bologna, cerca di far diventare un lavoro la sua dipendenza incurabile dalle serie televisive, soprattutto americane e britanniche. Pensa che, oggetti mediali a parte, il tè, il whisky e il Napoli siano le "cose per cui vale la pena vivere".

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